Pubblicità
Indice
Capitolo primo (quarta parte) LA COMUNICAZIONE TRA INFORMAZIONE E PERSUASIONE
4 La pubblicità
La pubblicità è l’attività aziendale diretta a far conoscere l’esistenza o ad incrementare il consumo e l’uso di un bene o servizio. Le aziende fanno attività pubblicitaria principalmente, ma non solo, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, che veicolano i messaggi persuasivi indirizzati ai diversi target di consumatori. La comunicazione pubblicitaria nasce e cammina parallelamente alle esigenze economiche, sociali, politiche e culturali di un Paese. Le prime pubblicità ( reclames ) iniziano a diffondersi con la nascita dei giornali, tra la metà dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Sulle ultime pagine dei quotidiani (il primo fu il francese La Presse) appaiono i primi comunicati pubblicitari, originariamente composti solo da testi e disegni, anche se la maggior parte della popolazione era analfabeta. Questi messaggi, che erano molto semplici ed immediati, usavano spesso i verbi all’imperativo: ” bevete …”, ” comprate …”, ” al vostro negoziante chiedete …”. Con la stampa illustrata e la pubblicità murale (manifesti e cartelloni) la comunicazione si sviluppa, anche grazie all’opera ed al contributo di artisti famosi. La pubblicità su radio e televisione si diffonde in modo radicalmente diverso negli USA rispetto all’Europa, risentendo dei diversi modelli radiotelevisivi presenti nei due mercati. Infatti, in america c’è da subito un sistema caratterizzato dall’agguerrita concorrenza tra emittenti private e indipendenti ( network ), che si finanziano esclusivamente dagli investitori pubblicitari, essendo gratuite per gli spettatori. In tale situazione la spesa pubblicitaria s’impenna immediatamente, mentre gli spot arrivano ad invadere tutta la programmazione giornaliera, compresa l’informazione. Si costruiscono programmi interamente basati sui finanziamenti degli sponsor , di cui un esempio importante è quello delle soap operas , così chiamate perché originariamente sovvenzionate dalle imprese di detersivi, e nascono le telepromozioni e le televendite all’interno dei varietà e degli altri prodotti radiotelevisivi realizzati in studio (per es. nei giochi a quiz o game show ). Addirittura, le tariffe pubblicitarie degli spot mandati in onda all’interno delle trasmissioni sono fissate sulla base degli indici di ascolto fatti registrare da tali programmi e rilevati da società specializzate (la prima è stata la Nielsen ). Nel vecchio continente si radicalizza invece un modello opposto, fondato sul monopolio e sul servizio pubblico dell’offerta radiotelevisiva. In questo sistema, completamente privo di competizione e rigidamente imperniato sugli intenti pedagogici dei programmi trasmessi, la pubblicità è completamente assente dai palinsesti, come nel caso della BBC inglese, oppure è severamente limitata e rigorosamente messa in parentesi (in cornici testuali tipo il famoso Carosello ), come nel caso italiano della RAI. Questo contenimento degli spazi pubblicitari era possibile in virtù del finanziamento pubblico dell’emittenza radiotelevisiva, attraverso il pagamento di un canone annuale da parte degli spettatori. Tuttavia, con il passaggio dalla paleotelevisione alla neotelevisione (Eco, 1981, v. par. 2.1 del terzo cap.), ovvero con la trasformazione dei linguaggi mediatici, causata dall’avvento dell’emittenza privata alla fine degli anni Settanta (determinato proprio dall’appetibilità delle ampie potenzialità promozionali non ancora sfruttate), anche il modello europeo si è avvicinato molto, rasentandolo, a quello americano e la pubblicità ha ormai invaso, anche in Europa, tutto il flusso televisivo.
4.1 La comunicazione persuasiva
Affinché la pubblicità abbia un effetto persuasivo, non è sufficiente veicolare messaggi da destinare a clienti effettivi o potenziali, ma bisogna anche integrare testi diversi, con mezzi di comunicazione diversi e per pubblici diversi (Grandi, 2003). In particolare questi ultimi devono essere ben conosciuti dal costruttore del messaggio, perché rappresentano il target della sua comunicazione. Il testo deve essere efficace ed a tal fine è possibile distinguere le strategie persuasive a seconda che riguardino il:
- sapere (far sapere). Si concretizzano nel tentativo di convincimento del target mediante argomentazioni logiche e dimostrazioni scientifiche (dire-vero);
- fare (far fare o non far fare). Consistono nella “promessa o seduzione”, ovvero nella manipolazione del comportamento secondo il volere , oppure nella “minaccia o provocazione”, cioè nella manipolazione secondo il potere .
Inoltre, l’importante relazione enunciatore-enunciatario (fonte e ricevente) può essere improntata su due diverse tecniche metodologiche:
- “la strategia della distanza”, distinguibile a sua volta in distanza:
- pedagogica , in cui l’enunciatore e l’enunciatario non sono sullo stesso piano, perché il primo è competente e fa da guida al secondo, che non sa ma vorrebbe sapere;
- non pedagogica , in cui l’enunciatario (il pubblico del messaggio) è indicato in terza persona, gli è attribuita una certa competenza ed è consigliato da un enunciatore influente;
- “la strategia della complicità”. Essa è molto utilizzata nella pubblicità commerciale per la sua subdola capacità persuasiva, in quanto il destinatario del messaggio diventa complice, attraverso l’uso del “noi inclusivo”, della società che ha lanciato l’attività promozionale e pertanto il vero protagonista del testo veicolato è proprio il pubblico ricevente, il quale può assumere alternativamente il ruolo di colui che:
- parla in prima persona;
- partecipa al dialogo;
- viene interpellato dai comunicatori.
Ovviamente le campagne promozionali e persuasive possono essere una combinazione delle suddette variabili strategiche, per tenere conto sia del segmento di pubblico a cui indirizzare il contenuto dei messaggi, sia, conseguentemente, delle espressioni del testo e dei mezzi di comunicazione più adatti a quel segmento. Pertanto, possono aversi strategie di persuasione secondo:
- il potere, basate sulla complicità;
- il volere, basate sulla distanza pedagogica;
- il volere, basate sulla complicità;
- il potere, basate sulla distanza pedagogica;
- il sapere, basate sulla distanza non pedagogica (spesso usate per far conoscere nuovi prodotti e nuovi problemi).
4.2 I fattori persuasivi di Robert B. Cialdini
Cialdini (1984) ha messo abilmente in evidenza come nella vita moderna gli individui utilizzino sempre più spesso meccanismi automatici di scelta e di comportamento, perché il ritmo della quotidianità è sempre più accelerato e pertanto la persona non ha più tempo, voglia, capacità e disponibilità per valutare attentamente la notevole massa di informazioni con cui viene continuamente in contatto. Questi meccanismi automatici consistono in regole e strategie “euristiche”, tali cioè da comportare una drastica riduzione del campo di osservazione e di scelta, limitando le informazioni processate, al fine di adottare la condotta ritenuta più efficiente. Il fatto è che molti messaggi persuasivi, trasmessi dai mass media, utilizzano proprio le suddette regole automatiche per indurre i pubblici destinatari ad un certo comportamento di spesa. Infatti, se le risposte meccaniche poste in essere dai soggetti di fronte a determinate situazioni sono generalmente efficaci, per evitare ogni volta di dover riesaminare le premesse di un comportamento, quando si ritiene che ciò non serva, è pur vero che questo “aggiramento” del nuovo adattamento alla realtà impedisce di cogliere appieno il quadro complessivo del problema, comportando spesso errori, anche grossolani. I comunicatori pubblicitari conoscono e sfruttano tali “abitudini” decisionali e comportamentali dei destinatari, allo scopo d’influenzarne le scelte di consumo. In particolare, secondo Cialdini i principi o armi di persuasione sono riconducibili a sei tipologie:
- la reciprocità (o regola del contraccambio);
- l’impegno e la coerenza;
- la riprova sociale (o imitazione);
- la simpatia;
- l’autorità;
- la scarsità (o timore di restare privi di qualcosa).
Tutti questi fattori di persuasione hanno degli elementi in comune:
- il processo meccanico col quale si può attivare la loro potenza;
- il facile utilizzo di tale potenza da parte di coloro che sappiano metterla in moto;
- la maniera indolore in cui questi strumenti si prestano ad essere usati, in quanto spesso le vittime non si rendono neanche conto che la propria acquiescenza è prodotta da un processo di persuasione, innescato da altri a loro esclusivo vantaggio.
Il primo fattore di persuasione è la reciprocità , per il quale un soggetto è indotto a contraccambiare i favori, i regali e le altre concessioni ricevute liberamente da terze persone, senza una specifica richiesta in tal senso. La spiegazione del fenomeno è da ricercare nel forte senso di disagio che si prova quando si riceve un favore da altri e nella conseguente percezione di un ferreo obbligo a restituire l’equivalente di quanto ricevuto. Una particolare forma assunta dalla reciprocità è quella in cui ad una richiesta iniziale esorbitante, che in quanto tale è rifiutata, segue la concessione di una richiesta più contenuta, la quale, essendo interpretata come un atto di cortesia, è proprio per questo ricambiata, portando così a compimento il sottile meccanismo del contraccambio. Il secondo fattore di persuasione è quello dell’ impegno e della coerenza . Esso prende origine da un impegno preso, ovvero dall’assunzione, da parte di una persona, di una posizione, consistente materialmente nel dire o fare qualcosa (ma gli impegni più forti sono quelli presi per iscritto), e comporta successivamente il bisogno ossessivo del soggetto di essere ed apparire sempre coerente con ciò che ha detto o fatto inizialmente. Tale bisogno è così fortemente avvertito che può indurre a fornire risposte o porre in essere comportamenti palesemente errati e discutibili, anche se coerenti con la posizione assunta in precedenza. Ciò perché la coerenza rispetto agli impegni presi è imposta dalle pressioni sociali, che rappresentano una rilevante motivazione del comportamento, perché l’incoerenza è socialmente condannata e rivestita di connotati negativi. Inoltre, la persuasione del fattore è rafforzata dalla constatazione che l’impegno originario produce da solo, attraverso il bisogno di coerenza, nuove giustificazioni a suo sostegno. Queste servono a mantenere in essere l’impegno assunto, anche se viene poi a mancare, per qualsiasi causa, la motivazione iniziale, quella sulla quale si sono costruite tutte le altre. La riprova sociale non è altro che la tendenza a comportarsi come si comportano le altre persone che, nel particolare momento e luogo in cui un individuo deve prendere una decisione, si trovano nelle sue vicinanze e le cui scelte possono pertanto essere emulate. Si considera quindi “giusto” ciò che gli altri considerano “giusto”. Tale meccanismo automatico di condotta (e di persuasione) è tanto più efficace quanto maggiore è l’incertezza e il dubbio che caratterizzano la situazione. La simpatia è la propensione ad acconsentire alle richieste provenienti da persone che si conoscono e che risultano gradevoli. Si tratta sicuramente dell’arma di convincimento più abusata ed una sua espressione frequente è quella che prevede l’utilizzo di soggetti piacevoli ed attraenti all’interno delle pubblicità visive. Infatti, il bell’aspetto degli individui provoca negli altri un “effetto alone”, per il quale si attribuiscono a questi soggetti altre caratteristiche positive (come p.es. la bontà, la gentilezza e l’intelligenza), che niente hanno a che vedere con la percezione della sola bellezza. Un altro importante fattore di persuasione è l’ autorità . Le persone hanno un radicato senso di deferenza verso l’autorità, che porta loro ad eseguire i precetti da questa impartiti, anche quando essi siano palesemente contrari alle norme socialmente condivise. Questo accade perché i componenti della collettività sono abituati fin da piccoli a rispettare le disposizioni assegnate da figure autoritarie ed istituzionali, quali i genitori e gli insegnanti, per cui esiste da sempre il condizionamento ad obbedire alle autorità legittime. Il problema è che non sempre queste ultime lo sono, dando appunto luogo a manifestazioni di persuasione, in quanto a volte è sufficiente l’apparenza di autorità (anche solo un vestito o un titolo) per provocare l’acquiescenza. E’ il caso delle pubblicità in cui appare un attore che interpreta il ruolo di “esperto”. L’ultima arma di persuasione è la scarsità , la quale si manifesta tutte le volte che la disponibilità limitata di un’opportunità spinge a desiderarla maggiormente, fino ad arrivare a farla propria, per paura appunto della sua perdita, anche quando in condizioni normali (non di scarsità) non se ne avrebbe mai avuto l’intenzione. Esempi evidenti di tale strategia persuasiva sono tutti i casi di vendita “per pochi giorni”, ad “offerta limitata” o “fino ad esaurimento”. Il motivo di un comportamento di questo genere è rintracciabile nella perdita di manovrabilità e di libertà che si percepisce quando, per qualche ragione, si restringono le possibilità e le opzioni di scelta. La conseguenza di tale situazione è la maggiore desiderabilità di quello che si sta perdendo, in modo da compensare il minor raggio d’azione che risulterà dalla scarsità e ciò è ancora più vero nei casi in cui si è costretti a competere con altri per accedere alle opportunità divenute impraticabili.
4.3 Pubblicità e semiotica
La semiotica visiva ha ricevuto una grande contributo dagli studi di Jean-Marie Floch, il quale è stato anche un affermato pubblicitario e quindi, in virtù di tale qualifica, egli ha avuto la possibilità di sviluppare ed approfondire sia i comportamenti di consumo, sia i modi di fare pubblicità. Riguardo ai primi, l’autore ha creato uno specifico strumento analitico, successivamente molto utilizzato nell’ambito della pubblicità e del marketing: il quadrato semiotico delle assiologie dei comportamenti di consumo. Esso si basa sull’opposizione fra valori di base e valori d’uso . In particolare, i valori di base sono quelli che corrispondono al piano delle preoccupazioni fondamentali dell’essere e di cui la ricerca sottende la vita e conferisce senso alla realizzazione di molteplici programmi d’azione secondari, più superficiali, più “pratici” (Floch, 1990). Il quadrato ideato da Floch, che prende ad esempio la pubblicità di un’automobile, è il seguente:
In questo modello la valorizzazione pratica corrisponde ai valori d’uso contrari ai valori di base (comfort e affidabilità dell’auto). La valorizzazione utopica corrisponde ai valori di base contrari ai valori d’uso (identità ed avventura). La valorizzazione ludico-estetica è la negazione dei valori “utilitari”, d’uso (lusso e gratuità). Infine, la valorizzazione critica è la negazione dei valori “esistenziali”, di base (rapporti qualità/prezzo e costi/benefici). Riguardo invece ai quattro modi di fare pubblicità (Floch, 1990), il quadrato semiotico ha come opposizione di base quella tra funzione di rappresentazione e funzione costruttiva del linguaggio. Esso si configura pertanto così:
I quattro modi di fare pubblicità sono quindi i seguenti:
- pubblicità referenziale , quando il testo è adeguato alla realtà;
- pubblicità obliqua , quando si sfruttano le strategie del paradosso e dell’ironia, che vanno contro l’opinione comune;
- pubblicità mitica , nei casi in cui c’è un “rivestimento” di sogno del prodotto;
- pubblicità sostanziale , quando esiste un “iperrealismo” del prodotto, del quale si selezionano ed enfatizzano alcune caratteristiche individuanti.
4.4. La pubblicità nella società dell’informazione
Quando negli anni Settanta si attenuò l’onda lunga del boom post-bellico e la spirale economica si trasformò in ristagno e recessione, si cominciò a teorizzare (Bell, 1973) una società “post-industriale”, che portava in seno l’idea embrionale di una società dell’informazione . Lo sconvolgimento non solo economico che stavano sperimentando le economie industrializzate preannunciava uno spostamento del loro asse portante dalla produzione di beni a quella di servizi. L’uso del computer, la ricerca e lo sviluppo scientifico, l’educazione e la cura della salute, sono stati i servizi, costruiti sul sapere, che hanno configurato e realizzato una nuova società basata sull’informazione. Tra gli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 ha preso avvio il trasferimento della manifattura industriale verso i Paesi in via di sviluppo, dove i salari sono inferiori, ed una marea di teorie, studi e relazioni, sponsorizzati dai governi, hanno visto in questa ripresa economica l’avanzamento della società “post-industriale”. Il libero mercato, le privatizzazioni, la deregolamentazione e la ristrutturazione, alimentati dalla politica economica neo-liberale di molti governi, sono diventati termini obbligatori all’interno di un piano emergente, che è stato essenzialmente un mezzo per rianimare un sofferente sistema capitalistico. Le telecomunicazioni hanno giocato un ruolo chiave in questo processo, perché nello scenario globale esse hanno facilitato il rapido movimento di capitali e beni. L’Unione Europea, a metà degli anni ’90, ha attuato un ingente sforzo per ri-regolamentare e privatizzare il settore delle telecomunicazioni, adottando l’espressione “società dell’informazione” nella convinzione che la nuova organizzazione, verso cui stava indirizzando le sue energie, avrebbe avuto un importante focus sul sociale. Nel 1995 il G7 dei Paesi industrializzati ha definito la propria versione della Società dell’Informazione Globale per promuovere servizi universali, mentre contemporaneamente perseguiva vigorose politiche di liberalizzazione, che hanno avuto largo successo nella de-nazionalizzazione dell’industria delle telecomunicazioni e stanno procedendo, più in generale, verso il sistema dei media. In tale prospettiva, la “società dell’informazione” è un’invenzione nata dai bisogni di globalizzazione di capitale e dei governi che li supportano. Se si prende in considerazione il World Wide Web, ci si accorge immediatamente che la quantità di risorse informative (intese in senso lato) pubblicata in rete è immensa. In particolare, i “portali” presentano un’interfaccia come quella dei quotidiani, che, essendo composta da un sistema di cornici annidate (Pezzini, 2002), permette loro di sublimare la grande capacità, da questi posseduta, di “cucire” insieme diversi testi o forme brevi di comunicazione. In realtà si sta superando l’economia dell’informazione, perché la crescita esponenziale dei contenuti immessi in rete è superiore alla capacità da parte degli utenti di recepirli. Secondo la sociologia del cambiamento, l’economia studia per definizione come una società utilizza le sue risorse scarse ed oggi l’informazione non solo non è scarsa, ma è ridondante (Goldhaber, 1998). L’informazione è un messaggio che riduce l’incertezza, quando i messaggi cominciano ad essere troppi, rispetto alla capacità di assorbirli, non riducono più l’incertezza, ma addirittura provocano confusione (Shannon, 1949). La vera risorsa scarsa dell’economia digitale è l’attenzione umana e per ottenere quest’attenzione occorre emettere qualcosa che è tecnicamente definibile come informazione, ma che deve possedere anche un valore ( l’informazione è un messaggio a cui il ricevente attribuisce un valore , Browning e Reiss, 1998), il quale a sua volta è tale quando riceve l’attenzione del destinatario. Pertanto, una tecnologia dell’informazione è anche una tecnologia dell’attenzione, ovvero un trasferimento di informazioni può aver luogo solo nella misura in cui avviene anche un trasferimento di attenzione nella direzione opposta. La pubblicità quindi si è dovuta cimentare sin dall’inizio nella difficile arte di “attirare l’attenzione dei consumatori” ed infatti il problema dell’affollamento pubblicitario non è un problema nuovo, perché esso si è presentato già agli albori dei messaggi promozionali. In particolare, la pubblicità sulla Rete è un gioco a somma zero, essendo strettamente limitata la quantità di attenzione che ogni individuo è in grado di concedere. Il banner , che rimane la forma di pubblicità on line più utilizzata, è attualmente in crisi d’identità. Nella sua versione classica è composto di tre termini che si alternano casualmente nella visione dell’utente:
- il brand , ovvero la marca, il logo del prodotto;
- il topic , cioè l’argomento della pubblicità, il tipo di prodotto;
- l’ accento , che contiene lo slogan, l’ headline oppure la struttura domanda-risposta.
I tentativi di rilancio del banner puntano oggi sullo sviluppo del suo aspetto ludico e cercano di incrementarne l’utilità per l’operatore. La pubblicità digitale è pertanto destinata ad assumere caratteristiche variamente articolate, ma anche a crescere d’importanza. Nell’era dell’attenzione, i pubblicitari del terzo millennio non verranno più chiamati “creativi”, bensì “creatori di aggregazioni senza confini”, le quali dovranno essere facilmente accessibili, rapidamente aggiornate e fruibili in modo personalizzato dagli utenti, che potranno preselezionare i tempi, i modi ed il livello di profondità delle informazioni desiderate (Goetz, 2001).
How do television emitters understand and measure audience satisfaction?
Regard Telkom University
Through the meter, an electronic device installed in televisions that automatically detects the channel they are tuned to and transmits the information to Auditel, the company that measures the television audience.