Il recente Festival di Cannes ha portato alla ribalta un regista “storico” del cinema italiano: Pupi Avati, che molti ricorderanno per la regia, negli anni ottanta, di molti di quelli che una volta si chiamavano “sceneggiati” televisivi e che ora prendono il nome di “miniserie” o “film per la TV”.
L’occasione è comunque ottima per fare il punto sull’attuale situazione del nostro cinema, erede di quella grande tradizione cinematografica degli anni cinquanta e sessanta che portò ad identificare il centro di produzione di Cinecittà come uno dei principali poli cinematografici del mondo.
Erano tempi in cui il nostro Paese si distingueva non solo perché forniva mezzi e uomini per le riprese delle più famose produzioni americane (molti dei più celebri titoli hollywoodiani di quel periodo furono girati in Italia), ma perché produceva dei film che hanno fatto conoscere il ns. cinema in tutto il mondo e contribuito largamente alla ripresa economica di un’Italia uscita distrutta dalla guerra.
Allora il nostro cavallo di battaglia era la commedia brillante, magistralmente interpretata da attori nostrani che spesso non avevano neanche un copione da rispettare, ma solo un canovaccio, dal quale partivano ed improvvisavano. Erano attori di poche pretese ed il più delle volte remunerati con la sola paga sindacale, ma che tuttavia hanno saputo dare corpo, con le loro indubbie doti recitative e le loro performance, a dei personaggi che hanno reso celebri delle produzioni cinematografiche, meritevolmente rappresentanti le pietre miliari del cinema italiano. I nomi di questi attori sono Totò, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Peppino De Filippo, De Sica (Vittorio) e tutti gli altri interpreti della commedia italiana degli anni sessanta.
Ora Cinecittà non è più il centro cinematografico che aveva attirato, in passato, le maggiori Star di Hollywood. Escludendo qualche lavoro cinematografico importante (come, da ultimo, “Gangs of New York” di Martin Scorsese), Cinecittà si è ormai decisamente indirizzata verso le produzioni televisive. Sono infatti realizzate all’interno dei suoi studios le riprese dei maggiori talk show, riviste e spettacoli, inseriti nel palinsesto di Rai e Mediaset. Questa situazione di mancanza quasi assoluta del business cinematografico mondiale e di forzato orientamento ad un target di mercato televisivo, pur avendo quest’ultimo la sua non lieve importanza commerciale, suscita purtroppo una forte delusione ed una malinconica nostalgia agli addetti ali lavori ed ai semplici appassionati di cinema.
Le cose non vanno meglio se guardiamo al cinema made in Italy. Si dice che i legittimi eredi delle commedie anni ’60 siano gli attuali film brillanti dei vari De Sica (Christian), Boldi, Aldo, Giovanni, Giacomo e compagnia bella, ma questa semplificazione è un vero e proprio scempio ed antitesi della realtà. Con tutto il dovuto rispetto, il cosiddetto Cinema brillante italiano di adesso non ha niente a che vedere con i capolavori della comicità del passato. Mancano quegli che sono gli elementi fondamentali che fanno di un film un bel film: eccellenti capacità interpretative, trama che faccia presa sullo spettatore, ambientazione credibile e, soprattutto, buon gusto cinematografico. In poche parole, dubito fortemente che film come “Vacanze di Natale” o “SPQR” rimangano nella storia del cinema italiano e questo lo si può comprendere anche dall’estrema velocità con la quale queste produzioni leggere e malamente sceneggiate passano dal grande schermo al settore dell’home video.
Oltre il cinema brillante, poi, non c’è nient’altro di concreto. Il film drammatico, che ha costituito anch’esso in passato un nostro glorioso biglietto da visita (vedi Anna Magnani, Amedeo Nazzari e via dicendo), è quasi assente dalle sale italiane. Qualche occasionale produzione nostrana ha avuto, invero, un certo discreto successo. Voglio citare i nomi di alcuni registi che, in ordine cronologico, hanno saputo consacrare sul grande schermo film di buona levatura, scusandomi per le inevitabili dimenticanze: si va da Giuseppe Tornatore a Gabriele Salvadores, da Nanni Moretti a Roberto Benigni, fino ad arrivare ai recenti Gabriele Muccino e Pupi Avati. Le “creazioni” di questi pur bravi registi sono però tutte caratterizzate dalla sporadicità, non riuscendo nessuno di essi a mantenere nel tempo la necessaria verbe artistica. Inoltre, molto spesso il successo dei film targati Italia è dovuto più ad una mediocrità generale, che consente loro di elevarsi dal mucchio, che non alla qualità di trama, fotografia, montaggio ed interpretazione. Insomma, il confronto con il cinema d’oltre confine è perso in partenza e non solo per gli ingenti capitali che le case di produzione straniere spesso investono nei film che producono, ma anche e soprattutto per la povertà della trama delle produzioni italiane, le quali non possono neanche lontanamente competere con le sceneggiature avvincenti e ricche di fantasia e colpi di scena cui i movies di provenienza estera ci hanno abituati.
Il quadro descritto è sconfortante, tuttavia abbiamo i mezzi e l’estro per fare di meglio e realizzare un prodotto cinematografico di “vera” qualità. In passato, in un momento difficile di ricostruzione del Paese, ci siamo riusciti, e non avevamo gli strumenti di adesso. La speranza è che un giorno, tra qualche tempo, il ns. cinema ritorni agli allori che ha conosciuto.
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