Allargamento dell’Unione europea
Una dispensa sull'allargamento dell'Unione europea ed il progetto di Costituzione

da | 18 Mag 2004 | Diritto pubblico privato ed internazionale | 0 commenti

Allargamento dell’Unione europea e Progetto di Costituzione

 

L’allargamento a 25

Il pensiero-guida di una Europa unita risale agli ideali federalisti dell’800 (Cattaneo, Mazzini, Proudhon), e prosegue nel ‘900 con il “Manifesto di Ventotene” stilato da un piccolo gruppo di oppositori al fascismo tra cui Altiero Spinelli, in cui si individua nell’unione dei popoli europei l’unica strada per costruire pace e democrazia.

Il concreto avvicinamento tra i paesi dell’Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale fu favorito dalla necessità di unirsi nell’OECE (Organizzazione Europea di Cooperazione Economica, sorta nel ‘49), organismo competente a gestire le richieste per gli aiuti finanziari americani del Piano Marshall. Ovviamente di tale organismo facevano parte solo gli Stati dell’Occidente europeo, dato che gli Stati dell’Est si trovavano sotto l’influenza sovietica a seguito della spartizione dell’Europa concordata a Yalta.

Altre ragioni politiche ed economiche (scongiurare il ripetersi di conflitti, unirsi economicamente per essere concorrenziali con le grandi potenze) hanno poi portato il piccolo gruppo dei sei paesi fondatori ad ampliare la collaborazione, prima per la libera circolazione delle materie prime (Trattato CECA del 1951), poi per coordinare le politiche economiche e creare un vasto mercato comune (Trattato CEE del 1957).

Il successo di queste iniziative spinse altre nazioni europee a chiedere e ottenere l’ingresso nella CEE (Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca nel ’73 – Grecia nell’’81 – Spagna e Portogallo nell’86), portando a 12 gli Stati membri.

Con il Trattato di Maastricht entrato in vigore nel ’93, la denominazione è stata cambiata in Unione Europea, a sottolineare la volontà di una più stretta unione anche di tipo politico. Poco dopo hanno aderito altri tre paesi (Austria, Svezia e Finlandia nel ’95), giungendo all’Europa dei 15.

Il crollo dell’ex superpotenza Unione Sovietica nei primi anni ’90 ha reso possibile l’inizio di un nuovo capitolo della storia europea: l’idea dell’Europa unita, maturata nel corso dei secoli solo per la parte occidentale, poteva ora gradualmente estendersi anche allo spazio europeo ad est, sino a comprendere l’intero continente.

Questo progetto è considerato non solo auspicabile, ma necessario, sia per motivi politici (l’allargamento di un’area di democrazia stabile nel mondo, il superamento della storica conflittualità nazionalistica europea, la necessità di controbilanciare sulla scena mondiale la superpotenza degli USA) che per motivi economici (la dimensione del mercato favorisce la formazione di imprese capaci di competere su scala mondiale).

Data la grande diversità nel sistema politico giuridico ed economico dei paesi dell’est, tuttavia, ai fini di salvaguardare la stabilità dell’Unione, il vertice europeo di Copenhagen del 1993 ha precisato le condizioni essenziali per l’adesione, i cosiddetti “criteri di Copenaghen“:

  • Criterio politico: la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, il rispetto dei diritti umani e delle minoranze.
  • Criterio economico: l’esistenza di un’economia di mercato vitale nonché la capacità di far fronte alla pressione concorrenziale all’interno dell’Unione europea.
  • Criterio giuridico: recepimento dell’ “acquis comunitario” (il termine acquis in francese significa “ciò che è già stato conquistato”), ossia l’allineamento delle norme nazionali alla legislazione in vigore nell’UE.

Tra il ’98 e il ’99 sono stati avviati negoziati di adesione con dodici paesi del centro, sud ed est europeo. I negoziati sono stati condotti separatamente con ciascun paese, al fine di individuare le specifiche riforme necessarie per l’adozione dell’acquis comunitario, fornire sostegno finanziario e consulenza tecnica, e infine valutare i progressi fatti. In alcuni settori i candidati hanno avuto la possibilità di negoziare la non completa applicazione delle normative comunitarie e chiedere un regime transitorio (es. per la conformità a determinati requisiti ambientali dell’UE che presuppone lunghe e costose modifiche dei processi industriali) così come la stessa UE ha richiesto in altri campi un regime transitorio a tutela dei propri interessi (es. lo spazio di Schengen [1] non sarà ancora per qualche anno aperto ai nuovi membri).

[1] Accordo stipulato nel 1985 tra Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi e successivamente esteso a tutti i 15 paesi dell’Unione, volto a consentire la libera circolazione delle persone attraverso l’eliminazione delle frontiere interne tra gli Stati firmatari. Infatti la completa abolizione delle frontiere presenta il problema di controllare l’accesso di immigrati provenienti da Paesi terzi, e i paesi situati a est e a sud dell’Europa non entreranno nello spazio Schengen per un periodo ancora indeterminato, forse di tre o cinque anni, finché non saranno in grado di contenere l’immigrazione, modernizzando i sistemi di controllo alle frontiere con l’aiuto tecnico e finanziario della Ue.

Per i dieci paesi ammessi, i negoziati si sono conclusi con la firma del Trattato di adesione ad Atene nel 2003. Con la successiva ratifica da parte degli Stati membri e dei paesi candidati, in accordo con le procedure democratiche in vigore in ciascun paese, il trattato è entrato in vigore il 1° maggio 2004. Bulgaria e Romania invece si trovano ancora in fase negoziale e l’ingresso nell’UE è previsto per il 2007, mentre per la Turchia, che ha richiesto di aderire, non sono ancora iniziati i negoziati.

Al vertice di Nizza del 2000 si è affrontato il problema di una riforma delle istituzioni e del processo decisionale all’interno dell’Unione per adeguarlo all’imminente contesto allargato ed evitare la paralisi conseguente a procedure troppo complesse per organi di dimensioni ampliate. Il vertice si è concluso con la firma di un nuovo Trattato, che ha previsto delle innovazioni positive ma ha lasciato alcune questioni irrisolte:

  • L’obiettivo iniziale di eliminare le decisioni all’unanimità del Consiglio dei Ministri, per evitarne la paralisi, è fallito, perché nei settori più importanti ha prevalso la logica degli interessi nazionali e rimane la decisione all’unanimità (la politica estera e la difesa, l’immigrazione e il diritto di asilo, l’imposizione fiscale, su cui dunque ciascuno stato ha il potere di veto). In molti settori meno importanti tuttavia l’unanimità è stata sostituita dalle decisioni a maggioranza. La riforma più importante è stata la riponderazione dei voti a maggioranza qualificata: il peso attribuito a ciascun paese non è esattamente proporzionale al peso demografico, tanto è vero che Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia, continuano ad avere peso uguale tra loro. Tuttavia, per far pesare di più la consistenza della popolazione, è stato deciso che il 72,3% dei voti favorevoli necessari per approvare una deliberazione devono rappresentare almeno il 62% della popolazione europea.
  • Dal 1° Maggio 2004 dieci Commissari provenienti dai nuovi Stati membri si affiancheranno ai 20 già esistenti, ma quando entrerà in carica la nuova Commissione (entro sei mesi dalle elezioni del Parlamento europeo), ossia dal 1° Novembre 2004, il numero dei Commissari si ridurrà ad 1 per ogni Stato, per cui gli Stati più popolosi (Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Spagna) che avevano due Commissari, ne perderanno uno.
  • La Germania in virtù della sua più numerosa popolazione continua a contare come prima nel Parlamento europeo, dove mantiene i suoi 99 seggi, mentre gli altri tre “grandi” (Francia, Gran Bretagna e Italia) scendono a 72 invece degli attuali 87. Si è reso necessario infatti ridurre in generale i rappresentanti dei vecchi paesi per far posto ai nuovi, onde evitare di dover aumentare eccessivamente il numero degli eurodeputati, che salirà a 732 invece degli attuali 626.

La Costituzione europea

Il Trattato di Nizza ha lasciato sostanzialmente irrisolto il problema di assicurare una maggiore trasparenza e legittimità democratica delle istituzioni con potere decisionale.

Se infatti l’Unione europea si pone l’obiettivo di realizzare una unione non solo economica ma anche politica sempre più stretta, e di esercitare quindi delle competenze su materie tipica espressione della sovranità (es. nel campo della politica estera e della difesa) occorrerebbe che si operasse una vera e propria trasformazione delle istituzioni europee dotate di potere legislativo ed esecutivo, che dovrebbero essere non più espressione dei governi nazionali, ma dei popoli, con la costruzione di un vero Stato federale europeo.

Movendosi in questa direzione, un anno dopo Nizza il Consiglio europeo di Laeken ha adottato la “Dichiarazione sul futuro dell’Unione europea” che impegna l’Unione a diventare più democratica, più trasparente e più efficiente e ha istituito una Convenzione (assemblea formata da una maggioranza di rappresentanti provenienti dai Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo più i rappresentanti dei governi e della Commissione, che si riunisce in sedute pubbliche) con il mandato di elaborare un progetto di “Costituzione per l’Europa” che dovrebbe innovare e sostituire gli attuali trattati costitutivi dell’Unione europea.

Finora il metodo utilizzato per la revisione dei trattati è stato quello tipico del diritto internazionale, ovvero affidare la preparazione del testo del nuovo accordo a una Conferenza intergovernativa con la sola partecipazione dei responsabili incaricati dai governi e di un rappresentante della Commissione, che lavorano a porte chiuse. Il testo deve poi essere approvato all’unanimità da parte dei Capi di Stato e di Governo riuniti nel vertice europeo, e successivamente ratificato secondo le procedure in vigore nei diversi paesi (autorizzazione del Parlamento, come in Italia, o referendum popolare).

Lo strumento della Convenzione (già utilizzato per la redazione della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”), tende ad affermare un nuovo metodo di revisione costituzionale che si allontana dal classico accordo intergovernativo per avvicinarsi ad una assemblea costituente formata da rappresentanti eletti e caratterizzata da trasparenza e pubblicità dei lavori. Resta fermo tuttavia il fatto che alla Convenzione spetta solo la redazione della bozza, mentre l’approvazione della Carta costituzionale deve seguire i canali tipici del diritto internazionale. Essa infatti avrebbe dovuto essere approvata all’unanimità dal Consiglio europeo di Roma del 2003 durante la Presidenza italiana dell’Unione, con l’obiettivo di chiudere i lavori poco prima delle elezioni europee del giugno 2004 e conferire anche per questa via indiretta un sigillo di ratifica popolare alla neonata Costituzione.

La volontà di raggiungere un accordo ritenuto da tutti indispensabile si è però infranta contro le divisioni e non è stato possibile giungere a una conclusione positiva. Il processo costituzionale ha così subito una battuta d’arresto. A partire da gennaio 2004, il compito di riprendere il dialogo è passato alla Presidenza irlandese, che si è impegnata a riaprire il negoziato per raggiungere un compromesso.

Il progetto di Costituzione europea è suddiviso in quattro parti:

  1. Disposizioni fondamentali: disposizioni che definiscono gli obiettivi dell’unione, le sue competenze specifiche, le istituzioni e le procedure decisionali
  2. Carta dei diritti fondamentali: già proclamata dal Consiglio europeo di Nizza e ora inserita nella Costituzione
  3. Le politiche dell’Unione: definisce le politiche fondamentali dell’Unione
  4. Disposizioni finali: procedure per l’adozione e la revisione della Costituzione

La prima parte contiene l’architettura costituzionale dell’Unione. Dopo aver stabilito in generale valori e obiettivi dell’Unione (libertà, uguaglianza, democrazia, pace), si chiariscono le materie nelle quali gli Stati membri attribuiscono competenza all’Unione, distinguendo:

  • Settori di competenza esclusiva (regole sulla concorrenza nel mercato interno, commercio con l’estero, politica monetaria rispetto all’euro) che spettano all’Unione
  • Settori di competenza condivisa in cui l’Unione può agire insieme agli stati (trasporti, energia, ambiente, asilo e immigrazione, cooperazione di polizia e giudiziaria, ecc.)
  • Settori in cui ha competenze di coordinamento delle politiche nazionali (politiche economiche e dell’occupazione)
  • L’Unione infine favorisce e promuove una politica estera e di sicurezza comune

Le competenze che non sono di competenza esclusiva dell’Unione devono essere esercitate sempre nel rispetto del principio di sussidiarietà, e cioè lasciando agire in primo luogo i livelli di governo statale e locale più vicini ai cittadini e agendo a livello dell’Unione solo se ciò assicura un più agevole perseguimento degli obiettivi. Il rispetto di questo principio è sottoposto al controllo della Corte di giustizia e può essere oggetto di ricorso da parte degli Stati.

Il progetto di Trattato non stravolge bensì rafforza l’attuale equilibrio istituzionale e la ripartizione dei poteri tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo.

A proposito del Consiglio dell’Unione, viene confermata fino al 2009 la ponderazione del voto degli Stati membri come definita a Nizza. Dopo tale data, si passa ad un sistema più semplice e trasparente di doppia maggioranza, degli Stati, ciascuno con un voto, e della popolazione (mantenendo tuttavia l’unanimità nei settori strategici di cui sopra).

Per quanto attiene alla composizione della Commissione, verranno applicati gli accordi di Nizza fino al primo novembre 2009, dopo la Commissione sarà composta, oltre che dal Presidente e dal Vice Presidente, da 13 Commissari scelti a rotazione tra gli Stati su base paritaria. Ognuno dei Paesi che non avrà un proprio cittadino tra i 13 commissari sarà rappresentato nel collegio da un commissario senza diritto di voto.

Infine sul Parlamento europeo, il progetto di Costituzione generalizza la procedura della co-decisione, che sarà denominata procedura legislativa, in posizione di parità con il Consiglio, a sancire la doppia legittimità – degli Stati (Consiglio) e dei popoli (Parlamento europeo) – che caratterizza l’Unione.

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