Evoluzione del potere dei media e comunicazione digitale
Una tesi di Laurea sul potere dei media e la comunicazione digitale

da | 23 Nov 2006 | Comunicazione | 2 commenti

Messaggio pubblicitario

Capitolo terzo (quinta parte) STAMPA, TV E BAMBINI

5 Il rapporto dei bambini con il messaggio pubblicitario

La fruizione della pubblicità da parte dei bambini rappresenta uno dei maggiori temi di discussione e confronto tra gli studiosi del settore, i quali hanno prestato attenzione soprattutto al “potere” della pubblicità di indurre un determinato comportamento di consumo e di proporre modelli di comportamento ritenuti non adatti al pubblico dei minori. I bambini concepiscono il messaggio pubblicitario come parte integrante dei programmi televisivi, in particolare quando ritrovano i personaggi preferiti dei cartoni animati che si rivolgono a loro in prima persona, o ancora quando si compiacciono nel vedere i biscotti che hanno appena mangiato a colazione o i giochi con i quali trascorrono parte della giornata. Sono ormai lontani i tempi in cui la pubblicità era relegata al “Carosello”, circoscritta cioè all’interno di uno spazio di programmazione determinato e limitato. Oggi la pubblicità si pone con soluzione di continuità all’interno del palinsesto giornaliero, rappresentando un genere televisivo con le proprie logiche e caratteristiche, al pari di un varietà, una fiction , un quiz o un cartoon . E tuttavia, se si accetta che i bambini imparano presto a gestire il linguaggio della TV, ciò è ancor più vero a proposito della pubblicità, verso la quale i bambini si ritengono dei “piccoli esperti”, capaci di analizzarne la struttura narrativa e valutarne l’efficacia persuasiva. Seppur amalgamata nel fluire ininterrotto di comunicazione televisiva, rispetto ad altri generi la pubblicità mostra la peculiarità di definirsi come “subcultura preadolescenziale” (da intendersi il termine “subcultura” nel suo significato sociologico di insieme di atteggiamenti specifici di uno strato sociale ), creando e consolidando legami sociali e di appartenenza fra coetanei. I bambini sanno tutto o quasi degli spot , così come conoscono benissimo alcune categorie di prodotti pubblicizzati e dichiarano di aver “scoperto”, con gli spot , l’ultimo gioco o il miglior snack, ma soprattutto essi parlano fra di loro con il linguaggio degli spot (Statera, 1980). La pubblicità è spesso uno spunto d conversazione con gli amici, non solo in riferimento al prodotto reclamizzato, ma alle immagini utilizzate, alla presenza di testimonial , alle battute, alle musiche ed ai jingle , etc… E’ ormai pacifico che il messaggio pubblicitario può avere anche effetti non del tutto positivi sui piccoli spettatori, soprattutto nella misura in cui esso viene fruito solo attraverso i canali emotivi, tralasciando quelli intellettivo-cognitivi. Inoltre va considerato che gli spot televisivi, se da un lato sono percepiti dai bambini come uno spettacolo, dall’altro è pur vero che cercano di mettere in moto il meccanismo del desiderio, invogliando al possesso (e quindi all’acquisto da parte dei genitori) di quanto è reclamizzato.

 

5.1 Il cliente bambino

Lo spot pubblicitario è una forma di comunicazione televisiva verso cui i bambini sviluppano una forte simpatia, attratti dalla vivacità delle sequenze, dalle musiche, dai personaggi che vi compaiono e dagli stessi prodotti pubblicizzati. Infatti, una breve analisi del rapporto che si instaura tra bambini e pubblicità televisiva deve prendere in considerazione l’atmosfera di serenità, le relazioni positive e di successo che gli spot mostrano, la consueta presenza di bambini, nel ruolo di protagonisti, verso cui i piccoli spettatori si identificano, il ritmo incalzante delle inquadrature, l’uso di alta computer grafica, la ripetizione e così via. In effetti i bambini, molto più degli adulti, seguono con attenzione gli spot televisivi, ricordandone contenuti, struttura, musiche, battute, etc… L’analisi circa la dinamica di fruizione della pubblicità da parte dei minori, pone in luce i meccanismi responsabili dell’attrazione degli spot televisivi nei bambini. In primo luogo viene rivelata la presenza di valori attraenti agli occhi dei piccoli telespettatori (Romana Puggelli, 2002), quali:

  • la brevità spazio-temporale dei messaggi, che consente una fruizione intensa in un arco di tempo estremamente ridotto;
  • la semplicità delle situazioni, che sono sempre familiari e facilmente riconoscibili, tali da renderle immediatamente distinguibili dalle complesse strutture comunicative messe in scena dagli spettacoli veri e propri;
  • la semplicità verbo-iconica degli spot , che contengono spesso poche parole, ripetute e associate in maniera stretta alle immagini, cosa che ne facilita al massimo la comprensione e l’assimilazione;
  • l’attrazione dei modelli proposti, legati a modalità di comportamento largamente diffuse e la cui assunzione viene ritenuta tale da poter offrire un miglior grado di inserimento e accettabilità nel gruppo dei pari.

Inoltre, vengono individuate le caratteristiche formali degli inserti promozionali, che facilmente fanno penetrare la pubblicità nel linguaggio e nel modo di pensare dei bambini:

  • l’attività promozionale richiede continuamente attenzione ed i continui movimenti sullo schermo evocano un’altrettanto continua risposta dello spettatore; il sistema nervoso si attiva infatti a ogni cambio di scena, di inquadratura, all’aumento del volume della musica, etc…;
  • la brevità delle singole sequenze televisive, in cui i rapporti spazio temporali sono vividi e ben delineati, trova la sua applicazione migliore nella brevità delle sequenze pubblicitarie;
  • la mancanza di effetti di inferenza cognitiva: non c’è alcuna possibilità per i bambini di riflettere su quanto hanno appena visto, in quanto le immagini e i suoni successivi sommergono immediatamente quelli precedenti;
  • la complessità della presentazione plurisensoriale, tipica del mezzo televisivo, in cui vista, udito e parola scritta agiscono simultaneamente, sollecitando il sistema nervoso;
  • l’orientamento visuale della televisione, che minimizza l’attenzione verso altre sorgenti di informazione, impedendo quindi la distrazione durante la visione stessa;
  • il forte range emozionale che la televisione è in grado di evocare; ogni azione presentata in televisione è molto più forte che in qualsiasi altro medium.

Infine, non è da sottovalutare l’atmosfera predominante, che, soprattutto negli spot per bambini, è spesso quella familiare. Il clima della famiglia, infatti, imprime agli spot pubblicitari un carattere di armonia e serenità, che i bambini percepiscono e identificano (o di cui si auspicano l’identificazione) con lo stesso clima che vivono all’interno delle mura domestiche.

5.2 Il fattore assillo

La vita quotidiana degli individui è ormai sottoposta ad un bombardamento costante di stimoli, molti dei quali intendono indirizzare verso acquisti, mode ed opinioni prefabbricate (anche politiche e religiose) nel modo più rapido possibile: l’obiettivo dei “manipolatori” di professione non è convincere le persone sulla base di validi motivi (per esempio la qualità intrinseca di un prodotto, la sua effettiva utilità ecc.), che richiederebbe troppo tempo, specialmente nella cosiddetta società di massa, ma condizionarle chiamando in causa le emozioni, facendole sentire inadeguate o escluse e inculcando loro delle insicurezze o anche, più semplicemente, creando intorno a quel prodotto (a quell’opinione, comportamento, pseudo-evento, personaggio ecc.) un clima di simpatia, di allegria e/o di condivisione. In particolare, quando questo bombardamento si rivolge alla fascia debole per definizione, ovvero ai bambini, è bene conoscere il funzionamento del fattore assillo (o nag factor ), che è una tecnica introdotta dai psicologi dell’età evolutiva per spiegare il successo del marketing promozionale. Per nag factor si intende il “tormento” (richieste insistenti, capricci, paragoni con gli altri bambini, etc…) che un bambino ben condizionato dalla pubblicità dà ai suoi genitori o ai parenti prossimi affinché acquistino per lui un determinato prodotto, gli consentano di vestire e comportarsi in un certo modo e addirittura di mangiare determinati alimenti, compresi i cosiddetti cibi spazzatura (cosiddetti trash food ), che rendono obesi e danneggiano l’organismo, ma sui quali le grandi compagnie investono considerevoli cifre in pubblicità. Una campagna pubblicitaria ben congeniata può mettere in crisi il rapporto genitore-bambino: il piccolo a cui si dice che una serie di prodotti sono “per lui”, considera “cattivo” l’adulto che non soddisfa le sue “legittime” richieste. Se il messaggio che proviene dai media contrasta apertamente con la volontà dei genitori, questi dovranno fare un lavoro supplementare per convincere i figli a seguire la loro linea educativa, perché, in caso contrario, ad avere la meglio saranno i messaggi pubblicitari, nuovi educatori di molti bambini contemporanei. Le campagne promozionali che hanno come target i bambini (dai due anni in su ed a volte anche di età inferiore) si preoccupano di “fidelizzarli” al prodotto (o meglio ancora alla marca o brand ) il più presto possibile e per ottenere questo mettono a punto strategie volte a manipolare le loro emozioni: per esempio, quelle relative all’attaccamento che i bambini di età prescolare sviluppano nei confronti degli oggetti con cui vengono in contatto e verso le persone ed i personaggi (compresi ovviamente quelli che compaiono sugli schermi) che incontrano quotidianamente. L’obiettivo è infatti triplice:

  • rendere insistenti i bambini nella richiesta di determinati prodotti indirizzati specificamente a loro ( nag factor );
  • ottenere che essi, con le loro richieste, influenzino gli acquisti degli adulti (non solo cibi e giocattoli, ma anche prodotti per la casa, auto, telefonini, etc…);
  • fidelizzarli verso una marca, una confezione, uno slogan, che acquisisce per il piccolo consumatore una risonanza emotiva, la quale, nelle intenzioni dei pubblicitari, dovrebbe accompagnarlo anche negli anni successivi, così da renderlo dipendente da quel determinato prodotto per molto tempo ancora, in quanto l’immagine del prodotto dovrebbe, di per sé, evocare in lui sensazioni gradevoli, di protezione, affetto e sicurezza, oppure di avventura, curiosità ed autonomia.

Per ottenere questo triplice risultato, le grandi compagnie internazionali hanno ingaggiato psicologi che, dietro ampio compenso ed a conoscenza dei bisogni fondamentali dei bambini e dei moti del loro inconscio, mettono le loro conoscenze a disposizione dei pubblicitari. Questi ultimi, grazie alla collaborazione degli psicologi, ma anche di sociologi ed esperti di comunicazione, realizzano quindi delle strategie che variano in rapporto all’età del target ed alle caratteristiche del prodotto. Con i più piccini negli spot utilizzano animali, movimenti lenti (che annoiano gli adulti), colori, ritmi musicali con parole semplici ed orecchiabili ( jingle ), piccole vicende di vita quotidiana e naturalmente le confezioni (p. es. degli alimenti), che rappresentano un aspetto fondamentale del marketing. Infatti, se l’obiettivo è condizionare e non convincere, la qualità del prodotto è irrilevante rispetto alla confezione. Altre tecniche, variabili con l’età, sono le collezioni di giocattoli o figurine che vengono “regalate” con il prodotto, i cibi modellati (con forme di animali e personaggi dei fumetti) e colorati artificialmente e l’abusato abbinamento con i personaggi dei cartoons . Con i più grandi funzionano le star del calcio, del cinema e della musica pop. A questo proposito è importante ricordare che il senso critico, anche quando è sviluppato, non sempre ha la meglio sulle emozioni e i desideri. Per esempio, un ragazzino di undici-quattordici anni può essere ormai del tutto consapevole della finalità persuasiva e manipolatoria della pubblicità che va per la maggiore, ma nonostante ciò può cedere ugualmente al fascino del suo eroe sportivo preferito e di conseguenza desiderare le scarpe che questi reclamizza in TV. Ci sono anche tecniche più subdole che mirano a “inoculare”, nella mente di bambini e ragazzi, insicurezza e insoddisfazione nel caso in cui non riescano a venire in possesso di un determinato prodotto ed a volte la frustrazione può creare una vera e propria ferita narcisistica se altri bambini o ragazzi sono invece in possesso dello status symbol pubblicizzato e (pertanto) di moda in quel momento. C’è per molti lo sconfortante confronto tra la propria vita, il proprio ambiente familiare e quello invece gioioso e brillante in cui si muovono i protagonisti degli spot , coetanei dei piccoli spettatori. Infine, la pioggia di pubblicità cui sono sottoposti i bambini ha anche l’effetto di promuovere, inconsapevolmente, giorno dopo giorno, esposizione dopo esposizione, una mentalità materialistica: valori come la felicità, i rapporti personali ed anche la salute sono tutti legati al possesso di qualcosa e, se non si possiede questo qualcosa, ovvero il prodotto momentaneamente in voga, i bambini si sentono inquieti, infelici ed incompleti.

5.3 I pericoli in agguato

Per quanto scritto sopra, il processo di “convincimento” del bambino, messo in atto dalla visione del messaggio pubblicitario, può essere rappresentato da questo disegno:

convincimento-bambino

Il problema degli effetti della pubblicità sui bambini ha sempre preoccupato sia l’opinione pubblica che gli studiosi sociali, soprattutto dopo la diffusione degli allarmismi circa la possibilità che l’apparato di marketing delle imprese eserciti una sorta di investimento, abituando i minori al condizionamento pubblicitario in modo da “allevare” docili consumatori di domani. E’ pertanto necessario cercare di fare il punto sulla situazione senza cadere in una demonizzazione gratuita del sistema pubblicitario e ponendoci al contrario in un’ottica scientifica. Innanzitutto, si è constatato che i bambini imparano a distinguere la pubblicità televisiva dal resto della programmazione molto presto, intorno ai quattro-cinque anni. Ciò non significa tuttavia che essi siano in grado, a quest’età, di cogliere le caratteristiche peculiari della pubblicità, cioè la probabile divergenza di interessi tra fonte e ricevente, l’intenzionalità persuasiva della fonte e la distorsione dei messaggi, che richiedono invero la capacità di distinguere tra informazioni ed affermazioni da interpretare. Sul piano cognitivo si verifica una diminuzione dell’attenzione dedicata alla pubblicità con l’aumento dell’età, ma anche una maggiore attitudine a ricordarne il contenuto. Gli elementi più facilmente memorizzati sono prima di tutto il prodotto, ma soltanto se questo è gradito, poi la presenza di bambini o di animali nello spot e l’ambientazione nella sfera domestica. Per quanto riguarda l’atteggiamento verso la pubblicità, mentre i bambini più piccoli la giudicano per lo più divertente, dopo i sette-otto anni emerge un certo scetticismo verso di essa, dapprima basato su esperienze personali con specifici prodotti e poi tradotto in un comportamento di sfiducia verso la pubblicità in generale. Per i minori la desiderabilità del prodotto tende a coincidere fortemente con il gradimento dello spot : gli inserti promozionali preferiti sono in genere quelli che pubblicizzano i giocattoli o i prodotti alimentari tipici dell’infanzia (per esempio merendine, bevande gassate, etc…). In quest’ambito è stato rivolto un grande interesse allo studio degli effetti di lungo periodo. Al di là, infatti, delle pressioni che il bambino può esercitare direttamente sull’adulto per indurlo all’acquisto (v. paragrafi 5.1 e 5.2 precedenti), la pubblicità concorre ad influenzare l’immagine che il minore si fa del mondo circostante e del mondo degli adulti. Essa ha quindi anche una funzione di socializzazione, ovvero una funzione che propone modelli di situazioni (per lo più domestiche) e comportamenti ritenuti adeguati ad essi. Inoltre il bambino acquisisce nuove parole aumentando così la propria abilità linguistica. E’ tuttavia da tenere presente che l’analisi del contenuto degli spot rivela una rappresentazione stereotipica della realtà e l’esempio più evidente è senza dubbio quello relativo alla raffigurazione dei rapporti fra i due sessi. Anche gli spot specificamente indirizzati ai bambini e che non utilizzano un’ambientazione domestica presentano rappresentazioni stereotipiche dei generi sessuali: le pubblicità rivolte alle bambine sono confezionate attraverso l’uso prevalente del colore rosa e della musica classica o melodica, mentre quelle rivolte ai maschietti utilizzano toni di colore più accessi e musiche maggiormente ritmate. Questi effetti a lungo termine di socializzazione escono con i ragazzi dalle mura domestiche, nel senso che il linguaggio della pubblicità viene adottato nelle conversazioni dei gruppi giovanili, convergendo nella definizione di una sorta di subcultura specifica dei preadolescenti. Dall’analisi dell’attività promozionale diretta ai minori emerge un altro importante fattore da sottolineare: la concezione degli spot mira sempre più a persuadere attraverso processi che richiedono scarsi sforzi di riflessione sui contenuti. Essa richiama cioè l’attenzione sempre più su elementi periferici. Infatti, negli ultimi anni, è aumentato il ricorso alla musica ed alle semplici associazioni prodotto/colore (che facilitano il riconoscimento del prodotto come appropriato al genere sessuale) ed è aumentata la velocità di presentazione del messaggio (con un maggior numero di cambi immagine per ciascun spot ). Un discorso a parte merita poi l’utilizzo dei bambini nella costruzione degli spot . Quando gli spot sono rivolti ai bambini, i piccoli protagonisti innescano processi di identificazione, dovuti alla somiglianza tra fonte e ricevente del messaggio. Se si considerano gli spot nel loro insieme, si calcola che, in linea di massima, il protagonista sia nel 30% dei casi un uomo, nel 25% una donna e nel 22% un bambino. Tuttavia soltanto la metà degli spot che hanno per protagonista un bambino è effettivamente indirizzata ai bambini. Spesso la presenza del bambino non appare nemmeno funzionale alla storia o al prodotto che viene presentato, ma soltanto all’evocazione di associazioni tra un’emozione positiva, che i bambini suscitano negli adulti, ed il prodotto da comprare.

2 Commenti

  1. Telkom University

    How do television emitters understand and measure audience satisfaction?

    Regard Telkom University

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    • Steve Round

      Through the meter, an electronic device installed in televisions that automatically detects the channel they are tuned to and transmits the information to Auditel, the company that measures the television audience.

      Rispondi

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