Lo sviluppo del bambino
Indice
Capitolo terzo (terza parte) STAMPA, TV E BAMBINI
3 Lo sviluppo del bambino
Lo “sviluppo” può essere definito come la modificazione strutturale e funzionale di un organismo che abbia carattere permanente. Questi cambiamenti seguono un percorso lineare ma discontinuo ed alcuni di essi sono abbastanza netti da poterli suddividere in Fasi, prevedibili ed uguali per qualsiasi individuo e come tali soggette a leggi generali. Lo sviluppo è biologico e psicologico: il primo è endogeno e indipendente dall’ambiente fisico, che può però, in certi casi estremi, inibirlo o bloccarlo, ma anche accelerarlo; lo sviluppo psicologico è invece frutto di un processo interattivo che deriva dal legame e dall’incontro tra ambiente ed organismo. L’essere umano non smette mai di evolversi, anche se in certi casi e periodi della vita lo sviluppo è molto rapido e caratterizzato da stadi chiari e distinti. All’inizio dell’esistenza lo sviluppo è uguale per tutti, mentre con il trascorrere degli anni esso conosce una certa irregolarità, poiché risulta sempre più influenzato da fattori variabili esterni, come per es. le esperienze sociali e le scelte lavorative. Appena nati la crescita corporea è molto veloce, così come quella neuro-psichica. Lo status funzionale del primo mese di vita è particolarmente importante anche dal punto di vista della capacità di sentire e di elaborare percettivamente gli stimoli. Lo studio della progressione delle capacità motorie in rapporto all’età è un valido criterio per diagnosticare la regolarità dello sviluppo e la buona salute del bambino. Questo criterio utilizza scale di misura che sostanzialmente operano un confronto tra quello che il bambino fa e quello che un pari età medio-normale è in grado di fare. Allo sviluppo senso-motorio segue quello intellettivo. La teoria piagetiana (v. par. successivo) ritiene che lo sviluppo cognitivo dipenda dall’interazione adattiva dell’organismo con l’ambiente, ma allo stesso tempo anche la maturazione biologica e la trasformazione della struttura dell’organismo hanno un ruolo importante, tramite leggi proprie interne indipendenti dalle sollecitazioni esogene e dagli apprendimenti. Tra i due ed i sei anni si assiste ad un grande sviluppo delle capacità di uso del linguaggio, che, attraverso un’ampia linea evolutiva, permettono al bambino di arrivare a padroneggiare il linguaggio verbale. Questa linea è costituita da un avvicendarsi di manifestazioni, evidenti soprattutto lungo l’arco dei primi quattro anni di vita, alla fine delle quali il bambino possiede un sistema linguistico che presenta, pur con le dovute differenze, molti punti di contatto con quello degli adulti. In particolare, si passa dallo stato iniziale prelinguistico , comprendente emissioni sonore che rimandano a stati fisiologici o che sono prodotte da impulsi motori casuali, a quello in cui i suoni vengono utilizzati come segnali per gli adulti. Intorno al sesto mese compare la cosiddetta “lallazione”, ovvero sono ripetuti in continuazione gruppi sonori simili a sillabe. Le tappe successive più importanti sono rappresentate dall’apparire, verso i dodici mesi, delle prime parole e dall’aumento del loro numero (più di 3 e meno di 50). A diciotto mesi compaiono frasi formate da combinazioni di due o più termini ed è in questo periodo che si ha, nello sviluppo linguistico, una fase monoverbale detta protolinguistica , dove inizia l’intento comunicativo del bambino che si esprime con una parola alla volta. A due anni si assiste ad un arricchimento del vocabolario e le frasi in certi casi sono addirittura composte da cinque parole. A tre anni il patrimonio lessicale giunge ad un migliaio di parole, pronunciate quasi sempre in modo molto chiaro, mentre dopo i quatto anni le trasformazioni si fanno meno evidenti, ma continuano a prodursi ed a operare. Il linguaggio verbale diventa così uno mezzo particolarmente duttile, in grado di permettere l’espressione di qualsiasi contenuto di pensiero e di svolgere l’importante funzione di strumento essenziale del processo di socializzazione attraverso cui il soggetto diventa membro attivo della società.
3.1 Gli stadi di sviluppo di Piaget
Lo svizzero Piaget è noto per le sue ricerche sulla psicologia dell’età evolutiva e sull’epistemologia genetica. Quest’ultima è la disciplina che studia le origini della conoscenza ed i meccanismi psicologici che consentono il suo svilupparsi, passando, per mezzo di tappe intermedie, da forme di organizzazione psicologica più primitive a forme più evolute (Petruccelli, 2004). Piaget dimostrò innanzitutto l’esistenza di una differenza qualitativa tra le modalità di pensiero del bambino e quelle dell’adulto e poi che il concetto di capacità cognitiva e quindi di intelligenza è strettamente legato alla capacità di adattamento all’ambiente sociale e fisico. Secondo Piaget i due processi che caratterizzano l’adattamento sono l’assimilazione e l’accomodamento:
- l’ assimilazione consiste nell’incorporazione di un evento o di un oggetto in uno schema comportamentale o cognitivo già acquisito. In pratica il bambino utilizza un oggetto per effettuare un’attività che fa già parte del suo repertorio motorio oppure decodifica un evento in base ad elementi che gli sono già noti (p.es. gli oggetti nuovi portati alla bocca dal bambino);
- l’ accomodamento consiste nella modifica della struttura cognitiva o dello schema comportamentale per accogliere nuovi oggetti o eventi che fino a quel momento erano ignoti (nell’esempio precedente, se l’oggetto è difficile d’afferrare il bambino dovrà modificare la presa).
I due processi si alternano alla costante ricerca di un equilibrio fluttuante ( omeostasi ), ovvero di una forma di controllo del mondo esterno. Nei suoi studi sull’età evolutiva Piaget notò che vi erano periodi dello sviluppo nei quali prevaleva l’assimilazione, periodi nei quali prevaleva l’adattamento e periodi di relativo equilibrio. Elaborò così una distinzione degli stadi di sviluppo cognitivo, individuandone in particolare tre, di cui i primi due divisi in fasi:
- stadio senso-motorio (dalla nascita ai due anni circa) . Come implica il nome, il bambino utilizza i sensi e le abilità motorie per comprendere ciò che lo circonda, affidandosi inizialmente ai soli riflessi e più avanti a combinazioni di capacità senso-motorie. Sono individuabili sei fasi:
- la prima, dalla nascita all’età di un mese e mezzo, è dominata da un’ attività riflessa ;
- la seconda, dal mese e mezzo ai quattro mesi, è detta delle reazioni circolari primarie , in quanto il bambino sviluppa la ripetizione di un’azione casuale per ritrovarne gli effetti gradevoli
- la terza, dal quarto all’ottavo mese di vita, è chiamata delle reazioni circolari secondarie , perché il bambino osserva con interesse i risultati delle sue azioni che iniziano ad essere intenzionali;
- la quarta, dagli otto ai dodici mesi circa, è quella in cui il bambino è in grado di riprendere un’azione su un oggetto dopo averla interrotta ( reazioni circolari differite );
- la quinta, dall’anno di vita ai diciotto mesi, delle reazioni circolari terziarie , che consiste nello stesso meccanismo della precedente fase ma effettuato con variazioni, perché il bambino compie con le sue azioni una sperimentazione attiva ed è sempre alla ricerca di novità
- la sesta, dai diciotto ai ventiquattro mesi, è caratterizzata dall’invenzione di mezzi nuovi , nonché dalla circostanza che le azioni sono ora interiorizzate e pertanto il bambino sviluppa la capacità d’immaginare gli effetti delle azioni che esegue, di fare sequenze di azioni e di descrivere oggetti non presenti nel suo campo percettivo;
- fase pre-operatoria del secondo stadio (dai due ai sette anni circa). In questo periodo l’atteggiamento del bambino è ancora contraddistinto da un egocentrismo intellettuale, perché vede le cose da un solo punto di vista: il suo! Crede che tutti la pensino come lui e che capiscano i suoi pensieri. Pertanto se racconta una storia, lo farà in modo che un ascoltatore che non la conosce non capirà nulla. Il linguaggio è un nuovo mezzo di conoscenza che, partendo dalle parole intese prima come simboli e poi come segni, ovvero significati convenzionali, dà al pensiero ed al linguaggio il requisito di comunicabilità sociale. Il ragionamento del bambino in questa fase non è né deduttivo, né induttivo, ma transduttivo o analogico, dal particolare al particolare. Ciò si traduce in una modalità di comunicazione piena di “libere associazioni” senza alcuna connessione logica ed in cui il ragionamento si sposta da un’idea all’altra, rendendo pressoché impossibile una ricostruzione attendibile degli eventi;
- fase delle operazioni concrete del secondo stadio (dai sette agli undici anni circa). Il termine operazioni si riferisce ad operazioni logiche o principi utilizzati nella soluzione di problemi. Il bambino in questo periodo non solo utilizza i simboli, ma è in grado di manipolarli in modo logico. Intorno ai 6/7 anni egli acquisisce la capacità di conservazione delle quantità numeriche, delle lunghezze e dei volumi. Per conservazione s’intende la comprensione del fatto che la quantità rimane tale anche in caso di variazioni di forma. Verso i 7/8 anni il bambino sviluppa invece la capacità di conservare, nel senso appena visto, i materiali e tale specifica qualità prende il nome di reversibilità. Infine, al compimento dei 9/10 anni, egli raggiunge anche l’ultimo passo della conservazione, ovvero la conservazione della superficie. Messo di fronte a dei quadrati di cartoncino si rende conto che essi occupano la stessa superficie, sia quando sono tutti vicini, sia quando sono sparsi;
- stadio delle operazioni formali (dai dodici anni in poi). Nella fase delle operazioni concrete il bambino ha delle difficoltà ad applicare le sue competenze a situazioni astratte. Dopo i dodici anni invece il pensiero diventa ipotetico-deduttivo , perché opera su premesse ipotetiche e ricava le conclusioni logiche che discendono da esse. In particolare, è ipotetico in quanto è in grado di variare i fattori di un fenomeno per verificarne le cause ed è deduttivo perché stabilisce, attraverso deduzioni e induzioni, relazioni logiche tra fatti e leggi generali. La realtà non è più la fonte degli atti di conoscenza del bambino, ma viceversa è vista come una delle manifestazioni del possibile.
Da questo momento in poi il pensiero continua a svilupparsi per tutta l’età adulta, attraverso l’applicazione delle operazioni formali ad un numero crescente di situazioni. Il passaggio da uno stadio all’altro e la ricerca quindi di un equilibrio sempre più maturo è la conseguenza dell’agire di quattro fattori:
- maturazione fisica;
- esperienza con oggetti fisici;
- esperienza sociale;
- equilibrazione.
3.2 Il costruttivismo
In psicologia clinica il costruttivismo è un approccio teorico fondato sulla comprensione, strutturale e dinamica, del sistema di significati soggettivi dell’altro. L’iniziatore del costruttivismo è stato, oltre a Piaget con la sua epistemologia genetica (v. sopra), lo psicologo statunitense Kelly, che negli anni ’50 formulò la sua teoria dei “costrutti personali”, dando vita a delle proficue riflessioni sulla recente scienza cognitiva detta “di secondo ordine”. I principali assunti costruttivisti sono:
- l’individuo partecipa attivamente alla costruzione della conoscenza;
- in ogni soggetto esiste una struttura cognitiva di base che dà una determinata forma all’esperienza;
- l’uomo è visto come un sistema auto-organizzantesi che protegge e mantiene la propria integrità ( autopoiesi ).
Concetto fondamentale del costruttivismo è che la conoscenza umana, l’esperienza, l’adattamento, sono caratterizzati da una partecipazione attiva dell’individuo. La realtà non viene considerata come qualcosa di oggettivo, indipendente dal soggetto che ne fa esperienza, perché è il soggetto stesso che la crea, partecipando in maniera attiva alla sua costruzione. Egli è al contempo costruttore e ordinatore della realtà, colui che stabilisce un ordine tra i tanti possibili, e non un ordine qualsiasi, bensì quello a lui più utile e funzionale alle proprie attività. E’ quindi messa in discussione la possibilità di una conoscenza oggettiva, un sapere totale che rappresenti in modo fedele un ordine esterno indipendente dall’osservatore, e la stessa osservazione diretta dei fenomeni non è più considerata fonte privilegiata di conoscenza obiettiva. L’ambiente, così come percepito dagli uomini, è una loro invenzione, e tutto ciò che è detto, è detto da qualcuno. Non esistono fatti “nudi”, ovvero al di fuori delle teorie, ma al contrario ogni osservazione è ritenuta possibile solo alla luce di teorie. Nessuna conoscenza è data dall’ambiente, ma è sempre lo sviluppo di una conoscenza precedente. L’approccio costruttivista tiene in considerazione il punto di vista di chi osserva, di chi esamina, e considera il sapere non ricevibile in modo passivo, ma il risultato delle azioni di un soggetto attivo. La realtà è pertanto creata dagli uomini, dal loro continuo esperire con essa e si forma nei processi d’interazione, nonché mediante l’attribuzione di significati all’esperienza umana. In sostanza ogni individuo costruisce una sua mappa di significati, che gli permette di vivere in quello che considera e sperimenta come il suo mondo. Le dirette conseguenze dei tale approccio riguardano l’inammissibilità di una distinzione netta tra colui che osserva e chi è osservato, perché entrambi si definiscono come tali attraverso la reciproca interazione. Ciò che viene osservato non sono cose, proprietà o relazioni di un mondo che esiste indipendentemente dall’osservatore, bensì delle interpretazioni della realtà effettuate dall’osservatore stesso, in seguito alla propria attività nell’ambiente. E’ ovvio che questi presupposti siano visti come una minaccia per la scienza, a causa dell’impossibilità d’individuare criteri razionali ed imparziali con cui studiare, da un’unica visuale, la realtà. Partendo da tali premesse costruttiviste viene elaborata una moderna psicologia dello sviluppo, il cui scopo è quello d’arrivare a conoscere sia il significato ed il valore che le persone attribuiscono alla propria esperienza, sia le modalità con cui progrediscono le loro conoscenze, da utilizzare nelle esperienze successive in modo d’anticiparne i fatti. L’anticipazione rappresenta il tentativo di definire delle costanti per imporre un minimo d’ordine alla realtà, mediante l’assimilazione e la differenziazione dei diversi elementi. Per anticipare eventi in maniera utile, ciascuna persona sviluppa, con caratteristiche particolari, un sistema costruttivo che comporta relazioni ordinali tra i costrutti. Questo significa che i costrutti sono ordinati gerarchicamente: si collocano al vertice quelli che si riferiscono a dimensioni più centrali e che rispondo ai “perché” fondamentali della propria esistenza; si collocano invece in posizione periferica quelli che si riferiscono a dimensioni concrete e che rappresentano la “manifestazione visibile” dei propri perché. I costrutti consistono essenzialmente in discriminazioni che una persona può operare e sono perciò astrazioni teoriche che devono misurarsi con i fatti attraverso la previsione, altrimenti non sarebbe possibile alcun rapporto con la realtà. Ciascun individuo vede la realtà attraverso gli “occhiali” del suo sistema personale di costrutti. Il compito fondamentale di ogni sistema individuale di conoscenza è quindi la capacità di costruire previsioni rispetto a ciò che potrà accadere, in modo da programmare adeguatamene le proprie azioni in funzione degli scopi attivati in qualsiasi momento specifico. Le previsioni così costruite possono essere più o meno vere rispetto alla realtà ontologica, ma quello che conta maggiormente è che esse rappresentino modelli utili per orientarsi e muoversi all’interno del proprio mondo.
3.3 L’apprendimento sociale di Bandura
La vita dell’essere umano è costellata nei primi anni dal ripetersi di esperienze dirette, alcune delle quali risulteranno positive, cioè foriere di sensazioni piacevoli, altre negative. In questo modo ognuno ha cominciato a padroneggiare il mondo che lo circonda, a capire cosa “è bene” e cosa “è male”, a capire ciò che si può continuare a fare e ciò che è meglio non ripetere. A questo meccanismo di “prova delle esperienze” si aggiunge la capacità di apprendere anche senza sperimentare direttamente, ma soltanto osservando gli altri e studiando quali sono le conseguenze di azioni compiute da altri. Alla fine degli anni ’70 del secolo scorso, lo psicologo americano Bandura decise di analizzare a fondo questo tipo di apprendimento. Prese allora due gruppi di bambini e li mise in due stanze diverse, in ognuna delle quali c’era un televisore. Uno di questi trasmetteva filmati con scene di farfalle e di fiori, mentre l’altro trasmetteva filmati dove erano rappresentate scene di lotta e di violenza tra i personaggi. I due gruppi furono poi spostati in un’altra stanza, piena di giocattoli e si osservò che i bambini esposti alle scene di violenza avevano, rispetto agli altri bambini, comportamenti maggiormente aggressivi nei confronti di questi e dei giocattoli. Tale meccanismo venne chiamato di apprendimento sociale e fu definito come la tendenza di un individuo ad adottare comportamenti visti porre in atto dai propri simili, che fungono da modelli e sui quali gli stessi comportamenti non hanno avuto conseguenze negative. E’ evidente come alla luce di questa teoria, in seguito accettata dal mondo psicologico, risulti molto più facile spiegare alcune condotte. Bandura afferma che si possono distinguere tre processi fondamentali nell’apprendimento per osservazione:
- l’acquisizione . L’osservazione può arricchire il repertorio comportamentale del soggetto di nuove azioni, in precedenza non presenti e non pensate, che vengono percepite e memorizzate e diventano quindi disponibili (anche se l’attenzione gioca un ruolo fondamentale in tale processo);
- l’esecuzione o “performance” . Si tratta della messa in atto del comportamento divenuto disponibile; essa dipende dalla memorizzazione e ripetizione mentale della sequenza, dal precedente possesso di abilità e sequenze di azioni eventualmente implicate in quella nuova e dalla consonanza con bisogni ed aspettative personali;
- il mantenimento . Riguarda i requisiti necessari per il consolidamento dell’azione come modalità comportamentale stabile e richiede la presenza di condizioni motivanti (p.es. la possibilità di identificarsi nel modello osservato).
Sono tre gli elementi che possono qualificarsi come fondamentali attivatori dei processi di apprendimento:
- l’human agency o agentività umana;
- il perceived self-efficacy o auto-efficacia percepita;
- la moral disengagement o disimpegno morale.
La caratteristica dell’ human agency consiste nella facoltà di generare azioni mirate a determinati scopi. La mente umana è in grado di agire e reagire grazie alle sue basilari capacità di:
- simbolizzazione;
- anticipazione;
- apprendimento osservativo;
- autoriflessione;
- autoregolazione e autocontrollo.
In particolare con l’ apprendimento osservativo il bambino impara a riprodurre i comportamenti che ha visto fare e riceve dei feedback circa la somiglianza del suo comportamento al modello. Il comportamento influenza il pensiero e le aspettative e ciò a sua volta influenza il comportamento. L’ autoregolazione e l’autocontrollo , invece, spiegano come la metacognizione (il funzionamento intellettivo) riesca a gestire gli aspetti di problem solving . Chi ha una maggiore capacità di autoregolazione ottiene risultati scolastici migliori, perché può contare su un’abilità superiore nell’applicazione alle materie scolastiche. L’auto-efficacia percepita o perceived self-efficacy è l’attitudine del soggetto a portare a termine un compito, che incide sull’esito del compito stesso. Essa rappresenta la percezione che una persona ha delle proprie competenze ed influenza la scelta dei suoi comportamenti. Inoltre l’auto-efficacia è un importantissimo fattore d’influsso sulla motivazione. I bambini si costruiscono una conoscenza della propria efficacia in virtù di queste informazioni:
- i successi;
- le esperienze vicarie;
- la persuasione verbale;
- lo stato fisiologico.
Spesso si verificano delle distorsioni circa le proprie performanc e, che possono portare il soggetto a sottostimare la sua efficacia. Le convinzioni di efficacia operano come fattori essenziali nella carriera scolastica, in quanto forniscono o meno agli studenti la capacità d’affrontare con successo l’apprendimento delle varie materie. Una bassa auto-efficacia accresce la vulnerabilità e l’ansia scolastica, mentre un’alta auto-efficacia permette di padroneggiare le abilità scolastiche e di risolvere i problemi in modo migliore ed in minor tempo (capacità di problem solving ). Inoltre l’auto-efficacia, anche attraverso l’influenza sull’immagine di sé, incide significativamente sull’autostima dell’individuo. L’autostima rappresenta una combinazione di pensieri e sentimenti che si esprime nel valore positivo o negativo che la persona si attribuisce e che è pertanto in grado d’innescare un circolo virtuoso di valorizzazione di sé, oppure, al contrario, un circolo vizioso di svilimento di sé. Il moral disengagement o disimpegno morale è un meccanismo cognitivo attivato a difesa dell’autostima o come conseguenza della perdita della stessa. Consiste quindi in una tecnica di neutralizzazione che il soggetto attiva per aderire a scelte devianti rispetto al sistema di valori interiorizzati. In altri termini, è un attivatore che permette all’individuo di giustificare e rendere accettabile il suo comportamento deviante, riducendo la distanza tra l’azione e le norme condivise. Per Bandura il disimpegno morale consiste nelle seguenti strategie, messe in atto dalla persona per svincolarsi dalle norme e dalla responsabilità:
- la giustificazione morale;
- l’etichettamento eufemistico;
- il confronto vantaggioso;
- il dislocamento della responsabilità;
- la diffusione della responsabilità;
- la distorsione delle conseguenze;
- la de-umanizzazione della vittima;
- l’attribuzione di colpa.
Il giudizio morale implica 2 processi separati:
- gli elementi ritenuti “a rilevanza morale” sono estrapolati da tutti gli altri;
- gli elementi scelti sono soppesati sulla base di regole morali per giudicare una condotta.
Il rapporto tra pensiero e condotta è quindi mediato dall’attività morale ed il giudizio morale implica l’esercizio di autocontrollo e di autoregolazione, al fine di censurare preventivamente le azioni che violano i criteri personali di moralità. La condotta trasgressiva è frutto delle pressioni sociali a comportarsi in violazione dei propri criteri ed un basso senso di efficacia autoregolatrice accresce la vulnerabilità del soggetto verso queste pressioni, favorendo di conseguenza una condotta trasgressiva.
3.4 La stampa e la TV nello sviluppo
Per quanto detto, diventa importante considerare il ruolo che oggi stampa e TV rivestono nella società, studiandone gli effetti sia sullo sviluppo cognitivo, sia su quello relazionale. E’ indiscutibile che il mondo è ormai compreso solo attraverso sistemi di significato, che sono forniti dai media in generale e da stampa e televisione in particolare. Soprattutto quest’ultima consente di condividere strutture e contenuti, con i quali si può innanzitutto capire il mondo e poi ricevere stimoli conoscitivi che permettono di avvicinarsi ad esperienze e realtà anche molto lontane. Quando però il pubblico non è di adulti, ci sono delle ulteriori conseguenze che non è possibile trascurare. Un consumo massiccio di TV, per esempio, toglie al bambino la possibilità di fare esperienze con i pari in contesti di piccolo gruppo. L’occasione di tali esperienze non è rappresentata solo dal tempo-scuola, ma pure dalle attività meno strutturate, quali il gioco, gli incontri occasionali ed i momenti di svago sportivo. Se si paragona il modo di vivere di un bambino di quarant’anni fa con quello di un bambino di oggi, è immediato cogliere quanto la TV abbia modificato i ritmi di vita. I bambini allora giocavano all’aperto, nei cortili, nelle strade, nelle piazze e nei parchi pubblici. La loro cultura dominante era quella del gioco, trasmessa tra di essi in modo spontaneo. Oggi per i bambini è diventato più difficile trovare compagni di gioco disponibili, ovvero bambini liberi da “impegni”, come lezioni di musica o di ginnastica, oppure bambini non immersi in qualche video-game o programma televisivo, in grado di catturare la loro attenzione al punto da diventare appuntamento imperdibile e irrinunciabile. La giornata di questi bambini risulta spesso scandita dal menù televisivo quotidiano e, il più delle volte, i giochi sono imitazioni di quelli visti in TV, oppure, peggio ancora, sono messi in vendita da case produttrici che sfruttano i modelli dei cartoons più gettonati. Un’altra importante riflessione sullo sviluppo cognitivo è motivata dalla constatazione che nella società la scrittura non costituisce più, come in passato, l’unico canale di comunicazione per trasmettere le conoscenze. Il bambino è per natura un visivo, quindi facilmente attratto dalle immagini, in particolare se in movimento e colorate e ciò è facilitato dal fatto che egli, di fronte allo schermo, ha l’impressione di capire il significato pieno delle immagini, senza apparente fatica, al contrario invece della difficoltà che incontra per decodificare un messaggio verbale, soprattutto quando è stampato. La televisione è un mezzo facile: a differenza della lettura, l’assistere ad un programma televisivo non richiede un particolare sforzo cognitivo (di conseguenza il notevole apprendimento ottenibile dalla lettura di un libro non si ha con la semplice visione ). Anche scuola e famiglia non rappresentano più le agenzie principali di questo processo, perché, fin dall’inizio della propria vita, il bambino è subito immerso in un contesto in cui l’ oralità secondaria (Ong, 1982) rappresenta il canale privilegiato: essa è costituita dal bombardamento di informazioni in cui prevalgono gli aspetti legati ai suoni ed alle immagini. Per questo l’Italia si sta avvicinando a rapidi passi alla media americana: i ragazzi tra i sette e gli undici anni trascorrono ogni giorno una media di 3 ore e mezza davanti alla TV. Quando c’è sovraesposizione le ricerche dimostrano il pericolo di conseguire una serie di danni: dalla diminuzione dell’attenzione e delle capacità di lettura, alla perdita delle relazioni tradizionali e dei loro valori, all’aumento del comportamento aggressivo e nello stesso tempo della passività e della dipendenza. Molto probabilmente le prossime generazioni saranno composte da ascoltatori piuttosto che da lettori, abituati fin dalla più tenera età all’esperienza emotiva e sempre più coinvolgente delle immagini e dei suoni, in quanto consumatori assidui dei media multi-tasking . Ma per comprendere bene cosa stia cambiando è necessario confrontare tra loro i due attuali modelli d’informazione: da una parte quello che utilizza il testo scritto, che è digitale, sequenziale e riflessivo, poiché privilegia l’esercizio del pensiero riflessivo e favorisce, con l’attivazione reiterata dei processi cognitivi, lo sviluppo del metalinguaggio e l’accesso alla metacognizione; dall’altra quello della televisione, che privilegia invece un modello di comunicazione analogico, parallelo, in cui gli aspetti emotivi indirizzano e anticipano i processi di comprensione, con il risultato di limitare le possibili interpretazioni all’interno di uno schema di esaltazione degli aspetti empatici e percettivi. In conclusione, c’è un aspetto specifico che non può essere sottovalutato e cioè quello riguardante il ruolo della TV nei processi imitativi. L’idea che i bambini possano essere in pericolo quando esposti senza difesa alla forza dei meccanismi di imitazione indotti dagli spettacoli televisivi, in particolare di quelli violenti, ha lontane radici, fondate anche su una concezione tradizionale dell’apprendimento. Gli esperimenti di Bandura sui processi imitativi (v. par. precedente) hanno rafforzato questa convinzione, soprattutto dopo l’osservazione dei comportamenti imitativi di bambini esposti a filmati violenti.
How do television emitters understand and measure audience satisfaction?
Regard Telkom University
Through the meter, an electronic device installed in televisions that automatically detects the channel they are tuned to and transmits the information to Auditel, the company that measures the television audience.