La gestione dell’azienda pubblica
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La gestione dell’azienda pubblica
Abbiamo visto come le aziende pubbliche raccolgono le risorse di cui necessitano per le loro finalità pubbliche e come le impiegano successivamente per offrire servizi pubblici alla collettività.
Adesso entriamo più nel dettaglio sulla gestione delle aziende pubbliche, ovvero sulle operazioni da queste compiute per realizzare i loro obiettivi (pubblici).
La gestione riguarda quindi, semplificando, le operazioni di organizzazione dell’ente, di acquisizione delle risorse, di combinazione dei fattori produttivi e di offerta al pubblico dei beni e servizi prodotti.
La gestione delle aziende (non solo pubbliche, ma anche private) è osservabile, dal punto di vista aziendalistico, da 3 punti di vista diversi ma strettamente collegati:
- equilibrio finanziario (in cui si studiano le entrate e le uscite)
- equilibrio economico (in cui si studiano i costi ed i proventi)
- equilibrio patrimoniale (in cui si studiano le attività e le passività)
Vediamo ciascuno di questi equilibri.
Equilibrio finanziario
L’equilibro finanziario ha per oggetto lo studio della dimensione finanziaria dei componenti economici (proventi e spese) che vedremo quando parleremo dell’equilibrio economico.
La dimensione finanziaria di proventi e spese è costituita, rispettivamente, da entrate e uscite.
Diciamo subito che l’equilibrio finanziario è stato sempre preferito agli altri equilibri, fin dalle origini della letteratura sulle aziende pubbliche. Questo perché è sempre apparso fondamentale che la loro gestione non provocasse squilibri finanziari (flussi monetari in uscita maggiori di quelli in entrata), cioè in sostanza debiti da ripianare da parte dell’intera collettività (spesso da parte di tutti i cittadini con maggiori imposte).
Solo negli ultimi decenni si è capito che la sostenibilità di medio-lungo termine dell’equilibrio finanziario è possibile solo con il contestuale equilibrio economico ed anche patrimoniale.
Le entrate e le uscite sono quindi gli “oggetti” dell’equilibri finanziario.
Sia le entrate che le spese sono divise in “fasi”, cioè in momenti specifici del loro complessivo iter amministrativo.
Vediamo quali sono le fasi delle entrate:
- Accertamento
È la fase giuridica in cui sorge per l’azienda pubblica il diritto a riscuotere la somma. Pertanto, coincide con il momento in cui essa definisce la ragione del credito ed il soggetto passivo debitore, iscrivendo l’importo come competenza dell’anno finanziario.
Spesso l’accertamento è formalizzato dall’ordine di incasso emesso dall’ente a favore dell’agente di riscossione, che prende il nome di “reversale d’incasso”. - Riscossione
È la fase in cui il debitore paga l’importo dovuto, mediante le modalità e gli agenti di riscossione prescritti dalla legge (ad es. dalle “Tesorerie”).
Ovviamente se il debitore non paga quanto dovuto, la riscossione avviene in maniera coattiva attraverso titoli esecutivi (ad es. ruoli e ingiunzioni). - Versamento
È la fase in cui gli agenti di riscossione trasferiscono l’importo del credito incassato all’ente di competenza, entro le scadenze stabilite dalla legge.
Le fasi delle uscite sono invece le seguenti:
- Impegno
È la fase giuridica in cui sorge per l’azienda pubblica l’obbligo di pagare una somma, anche quando l’importo esatto della somma o il nominativo del creditore non è ancora noto. - Liquidazione
Con la liquidazione si quantifica esattamente la spesa e si determina il soggetto creditore, beneficiario della somma. - Ordinazione
Con la fase di ordinazione si dà ordine alla Tesoreria o agli altri organi competenti di pagare la somma in precedenza liquidata. Una volta questo ordine era dato con un documento chiamato “mandato di pagamento”. Dopo l’informatizzazione delle procedure di spesa, si utilizza il mandato informatico nell’ambito “Sistema per la gestione integrata della contabilità economica e finanziaria (SICOGE)”. - Pagamento
Il pagamento costituisce la fase conclusiva dell’iter amministrativo di spesa e viene eseguito dai tesorieri e dagli altri agenti pagatori dello Stato (ad es. gli uffici postali), i quali hanno l’obbligo di controllare la regolarità formale del titolo di pagamento e di verificare l’identità del beneficiario.
Le entrate e le uscite producono effetti sul risultato economico e sulla composizione del patrimonio. A seconda di questi effetti, le entrate sono così classificabili:
- Entrate ed Uscite effettive
Le entrate effettive misurano, dal punto di vista economico i Proventi, mentre le uscite misurano, sempre dal punto di vista economico, le Spese o Costi. Di questa categoria fanno quindi parte le E e U che hanno come contropartita componenti economici (appunto Proventi o Spese), ma anche le E derivanti dalla dismissione di beni strumentali e le U per l’acquisto di beni strumentali. - Entrate ed Uscite per movimento di capitali
Queste E e U modificano la composizione del capitale ma generalmente non danno origine (e quindi non sono correlate) a Proventi e Spese. Esempi di tali Entrate sono le accensioni di finanziamenti, mentre esempi di tali Uscite sono i rimborsi dei finanziamenti ricevuti. - Entrate ed Uscite per partite di giro
Sono E e U per partite di giro rispettivamente gli incassi per conto terzi ed i pagamenti per conto terzi. Ad es. la trattenuta ai dipendenti di ritenute fiscali e previdenziali configura una Entrata per partite di giro (l’ente pubblico incassa per conto dei dipendenti, mediante trattenuta in busta paga), mentre il successivo versamento (all’Erario) di tali ritenute configura un’Uscita per partite di giro.
Le fasi di E e U rispecchiano pertanto, in estrema sintesi, 2 momenti importanti dei processi di incasso e pagamento (come nella contabilità delle aziende private): (i) la fase giuridica/economica in cui nasce il diritto a riscuotere o l’obbligazione di pagamento; (ii) la fase meramente finanziaria in cui c’è il materiale incasso o pagamento.
Considerando le fasi di E e U, è possibile distinguere due tipi di bilancio finanziario:
- il bilancio finanziario di competenza, in cui si tiene conto solamente delle entrate accertate e delle uscite impegnate in un certo periodo (in genere l’anno solare), il cui esito dà luogo ad un risultato finanziario di competenza che può essere:
- avanzo di competenza, se le entrate accertate sono maggiori delle uscite impegnate, Ea>Ui
- disavanzo di competenza, se le entrate accertate sono minori delle uscite impegnate, Ui>Ea
- pareggio di competenza, se le due grandezze sono uguali, Ea=Ui
- il bilancio finanziario di cassa, in cui si tiene conto solamente delle entrate riscosse e delle uscite pagate in un certo periodo (in genere l’anno solare), il cui esito dà luogo ad un risultato finanziario di cassa che può essere:
- avanzo di cassa, se le entrate riscosse sono maggiori delle uscite pagate, Er>Up
- disavanzo di cassa, se le entrate riscosse sono minori delle uscite pagate, Up>Er
- pareggio di cassa, se le due grandezze sono uguali, Er=Up
Alla fine del periodo considerato (ad es. dell’anno), ci possono essere delle entrate accertate ma non ancora riscosse, così come ci possono essere delle uscite impegnate ma non ancora pagate. Questa situazione dà luogo alla gestione dei residui. In particolare:
- sono residui attivi le differenze tra entrate accertate ma non ancora riscosse, RA = Ea – Er
- sono residui passivi le differenze tra uscite impegnate ma non ancora pagate, RP = Ui – Up
Finora abbiamo visto solo valori finanziari di flusso, cioè dinamici, relativi ad un certo periodo come l’anno solare. Esistono però nella gestione finanziaria di un ente pubblico anche valori finanziari di stock, cioè statici, relativi ad un dato momento.
Sono valori finanziari di stock i Fondi cassa in un dato momento, calcolati con la formula:
Fondo cassa fine periodo = Fondo cassa inizio periodo + Riscossioni periodo – Pagamenti periodo
Oppure, il che è lo stesso:
Fondo cassa fine periodo = Fondo cassa inizio periodo + Avanzo finanziario di cassa (– Disavanzo finanziario di cassa)
Un altro valore finanziario di stock è il risultato di amministrazione. Questo è dato dalla seguente formula:
Risultato di amministrazione = Fondo cassa + Residui attivi – Residui passivi
Che può essere un avanzo di amministrazione, se il risultato è positivo, un disavanzo di amministrazione, se il risultato è negativo o un pareggio di amministrazione se il risultato è zero.
Il risultato di amministrazione e gli elementi che lo compongono (fondo cassa e residui attivi e passivi) sono riportati in un documento che si chiama Situazione finanziaria.
Equilibrio economico
Questo equilibrio è strettamente legato al concetto di economicità, di cui abbiamo parlato nei capitoli precedenti. L’equilibrio economico è infatti la capacità dell’ente di produrre reddito, cioè di avere un avanzo economico.
Questo è possibile se i proventi sono maggiori dei costi (o spese). Proventi e spese sono infatti i componenti economici della gestione, ovvero le cause delle entrate e uscite finanziarie. Ovviamente le spese sono i costi per l’acquisizione dei fattori produttivi, mentre i proventi sono le risorse affluite all’azienda pubblica impresa, ad es. per tributi e trasferimenti.
La relativa equazione, molto nota agli analisti delle imprese private, è pertanto la seguente:
Avanzo economico = Proventi – Spese
Solo il perseguimento ed il mantenimento dell’equilibro economico assicura all’azienda pubblica l’efficienza e l’efficacia della sua attività.
Il problema delle aziende pubbliche, precedentemente accennato, è che esse hanno le spese direttamente collegate alle risorse acquisite, ma non hanno invece, diversamente dalle aziende private, i proventi collegati all’utilità generata con la prestazione dei servizi pubblici alla collettività.
Detto ciò, una prima configurazione di equilibrio economico è fornita dall’uguaglianza tra i costi per l’acquisizione dei fattori produttivi ed i proventi quantificati dalle risorse affluite (per tributi ed altro).
Squilibri economici si concretizzano quando le spese sono maggiori delle risorse acquisite. In questo caso la differenza costituisce un deficit, perché il processo produttivo è costato più della quantità di risorse a disposizione.
Ma questa prima linea di equilibrio economico nelle aziende pubbliche è sono una misura grezza del vero e proprio equilibrio economico: questo si realizza solo quando l’utilità generata per la collettività servita (in qualche modo calcolata) è superiore all’utilità consumata nel processo produttivo.
Solo quest’ultimo vero equilibrio economico assicura l’efficienza e l’efficacia della gestione dell’azienda pubblica.
Una classificazione importante dei Proventi è la seguente:
- proventi patrimoniali, derivanti in modo diretto dal patrimonio dell’azienda pubblica;
- proventi extrapatrimoniali, derivanti dal fattore lavoro oppure dagli utili delle attività commerciali eventualmente esercitate dall’azienda pubblica;
- plusvalenze, ad es. per gli utili conseguiti dalla cessione di beni strumentali;
- sopravvenienze attive, derivanti da fatti estranei alla normale attività dell’ente.
Una classificazione importante delle Spese è la seguente:
- spese per finalità istituzionali dell’ente pubblico;
- spese (perdite) per attività commerciali eventualmente esercitate dall’ente pubblico;
- spese di amministrazione;
- spese patrimoniali;
- minusvalenze, ad es. per le perdite subite dalla cessione di beni strumentali;
- sopravvenienze passive, derivanti da fatti estranei alla normale attività dell’ente.
Come per le aziende private, anche per i proventi e le spese dell’azienda pubblica è importante il rispetto del principio della competenza economica, che impone la considerazione dei soli proventi e delle sole spese riguardanti l’anno cui si riferisce il rendiconto economico, rettificando o rinviando al futuro tutti i proventi e le spese che non sono di competenza dell’anno per il quale si sta preparando il resoconto.
La competenza economica fa sì che non coincide sempre il parallelismo fra manifestazione economica (proventi e spese) e manifestazione finanziaria (relative entrate ed uscite) e ciò genera:
- lo stanziamento di ratei (attivi se riferiti a proventi e passivi se riferiti a spese) per le quote di proventi e spese di competenza economica ma di futura manifestazione finanziaria (cioè le relative entrate e uscite avverranno nel prossimo anno);
- lo stanziamento di risconti (attivi se riferiti a spese e passivi se riferiti a proventi) per le quote di proventi e spese di competenza finanziaria ma di futura manifestazione economica (cioè i relativi proventi e spese avverranno nel prossimo anno);
- l’inclusione di tutti gli ammortamenti di beni pluriennali, accantonamenti per oneri futuri e rimanenze di materie e merci che nella contabilità generale delle aziende private costituiscono i ricavi e costi derivanti dalle scritture di assestamento.
Come detto, il risultato economico d’esercizio può configurarsi come:
- avanzo economico, se proventi > spese, e genera un aumento del patrimonio
- disavanzo economico, se spese > proventi, e genera un decremento del patrimonio
- pareggio economico, se proventi = spese, ininfluente sull’entità del patrimonio (ma questo risultato è raro nella pratica)
Come per la ragioneria riguardante le aziende private, anche per la ragioneria pubblica è preferibile ottenere un equilibro economico che realizzi un avanzo economico, perché significa che l’azienda pubblica è stata gestita in modo efficiente. Ma non sempre questo è vero per le aziende pubbliche: un eccessivo avanzo economico può infatti essere il sintomo di una gestione che ha sprecato risorse, le quali potevano essere meglio impiegate per perseguire il fine pubblico cui deve sempre essere orientata l’azienda.
Equilibrio patrimoniale
Dal punto di vista patrimoniale la gestione è l’analisi delle operazioni che danno luogo a variazioni patrimoniali.
Queste variazioni possono riguardare:
- la composizione degli elementi patrimoniali, a parità di totale complessivo (aspetto qualitativo del patrimonio);
- l’entità complessiva del patrimonio (aspetto quantitativo del patrimonio).
Diciamo subito quali sono gli elementi che compongono il patrimonio (quindi sotto l’aspetto qualitativo):
- per l’attivo patrimoniale
- beni di uso durevole, sono quei beni che servono per lo svolgimento dell’attività dell’ente pubblico ed esauriscono la loro utilità dopo molti anni (mobili, attrezzatura, immobili, macchine, ecc.); i criteri di valutazione impongono per questi beni la valutazione al costo d’acquisto, rettificato annualmente dalle quote di ammortamento (quindi con il fondo ammortamento);
- beni da reddito, sono ad es. terreni e fabbricati che l’ente utilizza per percepire proventi e perseguire la sua finalità pubblica (i proventi possono infatti essere canoni di locazione, rendite, interessi attivi, ecc.); sono valutati al costo d’acquisto più spese accessorie dirette (cosiddetto costo storico) eventualmente rivalutato; le rendite che i beni da reddito possono generare si valutano al valore attuale (inteso come valore attualizzato del capitale a scadenza mediante formule di matematica finanziaria);
- beni di consumo immediato, sono quei beni come materie prime, materiale da consumo, carburante, scorte, ecc. che servono a soddisfare direttamente i bisogni dell’ente ed esauriscono la loro utilità nel breve termine; si valutano al costo o al valore attuale (come sopra inteso) o al valore corrente;
- obbligazioni e partecipazioni, in particolare le azioni sono i titoli con i quali l’ente pubblico partecipa (in modo maggioritario o di minoranza) ad altre aziende, che possono essere di diritto pubblico (un altro ente pubblico) o di diritto privato (ad es. una SpA, che però, in virtù della partecipazione stessa, è considerata pubblica e con finalità conseguenti); sono valutate generalmente al valore nominale o al costo d’acquisto ed in qualche caso al valore corrente; per le partecipazioni si può usare anche il valore proporzionale del patrimonio netto della partecipata secondo l’ultimo bilancio;
- crediti di finanziamento, concessi dall’ente stesso, sui quali percepisce interessi attivi; si valutano al loro valore nominale;
- residui attivi, visti nell’equilibrio economico, sono crediti, in genere di breve termine, originati da entrate accertate ma non ancora riscosse; si valutano al presumibile valore di realizzo rettificato in base alla loro presunta esigibilità (con il fondo svalutazione crediti);
- disponibilità liquide, date non solo dal fondo cassa in un determinato momento, ma anche dai saldi disponibili in conto corrente; si valutano al loro valore nominale;
- per il passivo patrimoniale (composto, in poche parole, da tutti i debiti dell’ente)
- debiti di finanziamento, accesi ad es. con le banche per meglio perseguire l’attività e la finalità pubblica (l’ente sostiene interessi passivi per questi finanziamenti); si valutano al loro valore nominale;
- residui passivi, visti nell’equilibrio economico, sono debiti, in genere di breve termine, originati da uscite impegnate ma non ancora pagate; si valutano al loro valore nominale;
- altri debiti, come ad es. il TFR dovuto ai lavoratori dipendenti dell’ente, oppure i fondi per spese e oneri futuri.
Sotto l’aspetto quantitativo, il patrimonio è il valore complessivo dei beni che lo compongono, al netto dei debiti (passività), a ciascuno dei quali deve pertanto essere formalmente attribuito un valore monetario.
Vale dal punto di vista quantitativo del patrimonio la seguente formula (come per le aziende private):
Patrimonio Netto = Attività – Passività
Le Attività sono i beni ed i crediti che ha a disposizione l’azienda pubblica in un dato momento per la sua attività.
Le Passività sono i debiti dell’azienda pubblica.
Per quanto sopra, il Patrimonio Netto è per definizione la differenza tra Attività e Passività (nel caso di differenza negativa, avremo un deficit patrimoniale, che generalmente impone la chiusura dell’ente a meno che il saldo positivo del patrimonio netto non venga a breve ripristinato).
La variazione del Patrimonio Netto da un periodo all’altro (ad es. da un anno al successivo) dà luogo ad un Avanzo patrimoniale, se è positiva, o ad un Disavanzo patrimoniale, se questa differenza è negativa.
In considerazione di queste ultime grandezze, i fatti di gestione dell’azienda pubblica si distinguono in:
- variazioni elementari, che modificano la composizione del patrimonio ma non la sua entità complessiva, ovvero il patrimonio netto (ad es. il pagamento di un debito, la riscossione di un credito o l’acquisizione di un bene di uso durevole); i fatti di gestione che provocano variazioni elementari sono detti permutativi, perché alterano la composizione del patrimonio ma non la usa entità;
- variazioni nette (a loro volta positive o negative se rispettivamente aumentano o diminuiscono il patrimonio netto), che modificano l’entità complessiva del patrimonio netto in aumento o in diminuzione (ad es. i proventi come la contabilizzazione di un canone di locazione attivo oppure le spese come il pagamento di interessi su un finanziamento acceso con la banca); i fatti di gestione che provocano variazioni nette sono detti modificativi, perché alterano l’entità stessa del patrimonio (ci possono essere anche fatti misti, che in parte modificano la composizione del patrimonio ed in parte la sua entità complessiva).
Per quanto detto, possiamo rappresentare la seguente formula che tiene conto dell’Avanzo patrimoniale (o Disavanzo patrimoniale):
Patrimonio Netto fine periodo = Patrimonio Netto inizio periodo + Avanzo patrimoniale (– Disavanzo patrimoniale)
Oppure, il che è lo stesso (ricordando che le variazioni nette positive sono incrementi del patrimonio netto, mentre le variazioni nette negative sono decrementi del patrimonio netto):
Patrimonio Netto fine periodo = Patrimonio Netto inizio periodo + variazioni nette positive – variazioni nette negative
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