I provvedimenti dell’Unione Europea, suscettibili di creare norme giuridiche che entrano, come tali, nel diritto interno degli Stati membri, sono principalmente i seguenti:
I regolamenti emanati dai competenti organi dell’Unione Europea hanno carattere generale, cioè si rivolgono alla generalità degli individui, e sono una raccolta di norme giuridiche aventi forza di legge ordinaria negli Stati partecipanti all’Unione Europea.
L’aspetto più importante di questi provvedimenti comunitari è che non necessitano, per avere efficacia di legge all’interno dei singoli ordinamenti di ciascun Paese, di un atto interno di ricezione, cioè di una legge che li recepisca e dia loro la forma di Legge nazionale o di altro atto di pari valore giuridico. Essi entrano direttamente in vigore negli ordinamenti interni, dopo l’emanazione da parte dell’organo competente dell’Unione Europea (Comitato dei Ministri o Parlamento), senza nessun’altra formalità.
Quindi, per questo loro aspetto, i Regolamenti si pongono in Italia sullo stesso piano (con pari rango) delle Leggi ordinarie e degli altri atti aventi valore di Legge (Decreti Legge, Decreti Legislativi, Leggi regionali, ecc.).
Le Decisioni dell’Unione Europea
Per le Decisioni comunitarie valgono le stesse argomentazioni dette a proposito dei Regolamenti, anche per quanto riguarda la loro efficacia all’interno degli Stati membri dell’Unione Europea. Da essi si discostano perché le Decisioni sono atti a contenuto particolare e non generale come i Regolamenti, cioè sono indirizzati non verso tutta la comunità, ma verso un singolo individuo o verso una categoria definita o definibile di individui.
E’ molto interessante sapere che le remore alla totale integrazione europea, espresse da alcuni Paesi e da qualche osservatore politico, sono dovute proprie al procedimento comunitario di formazione di questi 2 provvedimenti (Regolamenti e Decisioni) e si sintetizzano in due ordini di motivi:
1) Il potere legislativo in ambito europeo è attribuito, tranne poche eccezioni, non al Parlamento europeo (che ha sostanzialmente funzioni consultive), come avviene in tutte le Nazioni democratiche del mondo, bensì al Consiglio dell’Unione Europea, espressione degli esecutivi (Consigli dei Ministri) dei Paesi partecipanti.
Questa particolarità del procedimento comunitario di formazione degli atti presenta, in effetti, molte perplessità se si pensa che in questo modo vengono “scavalcati” i Parlamenti nazionali nella formazione delle Leggi, perché essi non hanno nessun potere in ambito comunitario, in quanto il Consiglio dell’Unione Europea è formato da rappresentanti, non dei Parlamenti, ma dei Gabinetti di governo (sono i Ministri dei vari Paesi). Entrano quindi in vigore automaticamente, negli ordinamenti interni degli Stati membri, norme giuridiche sulle quali non sono potuti intervenire i rappresentanti eletti dal popolo, bensì solo gli uomini che sono espressione della maggioranza di governo. Di fatto, in ambito comunitario, la funzione legislativa passa dall’organo parlamentare, al quale è sempre istituzionalmente attribuita nei Paesi democratici, all’organo amministrativo.
2) Non sempre le deliberazioni nel Consiglio dell’Unione Europea sono prese all’unanimità, qualche volta (poche in verità) è prevista la regola della maggioranza. Ciò comporta che una norma giuridica, contenuta per es. in un Regolamento europeo, agisce automaticamente nell’ordinamento di una Nazione, anche se questa Nazione non l’abbia voluta in sede di Consiglio dell’Unione Europea (perché ha votato contro). La paura nazionale di essere costretti ad accettare norme “non desiderate” e perlopiù decise da altri (dagli altri Paesi dell’Unione Europea), è chiaramente un grosso deterrente all’accelerazione dell’unione politica europea.
Le Direttive sono provvedimenti a carattere generale che, nell’ambito di un serto settore, fissano i risultati da raggiungere, lasciando però liberi i Paesi di decidere la strada da percorrere (cioè le norme di dettaglio) per ottenere l’obiettivo voluto.
Per esempio, nel campo delle contabilità nazionali, una Direttiva comunitaria ha fissato lo schema del Bilancio delle società, in modo che tutti i rendiconti delle società europee siano fra loro confrontabili. Lo schema di Bilancio è il risultato finale che la Direttiva ha stabilito ed imposto agli Stati, lasciando poi alle varie legislazioni nazionali la decisione sul modo (cioè nel nostro caso i criteri contabili) con il quale raggiungere il risultato voluto dalla direttiva (il Bilancio comunitario).
Dal punto di vista strettamente formale anche la Direttiva non necessita di un atto interno di ricezione, ma per quello che abbiamo detto sopra si comprende come da un punto di vista sostanziale la Direttiva non può fare a meno, per la sua operatività interna, di un atto che indichi le norme di dettaglio di cui essa è carente e che invece sono necessarie per darle la piena efficacia funzionale.
Dunque, la Direttiva, pur non avendo bisogno di un atto di ricezione formale, non può di fatto operare automaticamente all’interno degli Stati membri dell’Unione Europea, perché priva delle norme disciplinanti le modalità da osservare per il conseguimento del risultato fissato dalla stessa Direttiva. Questa situazione di non operatività permane finché non interviene un provvedimento nazionale che stabilisca appunto le norme di dettaglio necessarie per l’applicazione della Direttiva.
Le raccomandazioni dell’Unione Europea non sono altro che degli atti contenenti una mera esortazione ai Paesi membri dell’Unione Europea, assolutamente non obbligatoria, a tenere un certo comportamento. In virtù di questa definizione e, soprattutto, della mancanza della coattività, molti studiosi di diritto internazionale e comunitario considerano le raccomandazioni dei provvedimenti non giuridici e, quindi, degli atti che non hanno caratteristiche tali da essere studiati dal diritto.
Da queste affermazioni si dissocia il Conforti, secondo il quale anche le raccomandazioni hanno una conseguenza giuridica: l’effetto di liceità.
Esso si può definire in questo modo: quando uno Stato, per eseguire una raccomandazione, è costretto a non adempiere ad un obbligo internazionale (cioè un obbligo verso un altro Stato), derivante per es. da un trattato, il suo comportamento non concretizza una violazione del diritto internazionale in quanto tale condotta è giustificata appunto dall’esecuzione della raccomandazione.
In altre parole, l’effetto di liceità delle raccomandazioni giustifica la violazione dei trattati quando tale inosservanza delle norme pattizie è dovuta all’applicazione di una raccomandazione.
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