Sistemi di rating interno
Indice
Capitolo 4
I sistemi di rating interno: evidenze empiriche e spunti pratici condotti presso Datamat
4.1 Un’analisi delle matrici di transizione di alcune realtà italiane
Le difficoltà insite nell’implementazione di un sistema di rating interni, derivano per buona parte dalla disponibilità, qualità e coerenza dei dati che alimentano i modelli applicabili. La possibilità di disporre di informazioni tempestive e confrontabili con il posizionamento dell’intero sistema creditizio, costituisce certamente un vantaggio competitivo che gli intermediari devono poter valorizzare.
Si è già accennato, nel capitolo precedente, all’importanza rivestita dalla possibilità di costruire matrici di transizione tra le classi di rating al fine di disporre di ipotesi di evoluzione della qualità creditizia della controparte, anche su orizzonti temporali ampi ed articolati [83].
[83] Numerosi sono gli studi che vertono sul problema della “transition matrices stability”: la robustezza delle matrici di transizione è sinonimo di robustezza dei sottostanti processi di rating, anche perché la connessione di questi con i tassi di default è vista come un caso particolare delle probabilità di migrazione, quella della transizione alla classe di default.
In generale, la costruzione di matrici di transizione consente di:
- estendere il concetto di rischio di credito dalla semplice probabilità di insolvenza al deterioramento/miglioramento della qualità creditizia (downgrade/upgrade di classe);
- verificare empiricamente la coerenza delle classi di rischio su base storica;
- gettare le basi per un sistema di controllo andamentale del credito basato sull’osservazione nel tempo della classe di rischio del cliente;
- permettere l’analisi del credito attraverso la costruzione di matrici personalizzate su sottosegmenti di clientela appositamente individuati.
Tralasciando il caso generico, ed entrando nel dettaglio dell’analisi compiuta in Datamat [84], si è inteso estrapolare i dati relativi alle colonne di default (l’ultima nella matrice) [85] a partire da matrici di transizione utilizzate da alcune realtà bancarie e da provider esterni italiani, che sono: Banca Popolare di Milano (BPM), Capitalia, Banca Antonveneta, Carige, CRIF, Databank, Popolare di Vicenza. In più si è potuto considerare la tabella e la curva di PD di Datamat, tutte elaborate su dati italiani.
[84] Datamat è uno dei principali gruppi italiani nel settore Software e Servizi IT. Nata a Roma nel 1971 la società è specializzata nello sviluppo e fornitura di soluzioni e progetti mission critical in segmenti specifici dei mercati: Banche Finanza e Assicurazioni, Difesa Spazio e Ambiente, Telecomunicazioni, Pubblica Amministrazione e Sanità. Tra i propri clienti, Datamat può vantare 10 tra i primi 14 gruppi bancari italiani, Società di Gestione del Risparmio e le principali Società di Assicurazione.
[85] In tal caso il vettore colonna relativo alla classe di default indica la probabilità con cui i soggetti delle diverse classi di rating divengono insolventi nel corso di un anno.
Il primo passo dello studio si è concentrato sulla costruzione di un grafico in cui si potesse confrontare la numerosità delle classi di rating adottata da ciascuna istituzione considerata; in particolare è emersa l’inesistenza, tra le stesse, di un approccio uniforme alla costruzione del sistema di rating, e quindi una diversa stratificazione del portafoglio crediti in classi di rischio.
Tutto questo a riflettere probabilmente il fatto che ciascuna istituzione gode di una diversa capacità di differenziare i crediti in modo significativo, dovuta ad esempio alla particolare tipologia di clientela che costituisce il suo core-business, e quindi attribuisce una diversa rilevanza agli elementi quali-quantitativi di giudizio.
Come si vede notevoli sono le differenze, ma il dato medio che emerge dal confronto è pari a 11,25 classi di rating. Il passo successivo ha permesso di analizzare la relazione tra classi di rating e PD di ciascuna istituzione, riportando in ascissa le prime e in ordinata i valori di PD. Per far questo si sono raccolti dati, in alcuni casi espressi come intervalli di valori, in altri espressi invece come valori singoli; ne è derivata quindi la necessità, per i primi, di calcolare i valori medi di ciascun intervallo, in modo da poterli confrontare direttamente con i secondi. Per alcune banche inoltre (Antonveneta, Carige e Capitalia), un problema poteva riguardare il trattamento di valori “soglia” (nei casi specifici >15, >25 ecc.), che è stato però risolto facendo la media tra gli stessi e 100, potendosi trattare indifferentemente di qualsiasi valore. Il risultato è stato il seguente:
Come si può notare, ad un andamento praticamente piatto della curva di PD relativa alla Pop. di Vicenza, fa riscontro una ripidità accentuata di quella relativa a Datamat, soprattutto per le ultime due classi, ed un andamento pressoché coerente e similare delle curve relative alle altre istituzioni.
Ciò pone evidentemente problemi di confrontabilità di dati così diversi, e quindi suggerisce la necessaria ricerca di un parametro comune a cui riferire il trattamento di tutti gli altri dati non coerenti.
4.2 La selezione dei dati più coerenti
Come conseguenza dell’impossibilità di confrontare dati estremamente diversi, a causa della differente numerosità delle classi di rating adottata da ciascuna istituzione, ma anche dei valori di PD, si è pensato di considerare soltanto quelle istituzioni che presentassero dati più o meno confrontabili. La ricerca aveva evidenziato infatti che alcune istituzioni avevano curve di PD troppo ripide, come ad esempio quella di Datamat o di Databank (che addirittura partiva da molto in alto rispetto alle altre), o quasi piatte come quella di Pop. di Vicenza, che potevano creare problemi di omogeneità per le curve del campione considerato.
Come si vede dal grafico sottostante, poche sono le realtà che presentano andamenti simili, per cui è stato necessario escludere dall’analisi alcune di esse, ovvero Datamat, Databank e Pop. di Vicenza, per poter poi procedere alla cosiddetta normalizzazione, ovvero alla costruzione di una scala di rating su 10/11 classi, valida per tutte le istituzioni considerate. Il risultato è stato il seguente:
4.3 La normalizzazione delle classi di rating
Al fine di costruire una scala di rating con 10/11 classi, tenendo in dovuta considerazione le differenze evidenziate in precedenza, si è pensato di prendere a riferimento CRIF che presentava dei valori di PD abbastanza coerenti con la pratica comune delle banche italiane, per poi basare su di essa il ridimensionamento delle scale di rating delle altre istituzioni.
Sulla base dei nuovi intervalli di PD ottenuti, si sono poi ricalcolati i valori medi per ciascuna istituzione e fatta una media per ogni classe, che potesse evidenzi are lo scostamento di ciascun valore rispetto alla media stessa.
Data la numerosità delle classi di rating utilizzate da Carige ed Antonveneta (16 rispettivamente), si è ritenuto opportuno aggiungere al grafico della normalizzazione un’undicesima classe in modo da evitare una eccessiva discrezionalità nella scelta dei valori. Come si vede, rispetto al caso precedente, ora l’andamento delle curve di PD è pressoché simile per quasi tutte le realtà considerate, e ciò rende più direttamente confrontabili le diverse situazioni. Si osserva però che BPL (Banca Popolare del Lazio, che è stata inserita ad esempio al posto di Datamat) presenta un andamento più ripido rispetto alle altre, soprattutto in coincidenza con l’ultima classe.
Anche in quest’ultimo caso, quindi, il confronto suggerisce di escludere BPL, che evidenzia valori di PD troppo elevati già dalla prima classe, e di analizzare in definitiva, solamente BPM, Capitalia, CRIF, Carige e Antonveneta.
In conclusione, è evidente il comportamento della curva relativa a Capitalia, che è l’unica nel complesso a mostrare un andamento che si discosta, seppur di poco, rispetto a tutte le altre, e sempre con riferimento all’ultima classe fail, a denotare un atteggiamento generale delle varie istituzioni che tendono a pesare in modo diverso le controparti più rischiose.
4.4 Il confronto tra PD ex-post ed ex-ante: un esercizio empirico
Il lavoro in Datamat è proseguito con la costruzione di un modello empirico che potesse permettere di confrontare e di evidenziare le conseguenze della scelta tra probabilità di default calcolata ex-post (quindi dopo l’accadimento dell’insolvenza), e probabilità di default stimata invece ex-ante. Si tratta di un problema di non poco conto, soprattutto se si pensa alle ripercussioni che questa scelta può significare per la bontà dei sistemi di rating utilizzati dalle banche.
Sulla base di queste premesse, si è inteso impostare il lavoro partendo dalla determinazione della PD ex-post per un campione immaginario di 50 clienti, su un orizzonte temporale di 3 anni (dove l’anno T3 rappresenta ovviamente quello di valutazione, trattandosi di rilevazioni ex-post). Le classi di rating a cui riferire la valutazione (e a cui sono stati associati dei giudizi qualitativi del merito creditizio) sono quattro, evidenziate dalle lettere A (eccellente), B (buona), C (insufficiente), D (default). Già dai primi riscontri pratici si poteva appurare, però, che l’analisi su 50 clienti non coglieva appieno la realtà, dal momento che poteva verificarsi la possibilità che non sempre per ogni classe ci fossero eventi di default. Di conseguenza, una possibile soluzione poteva essere quella di aumentare a 100 il loro numero, in modo da spalmare meglio le varie casistiche di migrazione tra le varie classi di rating.
Si è quindi impostata la segmentazione della clientela immaginando che 20 clienti figurassero in classe A, 30 in classe B, 40 in classe C e infine 10 in quella relativa al default. Dopodiché, adottando un approccio di tipo “random” (o casuale), si è cominciato a far si che i diversi clienti migrassero tra le classi di rating prestabilite nei periodi considerati, sia in upgrade che in downgrade, compreso il default, (o facendoli rimanere stabili). A tal fine, bisogna comunque premettere che quando un cliente va in default in un dato anno, si hanno due possibili scelte:
- non considerarlo più negli anni successivi (pool statico);
- sostituirlo con un altro cliente (pool dinamico)
In tal caso, per non appesantire troppo la trattazione, si è adottato l’approccio del “pool statico”, più semplice da implementare proprio perché comporta via via una diminuzione della numerosità del portafoglio clienti, nel quale non vengono più considerati “in essere” quelli andati in default l’anno prima.
Come si può vedere dall’immagine precedente, i clienti andati in default in un anno (ad es. il primo cliente dall’anno T1 a T2) vengono esclusi nell’anno successivo ed evidenziati in giallo; sulla parte destra è riportata quindi la numerosità degli stessi, calcolata avvalendosi delle funzioni messe a disposizione da Excel (in questo caso chiamata “CONTA.SE”, che serve appunto ad automatizzare i calcoli ogni volta che un dato cliente passa da una classe di rating all’altra), do ve si nota il passaggio da 100 a 67 clienti nel corso dei tre anni considerati.
Si è passati, a questo punto, al calcolo del numero dei clienti andati in default nel corso dei vari anni (utilizzando ancora una volta la stessa formula sul foglio di lavoro impostando la ricerca questa volta su “D”), da cui è risultato quanto segue (l’esempio seguente è relativo al passaggio da T2 a T3):
e più in generale:
Avendo così i dati necessari, è stato possibile procedere al calcolo delle probabilità di default ex-post, che assumono il significato di “frequenze di accadimento”, e che sono ottenute semplicemente rapportando il numero dei default alla numerosità dei clienti per ogni classe di rating, ovviamente con PD pari a 1 (100%, quindi evento certo) per la classe “default”).
Il lavoro richiedeva, a questo punto, la determinazione della PD media di classe; a tal fine, sono state riscontrate due interessanti possibilità:
- calcolo della PD media per ogni classe sui tre anni (come si vede anche dall’immagine superiore);
- oppure media tra PD minima e massima, come segue:
Dal confronto tra i due metodi sono emerse solo lievi differenze (valori più alti per il primo tipo di PD), che possono essere analizzate meglio osservando i grafici finali delle probabilità di default ex-post, ottenuti a partire dalle due metodologie sopraccitate.
Non rimane altro che passare, infine, alla determinazione della PD ex-ante, per la quale si è potuto prendere a riferimento la PD media su 10 classi ottenuta nel precedente lavoro (riferito all’analisi delle matrici di transizione), la quale può essere intesa come stima previsiva effettuata dalle realtà considerate. Naturalmente, non era possibile confrontare scale di rating così differenti (10 e 4 classi rispettivamente), per cui si è potuto applicare il metodo del “mapping”, ovvero ancora una volta quella normalizzazione necessaria per ridimensionare e rendere così direttamente confrontabili situazioni diverse. Avremo cioè:
ovvero si sono raggruppate classi di PD ex-ante con valori prossimi tra loro, al fine di ottenere la scala di rating definitiva del lavoro (sempre su 4 classi), che potesse costituire una buona approssimazione della prassi delle banche odierne. In conclusione, si è potuta ricavare la nuova curva di PD in base alla metodologia del mapping, che è stata opportunamente confrontata con quella ex-post, come risulta dal grafico seguente:
Probabilmente non esiste un metodo in assoluto migliore dell’altro, per cui il punto su cui ci si deve focalizzare è rappresentato dall’atteggiamento che la banca vuole assumere rispetto all’evento dell’insolvenza. E’ chiaro, però, che la possibilità e la capacità di disporre in via preventiva (sulla base di simulazioni statistiche) di dati di PD che possano fornire una buona approssimazione di quello che accadrà nel futuro, rappresenta un vantaggio competitivo rispetto alla pura verifica di eventi già accaduti, anche se poi in ogni caso è necessario confrontare le stime effettuate con le esperienze di accadimento effettive.
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