Evoluzione del potere dei media e comunicazione digitale
Una tesi di Laurea sul potere dei media e la comunicazione digitale

da | 23 Nov 2006 | Comunicazione | 2 commenti

Stampa

Capitolo terzo STAMPA, TV E BAMBINI

1 Le “verità di carta”

Il medium della stampa e la professione giornalistica sono stati sempre caratterizzati da un aspetto contraddittorio ed ambiguo. Da un lato, infatti, c’è la verità , ovvero un concetto ideale ed astratto, espressivo di valori verso cui la stampa dovrebbe sempre tendere, dall’altro c’è, invece, la carta , il materiale facilmente deperibile con cui sono fatti i giornali, che fornisce bene l’immagine di fragilità del sistema organizzativo delle redazioni, responsabile di offrire spesso ai suoi lettori una rappresentazione della realtà sociale per molti versi distorta e manipolata. L’espressione le “verità di carta” riguarda quindi la possibilità di diffusione, tramite la stampa quotidiana, di notizie false o comunque non integralmente corrette, senza alcuna preoccupazione circa le conseguenze che queste pubblicazioni non veritiere sono in grado di alimentare in chi legge, in particolare la sensazione di trovarsi di fronte alla descrizione di eventi realmente accaduti. Tale improprio comportamento, pur non esclusivo del mezzo comunicativo cartaceo, è molto frequente nel settore editoriale ed è facilmente realizzabile anche mediante la semplice manipolazione dei titoli e delle immagini fotografiche che accompagnano l’articolo. Le vittime di questi falsi giornalistici sono soprattutto le fasce deboli dei lettori, quelle cioè maggiormente impressionabili, come i bambini e più in generale i minori. Essi infatti non possono opporre alla notizia, in qualche modo distorta, un sufficiente senso critico. Come si è detto, i giornali ed i libri non sono gli unici media capaci di trasmettere ai pubblici informazioni ingannevoli, perché in ogni ambito comunicativo, dalle opere d’arte alla scienza, dalla radio alla televisione ed ora più che mai in Internet, si è sempre verificata una certa difficoltà nel perseguire e raggiungere un certo ideale di verità. Tuttavia si ribadisce come la stampa, ed in particolare al suo interno quella quotidiana, sia stata per molti anni il mezzo di comunicazione contro cui si sono appuntate le maggiori critiche riguardo ad un suo utilizzo non rispettoso della realtà delle cose, a danno della credulità popolare ed a favore, in sostanza, degli interessi dell’ èlite dominante. In certi casi la notizia falsa assume la forma di un plagio, in altri quella di un’invenzione, che può anche divenire un genere letterario vero e proprio. Il riferimento è agli pseudobiblia , ovvero ai libri che non esistono e che non sono mai esistiti, cioè libri inventati o smarriti, trattati però alla stregua di classici reali, un cui esempio calzante è rappresentato dal secondo libro della Poetica di Aristotele, citato da Umberto Eco ne Il nome della rosa . Ma sono le bugie mediatiche divulgate dai quotidiani quelle più frequenti e foriere di effetti devastanti, in quanto esse sono parte integrante di un vasto bagaglio informativo di cui ormai non si può fare a meno per affrontare le situazioni della vita. Pertanto più questo bagaglio è “falsato” (da notizie ingannevoli), più il comportamento tenuto nelle diverse occasioni è sbagliato ed incoerente.

 

1.1 L’informazione ingannevole

Molto probabilmente è stato il secolo dei lumi ad avere avuto un certa responsabilità nella diffusione e nell’incremento delle notizie ingannevoli, perché durante l’illuminismo questa pratica era considerata un modo efficace per istruire e stimolare la gente, migliorandone così la qualità della vita (Boese, 2002). La middle class del XVIII secolo guardava con idealismo ai valori di istruzione e di progresso e quindi, proprio in nome di tali valori, divenne una priorità improrogabile, per gli intellettuali, liberare la società da una cultura intrisa di superstizioni medievali. Per tale scopo molti di essi si servirono della beffa e della satira negli scritti attraverso cui facevano conoscere il loro pensiero liberale e questi strumenti si rivelarono validi e potenti. In seguito, nell’Ottocento, con la nascita dei penny press (i primi quotidiani, venduti in USA al prezzo di un penny), i giornali periodici conobbero uno strepitoso incremento della loro diffusione. Ciò provocò una feroce concorrenza tra le diverse testate, le quali, per catturare l’attenzione dei lettori, si affidarono volentieri a notizie sconvolgenti e sensazionali, ma del tutto ingannevoli. Così, mentre nel Settecento le beffe venivano escogitate in nome di nobili ideali, quali la crescita ed il progresso della società, nel secolo successivo a prevalere è, invece, una motivazione di carattere prettamente venale e questo perché la stampa si era nel frattempo trasformata in industria dell’informazione (v. par. 3 del primo capitolo) ed i giornali avevano ormai assunto una doppia natura: quella di strumenti di costruzione dell’opinione pubblica e quella di prodotti industriali a tutti gli effetti. Sempre nel corso del XIX secolo per la stampa quotidiana fu coniata la nuova espressione di Fourth Estate , letteralmente “quarto potere”, per evidenziare come il giornale sarebbe stato ben presto considerato un’autorità molto più temibile e credibile di un alto magistrato o di un censore ufficiale della stampa (Briggs, 2000). Infatti, dello straordinario potere della carta stampata si erano da tempo accorte anche le forze politiche ed economiche, che se ne servirono per manipolare, a vari livelli, l’informazione. L’apice di questo processo è stato però raggiunto nel corso del ‘900, epoca dei totalitarismi e delle grandi guerre, in cui la stampa è stata ripetutamente asservita agli interessi dei centri di potere. Oggi, in un mondo globalizzato che ama presentarsi come democratico, c’è da chiedersi se la stampa sia davvero libera, soprattutto in considerazione del fatto che l’importanza dei media è tale che i detentori del potere sono notevolmente tentati ad esercitare su di essi un forte controllo e nella maniera più silenziosa possibile, per far sì, appunto, che l’informazione sembri libera. La verità è quella che i media propongono come verità: ciò che non è riportato dalla stampa non esiste e ciò che esiste, esiste solo nella forma in cui viene pubblicato. La tendenza contemporanea è quella di creare miti e tra questi il più diffuso consiste nel credere di vivere nella cosiddetta “era dell’informazione”, quando in realtà l’informazione disponibile è ripetitiva, “sicura” e limitata da confini invisibili (Pilger, 2003). Attualmente nei media le notizie si occupano in gran parte della propaganda dei poteri occidentali, nella quale narcisismo, linguaggio dissimulante ed omissioni impediscono di comprendere il significato complessivo degli eventi. I grandi mezzi di comunicazione sono quindi, secondo l’opinione di molti, più controllati di un tempo e la loro credibilità è di conseguenza seriamente danneggiata. Si parla a tal proposito di misinformation (disinformazione), attuata dalle cosiddette “fonti stabili centrali” (Cesareo, 1981) o “fonti privilegiate”, costituite dai soggetti situati ai vertici della struttura del potere politico, militare, giuridico, economico e scientifico. Per informazione ingannevole s’intende pertanto tutto ciò che viene deliberatamente inventato per trasmettere ai lettori una realtà diversa da quella che i media o le fonti d’informazione conoscono. Falsare o inventare un dato è una tecnica molto rischiosa, per il semplice motivo che, qualora la manipolazione venisse scoperta, il prestigio e la credibilità del mezzo di comunicazione ne uscirebbero compromessi. Esistono però alcuni vantaggi nel mettere in atto gli inganni mediatici: oltre all’immediata influenza che si esercita sull’opinione pubblica, è difficile in concreto che i lettori si accorgano dell’inganno, perchè, nella stragrande maggioranza dei casi, essi non hanno gli strumenti per verificare se quanto pubblicato dai giornali corrisponde a verità. E’ quindi molto complesso conoscere la provenienza di un’informazione falsa, perché questa può essere attivata dal Governo, dall’esercito, dalle forze di polizia, dalle imprese, dalle agenzie di stampa o dalla stessa redazione del giornale. Inoltre, anche quando la notizia viene dalla fonte, il medium è sempre un complice, attivo o passivo, dal momento che il suo compito sarebbe quello di controllare le informazioni prima di diffonderle. In particolare è possibile enucleare dalle comunicazioni dei quotidiani due tipologie estreme di situazioni (Casillo, 1997):

  • la mancata pubblicazione di notizie di eventi avvenuti;
  • la pubblicazione di notizie di eventi non avvenuti.

Nella prima eventualità, accanto al totale occultamento di un avvenimento, può essere messo in atto anche il cosiddetto “annegamento della notizia”, che si verifica quando ad un evento non si dà la benché minima rilevanza, liquidandolo con poche righe inserite all’interno di una sezione (o cornice di articoli) in cui si parla, contemporaneamente, di un’altra notizia alla quale viene data la priorità. Un buon esempio è rappresentato dall’informazione riguardante i Paesi del Terzo Mondo. In un’indagine condotta nel 1997 sui quattro maggiori quotidiani italiani ( Corriere della Sera , La Repubblica , La Stampa ed Il Messaggero ), soltanto mille articoli erano stati dedicati, in quell’anno, al Terzo Mondo e di questi solo cento in prima pagina, mentre il 70% era stato pubblicato negli Esteri ed il 2% addirittura nella rubrica della cultura. Inoltre solo l’8% di tutto questo materiale era costituito da inchieste e reportage realizzati da inviati sul campo, quando invece il resto era ricavato da fonti indirette (Antiseri e Santambrogio, 1999). In conseguenza dei suddetti comportamenti della stampa e di tutte le altre operazioni di selezione delle notizie (v. par. 3 del secondo cap.), il pubblico non viene a conoscenza di alcuni fatti del mondo anche importanti e pertanto la sua visione globale della realtà risulta necessariamente limitata. Per quanto riguarda invece la seconda eventualità, quella cioè di creazione di eventi mai avvenuti, essa può ricondursi alla suddivisione delle notizie in:

  • falsi giornalistici , ovvero la risultante di azioni ed iniziative, consapevoli o inconsapevoli, che hanno luogo nel contesto editoriale e che portano a confezionare false informazioni per i lettori. Se il risultato (la notizia ingannevole) è conseguenza di un atto deliberato del giornalista, abbiamo i falsi propriamente detti. Se, invece, esso è frutto di una manovra preparata ad arte da soggetti esterni alle redazioni ed il giornalista è solo colpevole di negligenza ed incompetenza, per non aver verificato il fatto prima della sua pubblicazione, abbiamo le cosiddette “bufale”, che rappresentano delle vere e proprie trappole per i quotidiani;
  • fattoidi .

1.2 I “fattoidi”

Con l’espressione “fattoidi” (Casillo, 1997) s’intende far riferimento ad eventi mai avvenuti, dotati di peculiarità e caratteristiche anomale e curiose, ma plausibili e verosimili, sul cui conto circolano nel tessuto sociale indizi liberamente disponibili a tutti i mass media, che possono far supporre (con maggiori o minori forzature) una loro reale esistenza. Essi si basano, in sostanza, sul “si dice” della gente, sul pettegolezzo e sulla diffusione di leggende più o meno credibili. I fattoidi, proprio in ragione dei connotati fuori dell’ordinario che li contraddistinguono, si presentano giornalisticamente appetibili ed il redattore che si è casualmente imbattuto in essi, catturato dalla loro notiziabilità, li traduce spesso in avvenimenti di cronaca senza sottoporli ad alcuna verifica preventiva, supplendo con dosi variabili di fantasia ad eventuali lacune e contraddizioni degli elementi in suo possesso. Rientrano in questa definizione anche le notizie false che frequentemente nascono da osservazioni individuali inesatte o testimonianze imperfette. Queste sono meglio conosciute come “leggende metropolitane” e parlano di avvenimenti improbabili, ma raccontati come veri. Le leggende metropolitane sono fondate sul meccanismo semiotico della menzogna: si tratta di narrative artificiali mascherate da narrative naturali (Volli, 200). Sono storie che viaggiano di bocca in bocca e che, pur essendo inventate, vengono presentate come resoconti di fatti realmente accaduti. Nonostante la loro indimostrabilità (le leggende urbane non sono mai attribuite a qualche fonte sicura), queste vicende appaiono credibili perché confermano i timori inconfessati di chi le legge. L’aspetto più sorprendente delle leggende metropolitane è che nascono, vivono e si diffondono nella società anche perché, molte di esse, sono l’espressione di un mondo che già nella realtà genera accadimenti apparentemente leggendari ed assurdi, ma di cui si ha la certezza che siano realmente accaduti. Spesso è quindi difficile capire se la leggenda si fonda su un fatto di cronaca o se finisce per dare vita ad un fatto di cronaca. In ogni caso è comunque da sottolineare la complicità dei mass media, ed in particolare dei quotidiani, nella propagazione delle leggende metropolitane. Nessun giornale può infatti sostenere di non aver mai attinto al curioso e stuzzicante repertorio delle leggende metropolitane, perfino nell’ambito di importanti argomenti ed inchieste d’attualità.

2 Commenti

  1. Telkom University

    How do television emitters understand and measure audience satisfaction?

    Regard Telkom University

    Rispondi
    • Steve Round

      Through the meter, an electronic device installed in televisions that automatically detects the channel they are tuned to and transmits the information to Auditel, the company that measures the television audience.

      Rispondi

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Share This