Sono molte le associazioni ecologiche che in tutto il pianeta si battono per sensibilizzare governi ed opinione pubblica alle problematiche dell’ambiente e dell’energia, ma il movimento Transition town, nato ed attualmente in espansione nelle isole britanniche, si differenzia palesemente da tutte le altre alleanze ecologiste. Il motivo è che gli esponenti di questo gruppo ambientalista preferiscono i fatti alle parole e sono quindi passati dalla semplice pressione mediatica e politica, finalizzata al rispetto della natura e tipica di tutte le associazioni “verdi”, alla realizzazione di interventi concreti a favore della loro nobile causa.
L’obiettivo dei Transition townies (così si chiamano i membri del movimento) è semplice ed ambizioso al tempo stesso: convertire interi centri abitati ad un’esistenza ecologica, che faccia a meno del petrolio e dei suoi derivati. Ciò di fatto significa che si cerca di instaurare tra gli abitanti dei comuni interessati una nuova e diversa cultura, il più possibile improntata sulla sensibilità ecologica, le cui conseguenze sono, p.es., l’utilizzo di energia solare, la riscoperta di antichi mestieri, l’impiego di mezzi di produzione artigianali, nonché l’abbandono delle auto, della plastica, dei cibi non genuini e di tutti gli altri prodotti ritenuti non privi di effetti sull’inquinamento ambientale.
Secondo Rob Hopkins, docente universitario e fondatore del movimento, lo scenario futuro che ci aspetta se nessuno interviene drasticamente è agghiacciante. La previsione di Hopkins descrive infatti un mondo che tra cinque anni avrebbe già consumato la metà delle riserve naturali di greggio. E’ per questo, sostiene lo studioso, che occorre dare avvio ad iniziative efficaci ed a basso costo che inducano i governi a prendere veramente coscienza dell’argomento e a adottare conseguentemente misure generali e valide, che facciano da spartiacque rispetto alle precedenti politiche energetiche, fondate su fonti non rinnovabili e sulla non salvaguardia dell’ambiente.
Il Transition town è partito l’anno scorso dalla cittadina irlandese di Kinsale, dove i volontari del movimento hanno iniziato promuovendo nelle scuole locali una campagna educativa a favore della filosofia townie. In seguito, i comuni oggetto di conversione ecologia, o centri di “transizione” come sono chiamati dai townies , si sono moltiplicati in tutta l’Irlanda e nella Gran Bretagna. St. Mary, Lampeter e Falmouth sono solo alcuni esempi di località in cui si sta tentando la strada della riconversione ecologia, ma anche tra i residenti del quartiere londinese di Brixton e dell’intera città di Bristol sono in atto interventi di Transition town.
Per esempio a Totnes, nel Devon, si è avviata l’installazione graduale di pannelli solari sui lastrici delle abitazioni, che dovrebbe estendersi prossimamente a tutte le unità abitative della cittadina. In altre parti si sta invece cercando di convincere la popolazione locale a fare a meno delle auto per recarsi al lavoro o a scuola, cercando di incentivare l’uso, quale mezzo di trasporto alternativo e ad inquinamento zero, della bicicletta, attraverso lo sviluppo di piste ciclabili sul territorio. Inoltre, il movimento, convinto che i prodotti derivati dal petrolio hanno sì semplificato la vita, ma anche fatto dimenticare le attività artigianali antiche, sta promuovendo seminari e convegni per “rieducare la gente ai mestieri dei loro genitori”.
Ciò significa in poche parole tentare di diminuire la dipendenza dai prodotti alimentari acquistati nei supermercati (e spesso di provenienza non nazionale), per ritornare a far crescere le verdure negli orti ed a cucinare prodotti locali, genuini e stagionali, in un processo quindi che porti direttamente gli alimenti dal giardino al tavolo da cucina. Significa pure cercare di riscaldarsi con energie alternative, come la legna, in modo da rispettare il più possibile l’ambiente, significa cucinare il pane in casa e riscoprire il prezioso artigianato locale e le vecchie tecniche di agricoltura non dannose per l’ecosistema.
Certo la strada da fare è ancora molto lunga, soprattutto se si riflette sul fatto che le comode abitudini di vita, acquisite in oltre mezzo secolo di sviluppo di tecnologie inquinanti, non sono facili a morire, ma la via è tracciata e per di più si tratta di una scelta in qualche modo obbligata, stando alle preoccupanti cifre sulla sostenibilità della crescita presentate dalle organizzazioni scientifiche. Infine, ma non per ultimo, la filosofia delle Transition town ha permesso ai residenti di quartiere ed ai vicini di casa di riappropriarsi di quel senso di solidarietà e di appartenenza alla comunità che si era inevitabilmente perduto con il moderno tenore di vita.
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