Corso di Ragioneria pubblica
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da | 28 Dic 2024 | Diritto pubblico privato ed internazionale | 0 commenti

Le fonti di finanziamento

Le fonti di finanziamento

Vediamo adesso quali sono le fonti di finanziamento su cui può contare l’azienda pubblica.

Infatti anche l’azienda pubblica, come quella privata, deve organizzare i propri fattori produttivi per realizzare il servizio pubblico che costituisce la sua finalità istituzionale, nel rispetto del principio di economicità e cioè garantendo nel tempo l’equilibrio economico della gestione.

Pertanto, questa articolata attività dell’azienda pubblica ha bisogno del reperimento delle risorse finanziarie necessarie alla realizzazione dei suoi processi.

Diciamo subito che le fonti di finanziamento delle aziende pubbliche possono essere le seguenti:

  • dalla gestione ordinaria
    • i tributi, a carico della collettività
    • i trasferimenti, da parte di enti sovraordinati (ad es. da un Ministero)
    • le tariffe ed i prezzi politici
  • dalla gestione patrimoniale
    • i proventi patrimoniali, che provengono dall’utilizzo fruttuoso dei beni patrimoniali dell’ente pubblico
  • dalla gestione straordinaria
    • l’alienazione (ovvero la cessione) di beni patrimoniali
    • i prestiti, che l’azienda pubblica può chiedere e che spesso sono gli stessi cui ricorrono anche le aziende private

I tributi

Nell’ambito della gestione ordinaria dell’ente, i tributi possono essere:

  • imposte
  • tasse
  • contributi

Le imposte sono prelievi coattivi di ricchezza, a carico dei contribuenti, che lo Stato e gli Enti pubblici territoriale possono imporre. Sono esempi di imposte l’Irpef e l’Iva che vanno allo Stato, l’Irap che va alle Regioni e l’Imu che va al Comune. Pertanto, data la loro natura di prelievo coattivo, solo questi Enti territoriali possono imporre le imposte, che vanno a finanziare indistintamente e indirettamente i servizi pubblici essenziali (istruzione, difesa, giustizia, ecc.).

Le tasse sono tributi che il contribuente deve versare se vuole un particolare servizio, ad es. quando richiede un certificato pubblico o per il servizio della raccolta dei rifiuti (la Tari, cha va al Comune). Pertanto, tutti gli Enti pubblici possono chiedere il pagamento di una tassa in controprestazione diretta di uno specifico e distinto servizio pubblico che l’ente presta al cittadino.

I contributi, come dice il nome, sono un tributo da versare quando il contribuente deve ricevere un servizio che in qualche modo lo arricchisce. Ad es. se lo Stato o la Regione costruisce una strada per giungere in un quartiere che in precedenza non era accessibile, può essere chiesto un contributo ai residenti del quartiere.

Qualsiasi sia il nome del tributo, questo costituisce una modalità di finanziamento, sicuramente la principale in termini quantitativi, delle aziende pubbliche.

I trasferimenti

I trasferimenti non sono altro che erogazioni di fondi a favore delle aziende pubbliche da parte dello Stato o di un altro ente pubblico sovraordinato. Per i trasferimenti ricevuti non è richiesta alcuna controprestazione. Essi fano parte della gestione ordinaria dell’ente pubblico.

I trasferimenti alle aziende pubbliche sono stabiliti da norme legislative e vengono erogati in base ai parametri da queste norme stabiliti. Spesso i trasferimenti ricevuti possono essere utilizzati, sempre per prescrizione di legge, solo per una specifica destinazione.

Sui trasferimenti sono previsti per legge controlli rigorosi da parte degli organi indicati dalla legge stessa, che si concretizzano in genere nel controllo formale e qualche volta di merito degli atti pubblici con cui si dispongono le risorse.

Le tariffe ed i prezzi politici

Spesso l’azienda pubblica produce beni (o presta servizi) in concorrenza con aziende private o che possono essere venduti anche da aziende private (è il caso ad. es. dell’assistenza sanitaria).

In questi casi di aziende pubbliche che vendono beni “privati”, comunque considerati d’interesse pubblico (in grado di soddisfare un bisogno pubblico), l’azienda può chiedere quale corrispettivo del bene o servizio venduto una tariffa.

La tariffa quindi in sostanza è il prezzo del bene “privato” venduto dall’azienda pubblica, che, in quanto tale, è un prezzo più basso di quello praticato dalle aziende private (determinato dal meccanismo della domanda e dell’offerta).

La tariffa pubblica serve pertanto a collocare prodotti di interesse pubblico ad un prezzo più accessibile e verso un numero maggiore di consumatori.

La tariffa deve essere di entità tale da assicurare l’efficienza e l’economicità (ovvero quanto meno il pareggio di bilancio dell’azienda pubblica) del processo di produzione del bene offerto.

Questi criteri di efficienza ed economicità non vanno invece necessariamente rispettati quando il bene o servizio è offerto, non ad una certa tariffa, ma ad un certo prezzo politico.

Il prezzo politico di un servizio pubblico è per definizione un corrispettivo la cui entità è più bassa del costo di produzione del servizio stesso (da qui la non applicazione del criterio di efficienza ed il mancato raggiungimento dell’equilibrio economico).

L’applicazione di un prezzo politico, più basso di quello in grado di assicurare il pareggio di bilancio, comporta la possibilità di subire una perdita di bilancio (un deficit), che in genere viene coperta (finanziata) dai trasferimenti erariali (cioè dello Stato) o di un altro ente pubblico sovraordinato.

Anche tariffe e prezzi politici rientrano nella gestione ordinaria dell’ente pubblico.

Sia la tariffa che il prezzo politico, permettendo di avere un metro di misura dei ricavi dell’ente pubblico, offrono la possibilità di valutare l’efficienza dei processi produttivi, paragonando i costi sostenuti per la prodizione con i ricavi di cessione dei beni, come se si trattasse di un’azienda privata. Infatti, anche in presenza di prezzo politico (che per definizione non consente la miglior efficienza dell’attività posta in essere), è sempre importante monitorare efficienza ed economicità delle attività dell’ente, se non altro per evitare gli sprechi di risorse.

La presenza di tariffe e prezzi politici permette anche di fare raffronti con l’offerta ed i prezzi dei concorrenti privati e di tenere conto delle caratteristiche del mercato di riferimento (ad es. dell’elasticità della domanda dei beni).

I proventi patrimoniali

Come le imprese private, anche le aziende pubbliche hanno bisogno di una dotazione patrimoniale (denaro, mobili, immobili, ma anche titoli di credito, azioni sociali e quote di partecipazione in società) per svolgere la propria attività.

Una volta questi beni patrimoniali erano tutti utilizzati appunto in funzione della loro utilità per l’attività esercitata dall’ente pubblico. L’utilizzo del patrimonio era quindi fine a sé stesso (ad es. un immobile poteva costituire la sede dell’azienda pubblica o comunque un ufficio della stessa) o al più poteva essere finalizzato a scopi sociali (ad es. lo stesso immobile poteva essere locato a condizioni molto favorevoli alle categorie sociali meno abbienti).

Adesso è completamente cambiata la strategia politica circa l’uso di questi beni del patrimonio.

Essi vengono infatti spesso utilizzati come fonte diretta di finanziamento dell’attività dell’ente, cioè per generare proventi a favore dell’ente pubblico che detiene i beni nel proprio patrimonio (l’esempio classico è l’affitto di un immobile a prezzi di mercato che permette di incassare canoni di locazione da utilizzare come risorsa finanziaria nella gestione dell’ente).

I proventi derivanti dall’uso fruttuoso dei beni patrimoniali dell’ente, destinati al finanziamento dell’ente stesso, sono detti proventi patrimoniali e costituiscono quindi una fonte alternativa di finanziamento dell’ente nell’ambito della sua gestione patrimoniale.

L’alienazione di beni patrimoniali

Nell’ambito della gestione straordinaria dell’ente pubblico (ovvero di una gestione che travalica l’ordinarietà e che riguarda la straordinaria amministrazione), una modalità di finanziamento è costituita dall’alienazione (ovvero la cessione o vendita) dei beni patrimoniali: non solo immobili, ma anche azioni e quote di società.

Trattasi di una modalità di finanziamento che viene utilizzata solo in periodi di eccezionale necessità (straordinari appunto), perché da sempre la vendita dei beni patrimoniali dello Stato (o comunque della pubblica amministrazione) è vista in modo negativo, apparendo come una soluzione da “ultima spiaggia”, da praticare quando sono presenti gravi deficit finanziari dell’ente e non si ha la possibilità di reperire facilmente risorse sufficienti a coprire questi deficit.

I prestiti (o fonti di finanziamento esterne)

Sempre nell’ambito della gestione straordinaria, l’ente pubblico può ricorrere a prestiti esterni. Finora infatti le soluzioni di finanziamento che abbiamo visto erano classificabili (usando una terminologia aziendalistica) come autofinanziamento. Adesso, con i prestiti, le fonti provengono dall’esterno e spesso dal sistema bancario (come per un’impresa privata).

Quando non è sufficiente l’autofinanziamento, anche le aziende pubbliche possono ricorrere ad es. al credito bancario.

Le forme principali di credito sono le seguenti:

  • le aperture di credito in conto corrente (prestito in genere a revoca e considerato a breve termine)
  • i mutui (prestito di medio termine)
  • l’emissione di obbligazioni (bond, come possono fare le società private)
  • la locazione finanziaria (meglio conosciuta come leasing)

Vediamoli uno per uno, premettendo che queste forme di finanziamento esterne sono soggette ad una disciplina legislativa molto rigorosa (ad es. i mutui possono essere accesi dagli enti locali solo con gli organismi stabiliti dalla legge, mentre l’emissione di obbligazioni da parte degli enti locali può avvenire solo se il rendimento di questi titoli al momento dell’emissione non supera, al lordo dell’imposta, quello lordo dei titoli di Stato di pari durata emessi nel mese precedente, maggiorato di un punto).

Le aperture di credito in conto corrente

Con questo contratto la banca s’impegna a mettere a disposizione una certa somma sul conto corrente dell’ente pubblico, fino alla scadenza pattuita o a tempo indeterminato.

In altre parole con l’apertura di credito in c/c si dà la possibilità all’azienda pubblica (correntista) di prelevare di più di quanto versato (ed entro i limiti del fido accordato), andando a debito con il saldo del conto.

L’utilizzo della somma a disposizione potrà essere effettuato attraverso più prelevamenti, in base alle esigenze di liquidità dell’ente, ed anche il reintegro delle somme utilizzate potrà avvenire mediante più versamenti successivi: cioè ai prelevamenti che vanno ad intaccare il fido si succedono i versamenti di rimborso, in un continuo di movimenti in addebito ed in accredito lasciati alla libera discrezionalità dell’ente pubblico affidato.

Ovviamente gli interessi per la concessione di questo fido saranno pagati in sede di liquidazione del c/c, che attualmente è annuale.

I mutui

È il contratto con il quale la banca (mutuante) consegna all’ente pubblico affidato (mutuatario) una somma di denaro in un’unica soluzione, con l’impegno da parte di quest’ultimo di restituire la somma prestata in rate periodiche.

In genere si ricorre al mutuo per coprire fabbisogni durevoli di liquidità, tant’è che la durata del mutuo è sempre a medio-lungo termine (con scadenze che vanno dai 3 ai 20 anni).

Il rimborso avviene, come detto, in rate periodiche, generalmente mensili, che comprendono il capitale da restituire più gli interessi.

L’importo e le scadenze delle singole rate sono evidenziati nel piano d’ammortamento che la banca consegna all’ente mutuatario all’atto di accensione del mutuo.

In Italia i mutui sono erogati per lo più col metodo dell’ammortamento francese, che prevede la costanza della rata per tutta la durata del prestito (ovviamente in costanza del tasso di interesse).

Con l’ammortamento francese le rate iniziali del mutuo hanno una parte preponderante di interessi, mentre la componente di capitale è ridotta al minimo. Le ultime rate del piano sono invece costituite quasi interamente da capitale, mentre la parte di interessi è veramente contenuta.

Il tasso di interesse pattuito per il mutuo può essere:

  • fisso, che quindi non cambia per tutta la durata del prestito
  • variabile, cioè agganciato ad un parametro di mercato – in genere l’Euribor – che lo fa variare trimestralmente o semestralmente, a seconda di quanto pattuito tra l’ente pubblico e la banca (pertanto il tasso di interesse sul mutuo è pari all’Euribor del periodo più una maggiorazione chiamata spread; esempio: se l’Euribor è uguale al 2% e lo spread concordato con la banca è il 3%, il tasso sarà del 5% e varierà periodicamente nella stessa misura dell’Euribor)
  • misto, quando la banca dà all’ente affidato la possibilità di modificare nel corso del contratto alcune modalità del tasso (per es. gli concede la facoltà di passare dal fisso al variabile o viceversa, oppure di applicare un CAP, ovvero un tetto max al tasso variabile per il quale esso non potrà mai superare un certo livello, chiamato appunto CAP)

Dal punto di vista della garanzia il mutuo può essere:

  • ipotecario, quando è garantito dall’ipoteca su un immobile
  • chirografario, quando la garanzia è costituita solo da una o più fidejussioni

L’emissione di obbligazioni

Le obbligazioni sono titoli di massa che le aziende pubbliche possono emettere per finanziarsi, così come lo possono fare anche le società private (di capitali). Quindi, anche l’emissione di obbligazioni è una forma di finanziamento, tant’è che si parla di prestito obbligazionario.

Si tratta di un’operazione costituita dall’emissione e dal collocamento presso il pubblico dei risparmiatori di valori mobiliari generalmente a media-scadenza (dai 3 ai 5 anni). Questi titoli di credito rappresentano, per chi li possiede, una quota di partecipazione al prestito dell’ente pubblico.

Le obbligazioni sono rimborsate a scadenza, oppure mediante un prefissato piano d’ammortamento.

Il loro rendimento è dato dagli interessi, in genere semestrali, che il cliente percepisce attraverso la riscossione delle cedole del prestito obbligazionario emesso.

Il rendimento delle obbligazioni può essere a tasso fisso oppure a tasso indicizzato (ovvero con un tasso di interesse agganciato a qualche parametro di borsa).

Esistono anche le obbligazioni convertibili in azioni, che danno al loro possessore la facoltà di esercitare, a determinate scadenze, il diritto di sostituire le obbligazioni di cui dispone con le azioni della banca emittente, secondo un certo tasso di conversione (per es. un’azione ogni 5 obbligazioni).

Le obbligazioni emesse dagli enti pubblici devono avere alcune importanti caratteristiche riguardanti:

  • la durata del prestito, che non può essere inferiore a cinque anni;
  • l’ammontare nominale del prestito, il quale, sommato all’eventuale importo finanziato con altre risorse, non può essere superiore al costo di realizzazione dell’opera pubblica cui il prestito obbligazionario è destinato;
  • l’importo complessivo dell’operazione, rappresentato dal valore nominale del prestito e da tutti gli oneri;
  • i periodi di versamento delle cedole, che possono avere frequenza trimestrale, semestrale o annuale;
  • la data e le modalità di rimborso, che possono prevedere una restituzione scaglionata, anticipata o dilazionata alla scadenza del prestito. In ogni caso il rimborso deve sempre essere stabilito in concomitanza al pagamento delle cedole, mentre, nel caso sia fissato il rimborso anticipato, questo può avvenire solo mediante l’utilizzo di fondi provenienti dall’alienazione di cespiti patrimoniali e nei limiti dei proventi “effettivamente realizzati”.

La locazione finanziaria o leasing

Il leasing è sostanzialmente un contratto di locazione (affitto) a tempo determinato di mobili o immobili, che si distingue dai normali contratti di affitto per la facoltà riconosciuta al conduttore di riscattare il bene locato, cioè di diventarne proprietario ad una certa data, pagando un prezzo, detto appunto “di riscatto”, stabilito in precedenza.

Con il contratto di leasing ad es. un’impresa, bisognosa di un certo bene materiale per la sua attività, lo prende in locazione dall’ente pubblico pagando un canone periodico. Alla fine del contratto (o comunque alla scadenza stabilita), l’impresa conduttrice/utilizzatrice del bene può, se vuole, diventarne proprietaria pagando il prezzo di riscatto prefissato.

Il contratto di locazione finanziaria ha quindi, per l’ente pubblico, essenzialmente una funzione di finanziamento.

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