Evoluzione del potere dei media e comunicazione digitale
Una tesi di Laurea sul potere dei media e la comunicazione digitale

da | 23 Nov 2006 | Comunicazione | 2 commenti

Teorie della comunicazione

Capitolo primo (seconda parte) LA COMUNICAZIONE TRA INFORMAZIONE E PERSUASIONE

2 Teorie della comunicazione e risposta delle audiences

Le teorie della comunicazione sono nate intorno agli anni Venti e Trenta del Novecento, quando radio e TV si sono affiancate saldamente alla stampa come media di massa e quindi come mezzi di comunicazione facilmente utilizzabili dalla stragrande maggioranza della popolazione dei Paesi occidentali.

Questa imponente presenza dei mass media nella società contemporanea ha suscitato rilevanti preoccupazioni sugli effetti che essi possono provocare nei confronti dei fruitori, sia a livello individuale, sia a livello collettivo e sociale. Il primo obiettivo è stato dunque quello di verificare se i mass media avessero un potere tale da condizionare i comportamenti degli individui. Da tali legittime apprensioni sono nate diverse teorie sulla comunicazione e sui media, chiamate media studies , ciascuna delle quali ha evidenziato particolari aspetti del complesso legame che intercorre tra la fonte del messaggio ed i pubblici destinatari, in funzione degli effetti più o meno gravi che i media possono produrre.

Un’importante classificazione delle teorie sui media e sui loro effetti (McQuail, 1983) è quella che le distingue in tre fasi o ondate:

  1. la prima, alle origini e quindi intorno agli anni Trenta del XX secolo, che sottolinea la possibilità di effetti forti e diretti dei media, capaci di realizzare la manipolazione dei comportamenti;
  2. la seconda, dagli anni Quaranta ai Sessanta dello stesso secolo, che mostra, in una visione più ottimistica, come i media abbiano effetti limitati, a causa della resistenza opposta al messaggio dalle caratteristiche psicologiche individuali dei destinatari e dal contesto sociale;
  3. la terza, degli anni Settanta e Ottanta, che vede, invece, un ritorno degli effetti forti, non più diretti come nella prima ondata, bensì indiretti e di lungo periodo, in grado d’avere conseguenze non sui comportamenti dei destinatari, ma sulle loro conoscenze e credenze.

In realtà esiste, secondo alcuni studiosi (McQuail, 1994 e Wolf, 1992), anche una quarta fase, che va dagli anni Ottanta in poi del Novecento, in cui gli effetti dei media sono in qualche modo “mediati” dalla fruizione “attiva” dell’ audience . McQuail definisce questa quarta fase della influenza negoziata dei media , mentre Wolf la denota con il termine di neolazarsfeldismo (v. par. 2.3.2), per far riferimento alla seconda fase di cui sopra e per sottolineare la rinnovata importanza delle relazioni interpersonali e del contesto sociale, quali fattori di mediazione del potere dei media.

Chiaramente è possibile classificare le teorie riguardanti gli effetti dei media anche senza distinguerle in base all’ampiezza più o meno forte degli effetti stessi, ma, in maniera più salomonica, ponendosi in una prospettiva di media studies che consideri sempre la compresenza dei due orientamenti: quello per il quale i media sono onnipotenti ed in grado quindi di manipolare facilmente il comportamento dei pubblici e quello per il quale gli effetti dei media sono sempre filtrati da diverse variabili, empiricamente verificabili. Per coloro che si posizionano in tale prospettiva, la soluzione accettabile, riguardo al potere dei media, è una forma intermedia tra i due estremi sopra indicati.

E’ arrivato il momento di una maggiore riflessione sulle tipologie di questi effetti dei media, data anche l’importanza che riveste la loro presunta estensione per le teorie che li postulano. Una prima distinzione è, infatti, tra effetti forti e minimi e solo dai primi deriverebbe un potere persuasivo dei media, diversamente incorniciato, a livello teorico, dalle varie visioni di riferimento.

Gli effetti possono, inoltre, essere a breve ed a lungo termine. I primi hanno generalmente conseguenze sui comportamenti dei destinatari, mentre i secondi le hanno sulle loro conoscenze.

Riguardo agli effetti è possibile tracciare due paradigmi culturali, che rappresentano in qualche misura i poli opposti delle diverse concezioni sui media studies . All’estremità degli effetti minimi o limitati c’è il paradigma struttural-funzionalista, secondo il quale la presenza dei media è funzionale all’equilibrio del sistema sociale nel suo complesso ed in tale contesto l’audience avrebbe quindi un ruolo “attivo”. All’estremità opposta, dalla parte degli effetti forti, c’è il paradigma marxista della teoria critica, proprio della scuola di Francoforte (v. par. 3 di questo capitolo), per il quale l’ èlite dominante si serve dei contenuti ideologici, stereotipati e standardizzati dei media per esercitare un controllo sulla “massa”, intesa come un aggregato di persone “passive”.

Da quanto scritto finora emerge un parallelo fondamentale tra effetti dei media e risposta dell’ audience . Nello specifico, ad effetti considerati forti corrisponde inevitabilmente una concezione passiva del pubblico rispetto al messaggio veicolato. E’ il caso per es. della teoria ipodermica (v. par. 2.1) e della teoria critica (v. par. 3).

Viceversa, ad effetti limitati corrisponde generalmente un’ audience attiva, la cui capacità d’interpretazione del messaggio è verificabile sperimentalmente, come per es. nella teoria degli effetti limitati (v. par. 2.3.2) e degli usi e gratificazioni (par. 2.4). In particolare, per audience attiva s’intende la sua elevata capacità di selezione dei contenuti, di interpretazione soggettiva e creazione di significati, nonché di resistenza ai messaggi ideologici.

Indubbiamente all’interno di queste due concezioni estreme di pubblico esistono varie tonalità intermedie ed è per questo che, anziché parlare di una sola audience , si userà spesso il termine audiences (al plurale) o “pubblici”, per sottolineare la presenza di una vasta tipologia di destinatari del messaggio mediatico.

Per concludere, è importante precisare che non tutte le teorie di cui si tratterà hanno avuto una verifica empirica, in quanto alcune di esse sono puramente speculative, non avendo ricevuto il necessario riscontro statistico, per impossibilità pratica o per fatto culturale. E’ anche il caso di rimarcare la sostanziale differenza tra le metodologie sperimentali utilizzate per i media studies in Europa e quelle applicate in USA. Nel vecchio continente il metodo di ricerca è stato inizialmente quello qualitativo o microsociale, forse a causa del carattere di monopolio pubblico che ha da subito assunto la diffusione radiotelevisiva, mentre negli States il metodo d’indagine è stato quello quantitativo, cioè macrosociale, sicuramente a causa del carattere privato e fortemente concorrenziale del mercato radiotelevisivo, che ha imposto ricerche indirizzate a stabilire soprattutto cosa i pubblici desiderassero.

2.1 Teoria ipodermica

Nasce in USA nel periodo tra le due guerre mondiali e rappresenta, più che una teoria, il clima d’opinione che si respirava in quegli anni circa gli effetti dei media. Prendendo il nome dall’immagine dell’ago ipodermico utilizzato per le punture, questa teoria afferma che i messaggi colpiscono personalmente gli individui, in modo diretto e immediato, modificandone opinioni e comportamenti.

Essa postula pertanto effetti forti dei media ed un’ audience passiva e indifesa, per cui si parla di manipolazione e propaganda della comunicazione.

La teoria ipodermica ha come suo fondamento e giustificazione la teoria della “società di massa”. Quest’ultima deriva dalla trasformazione della società preindustriale in società industrializzata e dalla conseguente crescita della divisione e specializzazione del lavoro. In particolare, la società di massa è composta, secondo tale pensiero, da individui:

  • indifferenziati;
  • isolati e atomizzati;
  • anonimi e poco colti;
  • senza organizzazione e leadership ;
  • facilmente suggestionabili;
  • contraddistinti da comportamenti collettivi uniformi.

Di conseguenza tali individui sono il bersaglio ideale per i messaggi propagandistici, che mirano ad ottenere dalla massa un dato comportamento.

Inoltre, a rafforzare ancora di più le conclusioni della teoria ipodermica, c’è, nel clima culturale del periodo, la “teoria dell’azione”, elaborata dall’approccio comportamentista della psicologia behaviorista , che studia il comportamento umano attraverso l’esperimento e l’osservazione. Secondo la teoria dell’azione la società di massa risponde in modo uniforme ed automatico allo stimolo ricevuto dai media e questo meccanismo è descrivibile da un semplice modello comportamentale di questo tipo:

stimolo del messaggio → risposta dell’audience

Ciò esalta ulteriormente l’idea di reazioni meccaniche e condizionate ai messaggi.

Naturalmente non tutti la pensavano come descritto. Di opinione diversa erano i teorici della cosiddetta scuola di Chicago, che rifiutavano la rappresentazione di una massa indifferenziata ed attribuivano ai mass media appena nati grandi potenzialità per la democrazia (ad esempio per dare voce alle minoranze degli immigrati), sia pure sempre nell’ambito di un’ audience ritenuta passiva.

2.2 Modello di Laswell

Nel 1948 Laswell propone un modello di descrizione degli atti comunicativi che ottiene uno straordinario successo, molto probabilmente a causa del fatto che esso è utilizzabile come paradigma di riferimento per le opposte correnti di pensiero riguardanti i media studies : sia quelle che ipotizzano audiences passive, sia quelle per le quali le audiences sono in qualche modo attive.

Secondo tale modello, detto delle “cinque w”, lo studio scientifico del processo comunicativo consiste nel rispondere ed approfondire ciascuna delle seguenti domande:

who? (chi?)

says what? (dice cosa?)

in which channel? (con quale canale?)

to whom? (a chi?)

with what effects? (con quali effetti?)

Infatti, la prima domanda ( control analysis ) permette lo studio degli emittenti, cioè dell’apparato organizzativo dei produttori dei messaggi; la seconda ( content analysis ) approfondisce il contenuto, cioè il messaggio vero e proprio; rispondendo alla terza domanda si analizzano i media che veicolano il messaggio ( media analysis ); il quarto interrogativo consente lo studio dei pubblici (audiences analysis); mentre la quinta ed ultima “w” fornisce una risposta circa gli effetti prodotti dal messaggio veicolato dai media ( effects analysis ).

Di tutti i campi d’indagine indicati, l’attenzione viene posta soprattutto ai contenuti, che permettono di scoprire lo scopo del messaggio, ed agli effetti della comunicazione, considerata, a quei tempi, sostanzialmente asimmetrica, con un ruolo attivo degli emittenti ed una totale passività delle audiences , il cui comportamento è manipolato dal messaggio.

2.3 Teorie delle differenze individuali o dell’influenza selettiva

Gli sviluppi successivi dei media studies sono stati alimentati dalla ricerca amministrativa americana, commissionata dalla pubblica amministrazione, da imprese private e partiti politici, allo scopo di risolvere i problemi pratici (di contenuto e di effetto sui pubblici) delle campagne pubblicitarie ed elettorali.

Tali sviluppi hanno preso in considerazione due variabili precedentemente trascurate:

  • le caratteristiche psicologiche dell’individuo;
  • i fattori sociali di relazione e di differenza (età, sesso, classe sociale, razza, etc…).

Si giunge pertanto alla conclusione che la risposta allo stimolo non è passiva, immediata e meccanicistica, ma è mediata da una certa resistenza dei destinatari del messaggio e si configura quindi in questo modo:

stimolo  → resistenza  → risposta

Due sono le teorie che vengono elaborate all’interno di questo nuovo approccio: la teoria della persuasione e quella degli effetti limitati.

2.3.1 Teoria della persuasione

Nasce, negli anni Quaranta e Cinquanta, dagli studi per stabilire l’efficacia persuasiva ottimale di una campagna di propaganda (politica o pubblicitaria) e continua a considerare le audiences sostanzialmente passive, anche se non si parla più di manipolazione dei comportamenti, ma di persuasione (da qui il suo nome).

L’attenzione è posta sui fattori psicologici individuali, nella convinzione che solo quando i messaggi veicolano opinioni condivise dai destinatari possono avere successo.

Il modello adesso prevede tra lo stimolo e la risposta un filtro costituito dall’organismo, ovvero dalla specificità dell’individuo, con tutte le sue caratteristiche psicologiche (Tolman, 1932). I messaggi persuasivi possono dunque modificare l’atteggiamento, inteso come la predisposizione acquisita ad agire in un certo modo, e questo può a sua volta modificare il comportamento (d’acquisto o di voto). Per cui, il processo è così modificato:

comunicazione → atteggiamenti → comportamento

Nell’ambito di questa teoria si sviluppano due filoni di ricerca:

  • sui destinatari ( audiences );
  • sul contenuto ottimale del messaggio.

Per quanto riguarda il primo aspetto delle ricerche, sono stati individuati quattro fattori psicologici delle audiences :

  1. interesse ad acquisire l’informazione. Il messaggio deve innanzitutto attrarre l’attenzione, perché i non informati potrebbero avere scarso interesse verso di esso;
  2. esposizione selettiva. C’è più interesse verso i messaggi che esprimono opinioni e idee condivise dai destinatari;
  3. percezione selettiva. Si riscontra una selezione delle informazioni da parte delle audiences , che può arrivare finanche alla volontaria non comprensione del messaggio. Tuttavia sono stati individuati anche effetti d’assimilazione , per i quali il destinatario percepisce le opinioni del messaggio più vicine alle proprie di quanto esse siano in realtà, sia pure all’interno di un campo d’accettazione in cui:
    • non sia eccessiva la differenza di opinioni;
    • ci sia uno scarso coinvolgimento del soggetto;
    • ci sia un atteggiamento positivo verso il comunicatore.
  4. memorizzazione selettiva. Le opinioni trasmesse, coerenti con quelle dei destinatari, sono memorizzate meglio. Inoltre, si è accertato che esiste una corrispondenza tra il tempo di durata del messaggio e la sua memorizzazione, nel senso che maggiore è il primo e più efficace è la seconda. Questa conclusione è spiegabile utilizzando due tipi di ipotesi: “l’effetto Bartlett “, per il quale più è lungo il messaggio e più avviene la ricerca e selezione di opinioni coerenti da parte del destinatario; “l’effetto latente”, secondo cui maggiore è il tempo di esposizione al messaggio e più elevata è la persuasione del soggetto fruitore, perché a distanza di tempo dalla ricezione del messaggio egli dimentica la fonte, ma continua a ricordare il contenuto testuale.

Anche con riferimento al secondo filone di ricerca, cioè al messaggio, sono stati rilevati quattro fattori:

  1. credibilità del comunicatore. Essa implica l’accettazione o meno del messaggio, in quanto sussiste una persuasione di valore zero nel caso che il comunicatore venga ritenuto poco credibile. E’ per questo che molte campagne sfruttano l’effetto latente di cui sopra: più aumenta la durata del testo comunicato e più sfoca la figura del comunicatore (insieme alla sua non credibilità), aumentando contemporaneamente la persuasione;
  2. ordine delle argomentazioni. Non è pacifico tra gli studiosi se le argomentazioni a favore di una data posizione siano più efficaci se poste all’inizio (effetto primacy ) o alla fine (effetto recency ) del messaggio veicolato. In linea generale la propensione è verso l’esistenza di una “legge di primacy “, per la quale esiste più persuasione se gli argomenti non condivisi sono collocati all’inizio del testo trasmesso;
  3. completezza delle argomentazioni. Riguardo quest’aspetto del contenuto, sono stati condotti studi che hanno portato alle seguenti conclusioni:
    • presentare argomenti sia a favore, sia contro una certa opinione migliora la persuasione quando i destinatari sono contrari ad essa;
    • presentare solo i pro di una certa idea è invece auspicabile nel caso di opinionisti già convinti oppure di destinatari non istruiti.

    In ogni caso è negativa l’omissione, nel testo trasmesso, di un argomento rilevante;

  4. esplicitazione delle conclusioni. Sempre ai fini dell’efficacia persuasiva, se il fruitore del messaggio è coinvolto personalmente nel suo contenuto, è preferibile che le conclusioni non siano espresse dal testo, ma lasciate implicite.

2.3.2 Teoria degli effetti limitati

A differenza della precedente teoria, che aveva un’impostazione psicologica, quella degli effetti limitati nasce, negli anni Quaranta, dagli studi sociologici sulle caratteristiche del contesto sociale e non parla più di persuasione, ma di “influenze” del messaggio. Studiando le campagne elettorali americane e l’utilizzo dei media allo scopo di promuovere i candidati, sono rilevabili tre tipi di effetti sugli elettori:

  1. di attivazione degli indecisi;
  2. di rafforzamento degli elettori già convinti su chi votare;
  3. di conversione del voto, ovvero di cambiamento della preferenza verso altri candidati, mediante una ridefinizione del problema.

Di questi, l’effetto di conversione ha percentuali statisticamente trascurabili, mentre l’effetto di rafforzamento prodotto dai media è quello quantitativamente più importante, con il quale si sono potute consolidare le intenzioni di voto degli elettori già decisi.

Tuttavia, è un altro il risultato interessante che esce dalle indagini compiute sul voto degli elettori (Lazarsfeld, 1944): la presenza di opinion leaders (persone ben informate), in grado di influenzare il resto dell’elettorato, e quindi l’esistenza di un flusso comunicativo a due stati ( two-step flow ), in cui i leaders d’opinione, ma anche le reciproche relazioni di tutti i componenti della collettività, mediano il rapporto tra i mass media e la gente.

La comunicazione elettorale avviene pertanto anche tramite contatti personali, fra cui quelli con la famiglia, con i colleghi di lavoro, con le associazioni di appartenenza e con i gruppi sociali e religiosi, secondo un modello di questo tipo:

media ↓ leaders ed altri contatti ↓ audience

Quindi, per la teoria degli effetti limitati, la comunicazione di massa è strettamente connessa alle comunicazioni non mediali interne alla struttura sociale e le audiences rispondono diversamente dalle attese degli emittenti.

2.4 Teoria degli usi e gratificazioni

Questo pensiero nasce, negli anni ’70, dalla teoria sociologica dello struttural-funzionalismo di Parsons e Merton, che sposta l’attenzione dagli effetti alle funzioni dei media.

La società è vista come un organismo composto di parti, ciascuna delle quali svolge determinate funzioni ed il sistema è formato da sottosistemi, che contribuiscono alla soddisfazione dei bisogni fondamentali.

In tale speculazione, le audiences usano i media allo scopo di soddisfare i propri bisogni ed ottenere delle “gratificazioni”, diventando parte integrante del processo comunicativo (Katz, Guerevitch e Haas, 1973).

Sono cinque i raggruppamenti di bisogni, psicologici e sociali, gratificati dai media:

  1. cognitivi, ovvero di conoscenza;
  2. affettivi-estetici, riguardanti la sfera affettiva;
  3. integrativi a livello di personalità, relativi allo status ed alla fiducia in se stessi;
  4. integrativi a livello sociale, concernenti i contatti familiari e sociali;
  5. d’evasione, per allentare le tensioni.

In particolare, la gratificazione deriva sia dal contenuto dei media, sia dal media in sé (che fa compagnia) e sia dal contesto di fruizione (che dà lo spunto per discussioni con altri).

Un flow-chart degli usi e gratificazioni potrebbe essere questo (Rosengren, 1974):

bisogni umani + caratteristiche (intraindividuali) + struttura sociale e dei media ↓ combinazioni di problemi e soluzioni a tali problemi ↓ motivi di gratificazione e risoluzione dei problemi ↔ modelli di consumo dei media                               e di altro comportamento sociale ↓ modelli di gratificazione ↓ ridefinizione delle caratteristiche ↓ nuova struttura dei media e della società

Le audiences sono dunque:

  • attive;
  • dirette allo scopo della soddisfazione dei bisogni;
  • dotate di iniziativa;
  • in competizione con altre fonti per la soddisfazione dei bisogni.

La conseguenza è che il potere dei media è compensato dal potere delle audiences .

Inoltre, lo stesso medium può soddisfare classi di bisogno diverse, anche se la ricerca ha evidenziato che i libri gratificano meglio l’interiorità, la TV il bisogno d’evasione, i quotidiani la fiducia in se stessi.

La teoria degli usi e gratificazioni è criticabile sotto diversi profili. Innanzitutto, essa trascura le altre istituzioni (scuole, associazioni, etc…) in grado di soddisfare i bisogni umani sopra descritti. Poi, come hanno dimostrato diverse ricerche, i media vengono spesso fruiti in sé, per passare il tempo e senza uno scopo definito, e le audiences non sono, a volte, neanche coscienti dei propri bisogni. Infine, attribuendo ai destinatari il potere di controllare il consumo dei media, si sottovaluta il problema dell’influenza che gli stessi sono capaci di realizzare, sia a breve, sia soprattutto a lungo termine.

2.5 Teorie sugli effetti a lungo termine

Dopo la crisi dei media studies , determinata dalla teoria critica della scuola di Francoforte (v. par. 3 di questo capitolo), nascono nuove teorie, frutto dello straordinario sviluppo della TV e della conseguente globalizzazione, nonché della “rivoluzione culturale” del ’68. Nella teoria tedesca della “spirale del silenzio” ed in quelle americane della “coltivazione” e della “dipendenza”, l’attenzione è posta sul potere dei media e sulla loro capacità di produrre effetti di lungo periodo, ovvero effetti sulle conoscenze degli individui (opinioni, valori, pregiudizi), e non più sui comportamenti, come si era invece ipotizzato studiando gli effetti a breve. Sono proposte teorie, quindi, che spiegano in ultima analisi il processo di costruzione della realtà .

Infatti, nel 1966 è pubblicato il testo La realtà come costruzione sociale (Berger e Luckmann, 1966), nel quale la trasmissione delle conoscenze si articola in tre fasi:

  • conoscenze generate dall’esperienza;
  • conoscenze rese accessibili alla collettività;
  • conoscenze interiorizzate dalle nuove generazioni con il processo di socializzazione.

Il sistema dei media concorre a diffondere le conoscenze, ma le teorie mostrano come la realtà veicolata dai media sia filtrata, interpretata, distorta e non rappresentata oggettivamente. I media operano quindi una ri-costruzione sociale della realtà , della quale gli individui non possono fare a meno, perché l’esperienza diretta è limitata e la realtà è fruita soprattutto attraverso i mass media.

In particolare, la credibilità delle immagini TV, nella ricostruzione della realtà, può provocare un effetto-valanga (Lang e Lang, 1962), in quanto la rappresentazione televisiva di un evento, se opportunamente manipolata, può lasciare poco spazio al dissenso ed all’interpretazione personale.

Contro questa visione dei media si schierano autori (per es. Hawkins e Pingree, 1983) che sono più cauti riguardo all’ipotizzato impatto mediatico sulla costruzione della realtà sociale, perché nei loro costrutti l’ audience attiva (nel senso di maggiore interpretazione soggettiva e consapevolezza della parzialità delle informazioni) ne inibisce l’influenza.

2.5.1 Teoria della spirale del silenzio

La formazione dell’opinione pubblica è operata dai media ed in particolare dalla televisione (Neumann, 1979). Ciascun individuo tende a conformarsi alle opinioni dominanti, per non essere emarginato dall’integrazione sociale, nascondendo le opinioni contrarie quando ritiene di essere in minoranza.

Pertanto, nella spirale del silenzio, i media tendono a rendere l’opinione dominante sempre più diffusa e nel contempo riducono al silenzio le opinioni contrarie ad essa.

L’opinione pubblica è influenzata attraverso:

  • la cumulatività, ovvero la ripetitività delle informazioni;
  • la consonanza, cioè la presenza di un’argomentazione unanime decisa dallo stesso sistema dei media, possibile quando manca il “pluralismo” dell’informazione.

Tutto ciò provoca la neutralizzazione della selettività . Inoltre, in tale ottica, è possibile anche una “conversione” delle opinioni, contraddicendo in tal modo l’assunto di Lazarsfeld (v. par. 2.3.2), secondo il quale è realizzabile solo il loro “rafforzamento”.

La verifica empirica di questa teoria si è avuta nello studio delle campagne elettorali, dove si produce, nella loro ultima fase, una conversione del voto a favore del vincitore annunciato o presunto tale, cioè un adeguamento all’opinione pubblica dominante ( last minute swing ).

2.5.2 Teoria della coltivazione

La TV, e principalmente il genere della fiction , costituisce il più importante costruttore di immagini della realtà sociale (Gerbner, 1986), assumendo perciò il ruolo di agenzia di socializzazione, in competizione con quelle tradizionali, come la famiglia, la scuola, la Chiesa ed il gruppo dei pari.

I bambini continuamente esposti alle fictions televisive, non avendo altre conoscenze sul mondo, crescono condizionati dagli eventi e dai modelli rappresentati in TV. Così, sia i bambini, sia gli adulti, sono “coltivati” dalle immagini televisive omogenee (aventi le stesse caratteristiche attrattive di base), che veicolano una realtà semplificata, distorta e stereotipata, la quale va a confondersi ed a sovrapporsi con la realtà oggettiva dell’esperienza quotidiana.

Le ricerche nell’ambito di quest’approccio hanno riguardato alcuni temi specifici (violenza, sesso, politica, etc…), esaminati da due distinte prospettive:

  • l’analisi di contenuto. Cosa è veicolato dalla TV;
  • l’analisi delle audiences . Percezione della realtà sugli argomenti trasmessi.

Circa la prima prospettiva, c’è da rilevare come esista in effetti uno scarto tra la realtà ed il mondo televisivo. Nello specifico, all’interno di quest’ultimo si è riscontrata una sovra/sotto rappresentazione di persone ed eventi. Per esempio, esiste più violenza e di conseguenza più presenza di polizia e forze dell’ordine. Inoltre, ci sono più esponenti della middle-class che della working-class , più persone di razza bianca che di razza nera, più uomini che donne, le quali ultime sono quasi esclusivamente raffigurate come casalinghe o donne-oggetto.

Riguardo invece all’analisi delle audiences , sembrerebbe verificata l’ipotesi di “coltivazione”, perché le risposte ai questionari sono risposte cosiddette “televisive”, a conferma di una certa influenza dei media a favore degli interessi dell’ èlite dominante (effetto mainstreaming ). La teoria della coltivazione rafforzerebbe quindi lo status quo , mentre frenerebbe i mutamenti sociali.

Le critiche alla teoria hanno evidenziato la scarsa considerazione di variabili psicologiche e sociologiche nelle audiences e l’eccessiva equivalenza tra mondo televisivo ed opinioni del pubblico.

2.5.3 Teoria della dipendenza

Questa teoria parte dalla constatazione che l’esperienza direttamente vissuta è limitata, per cui gli individui dipendono dai media per conoscere la realtà ed ottenere informazioni adatte ai loro scopi (DeFleur e Ball Rokeach, 1989).

Essa studia quindi le relazioni tra il sistema dei media e gli altri sistemi sociali.

Il potere dei media sta nel controllo delle risorse d’informazione, necessarie a individui, gruppi e sistemi sociali per raggiungere i loro rispettivi fini, che possono essere lavorativi, economici, politici, etc… Il sistema dei media è dunque una risorsa fondamentale della società, la quale ha rapporti non a senso unico con gli altri sistemi, come dimostra lo stretto legame esistente tra i media ed il sistema politico.

Le persone dipendono dai media per tre scopi principali:

  • comprensione di sé e comprensione sociale (per conoscere se stessi e l’ambiente in cui si vive);
  • orientamento all’azione ed all’interazione (per avere una guida ai comportamenti quotidiani ed alle relazioni con gli altri);
  • svago individuale e sociale (per il divertimento da svolgere da soli o in gruppo).

Rispetto alla teoria degli usi e gratificazioni, qui i media pongono alle audiences vincoli strutturali e di contenuto, che limitano le scelte soggettive. Tuttavia, non c’è una definizione di audience ed anzi la teoria sfugge al classico parallelo effetti forti/pubblico passivo, perché il potere dei media è associato alla selettività delle audiences , in virtù delle caratteristiche individuali.

La teoria della dipendenza rappresenta quindi una via molto attuale di spiegazione della comunicazione mediatica.

La dipendenza si perfeziona in quattro momenti successivi:

  1. gli individui si espongono al contenuto dei media che presumono soddisfi i loro scopi (di comprensione, d’orientamento e di svago);
  2. si instaurano rapporti di dipendenza di varia intensità e più alta è l’intensità e maggiore è la stimolazione cognitiva (il livello d’attenzione) e quella affettiva (il gradimento);
  3. l’aumento di queste stimolazioni genera un più alto livello di coinvolgimento, che permette di elaborare e memorizzare le informazioni;
  4. l’aumento del coinvolgimento produce a sua volta effetti sempre più forti, sia cognitivi (su conoscenze e valori), sia affettivi (sui sentimenti), sia sui comportamenti (a lungo termine).

2 Commenti

  1. Telkom University

    How do television emitters understand and measure audience satisfaction?

    Regard Telkom University

    Rispondi
    • Steve Round

      Through the meter, an electronic device installed in televisions that automatically detects the channel they are tuned to and transmits the information to Auditel, the company that measures the television audience.

      Rispondi

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