Una bella notizia per tutti i lavoratori, soprattutto per quelli più giovani: dal 1° gennaio 2016 non potranno più essere stipulati (perché illegali) i vecchi e famosi contratti co.co.co., di collaborazione coordinata e continuativa o contratti a progetto, conosciuti pure come contratti di lavoro parasubordinato o atipici (anche nella loro forma cosiddetta “mini co.co.co.”).
Questi rapporti di lavoro infatti dovranno in ogni caso essere ricondotti nei normali contratti di lavoro subordinato (a tempo determinato o indeterminato). Lo dice la riforma del lavoro nota come Jobs Act, dimostrando che, per molti versi, quest’ultima non è affatto una “cattiva” legge.
I rapporti di collaborazione ed i contratti a progetto attualmente in essere potranno rimanere in vigore, ma fino alla data del 31 dicembre 2015, perché – come detto – dal 1° gennaio 2016 tutta la normativa sul lavoro a progetto e co.co.co viene abrogata.
I rapporti di collaborazione sono stati spesso distorti e forzatamente interpretati dai datori di lavoro, che li hanno usati per togliere ai lavoratori i loro diritti contrattuali, soprattutto il minimo retributivo che di fatto era deciso unilateralmente dall’impresa.
Infatti le caratteristiche che avrebbero dovuto avere i contratti di lavoro a progetto sono le seguenti:
- il progetto o programma di lavoro, definito dal committente in tale sua qualifica (e non quindi come datore di lavoro); il progetto è definibile come un’attività commerciale funzionalmente legata al raggiungimento di un determinato risultato finale
- l’autonomia del collaboratore, rispetto al rapporto gerarchico che caratterizza invece l’ordinario contratto di lavoro dipendente; pertanto senza un rapporto gerarchico con il committente, pur nel rispetto delle sue direttive ed in coordinamento con la sua organizzazione
- la non rilevanza dell’orario di lavoro; prescindendo cioè dall’orario di lavoro, valido invece per i normali dipendenti/lavoratori subordinati
Per le collaborazioni minime (cosiddette “mini co.co.co.”) vigevano gli ulteriori requisiti che esse non dovevano avere una durata complessiva superiore a 30 giorni annuali e la retribuzione non doveva superare i 5.000 euro.
Come si può ben immaginare tenendo a mente le suddette caratteristiche del contratto a progetto, i limiti descritti erano spesso superati dai datori di lavoro, che abusavano quindi di questa tipologia di contratto a danno dei lavoratori, per esempio quando imponevano agli stessi di “timbrare il cartellino” o comunque di rispettare l’orario di lavoro, obbligo che non avrebbe dovuto sussistere per i collaboratori parasubordinati dell’impresa.
Per completezza di informazione concludiamo dicendo che l’abrogazione della normativa sui rapporti di collaborazione coordinata e continuativa non riguarderà alcune forme di lavoro ritenute eccezionali dal legislatore del Jobs Act (alle quali di conseguenza continueranno ad applicarsi le norme sul lavoro a progetto). E precisamente le collaborazioni:
- disciplinate dalla contrattazione collettiva, per le quali quindi c’è un accordo sindacale (da rispettare) quanto meno sul minimo salariale e sulle altre fondamentali tutele del lavoratore; è il caso ad es. dei lavoratori e delle lavoratrici dei call center
- riguardanti le funzioni dei componenti gli organi di amministrazione e controllo (consiglieri e sindaci) delle società ed i partecipanti a collegi e commissioni
- prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è obbligatoria l’iscrizione agli specifici albi professionali
- svolte per fini istituzionali a favore di associazioni e società sportive dilettantistiche, affiliate alle federazioni sportive ed enti di promozione riconosciuti dal CONI
- rese a favore di una Pubblica Amministrazione, tenendo comunque presente che dal 1° gennaio 2017 nessuna amministrazione pubblica potrà più stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa
Vedi anche: I collaboratori a progetto e le mini partite iva diventano lavoratori a tempo indeterminato
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