Premiato con il Leone d’oro alla 60° Mostra del Cinema di Venezia, tra qualche polemica per la mancata vittoria dell’ultimo film di Bellocchio, “Il ritorno” è la sorprendente opera prima del giovane regista Andrei Zvyagintsev.
Un esordio di bellezza quasi spiazzante per l’autore russo, che già dimostra una grande completezza di stile e una padronanza magistrale dei mezzi espressivi cinematografici.
La trama del film è essenziale: dopo dodici anni di misteriosa assenza, un padre fa ritorno a casa per condurre i due giovanissimi figli in un viaggio verso un’isola deserta, di cui lui solo conosce il motivo. La severità quasi dispotica con cui l’uomo tratta i figli genera in loro reazioni differenti: all’accettazione rispettosa del fratello maggiore si contrappone il comportamento irriverente del più piccolo, perplesso nei confronti di quella figura paterna sconosciuta e sfuggente. I rapporti col padre autoritario e repressivo (oppure cosciente del proprio ruolo iniziatico?) sfoceranno, per i due ragazzini, in un precoce e drammatico passaggio all’età adulta, accelerato dalla tragica fatalità degli eventi.
Nello snodarsi del viaggio per lunghe strade, tra i boschi ombrosi ed i nebbiosi paesaggi lacustri della Russia nord-orientale, la narrazione si svolge eludendo tutte le domande che lo spettatore potrebbe porre proprio sulla trama: qual è la vera identità del padre? Da dove proviene? Qual è il motivo della sua lunga assenza? E del suo ritorno? Perché affrontare quel rischioso viaggio?
Non ci si aspetti, dunque, lo scioglimento finale dell’intreccio; gli intenti narrativi sono volutamente posti in secondo piano, al fine di esaltare al massimo il primato della visione. Punto di forza del film è, quindi, proprio la grande eloquenza delle immagini, supportata da una magistrale direzione della fotografia, ricca di importanti riferimenti iconografici (si noti la colta citazione del “Cristo morto” del Mantegna nella presentazione del padre dormiente).
Inoltre, il modo di comporre le inquadrature, essendo assolutamente privo di centralità, tende a dare pari importanza ai personaggi ed al paesaggio, contribuendo a marginalizzare l’elemento della narrazione.
Tra le atmosfere vitree e taglienti di una Russia quasi al limite dell’estraniazione spazio-temporale, i personaggi diventano, col progredire della storia, sempre più sfumati, quasi venissero gradualmente risucchiati dalla natura potente e selvaggia che li circonda. Ed è proprio l’idea di una natura prevaricatrice sul destino degli uomini una delle chiavi di lettura del film, suggeritaci fin dalle prime scene, in cui un gruppo di bambini gioca a tuffarsi in mare da un’altissima torre di vedetta.
Per quanto si possa tacciare il film di un po’ di manierismo, “Il ritorno” risulta pienamente riuscito nella sua capacità di rilasciare una coinvolgente tensione emotiva e di conferire respiro epico ad ogni minimo dettaglio. Il tono lirico del film, la cadenza del ritmo drammaturgico, la raffinatezza della fotografia, l’incombenza del commento musicale, l’intensa interpretazione degli attori finiranno per imprimersi a lungo nella memoria di molti spettatori.
Il ritorno
Regia: Andrei Zvyagintsev
Genere: Drammatico
Paese: Russia
Anno: 2003
Durata: 105 min.
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