Diritto internazionale marittimo
Indice
La materia del Diritto Internazionale Marittimo ha formato oggetto di due successive, importanti conferenze di codificazione, la Conferenza di Ginevra del 1958 e la Terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare tenutasi tra il 1974 e il 1982
La Conferenza di Ginevra del 1958 produsse 4 convenzioni:
- la convenzione sul mare territoriale e la zona contigua,
- la convenzione sull’alto mare,
- la convenzione sulla pesca e conservazione delle risorse biologiche dell’alto mare,
- la convenzione sulla piattaforma continentale.
Inoltre nel 1982 è stata firmata a Montego Bay una nuova convenzione per la ricodificazione del Diritto Internazionale Marittimo (ben 320 articoli) che è entrata in vigore soltanto nel novembre del 1994 ed è stata integrata da un “Accordo applicativo” che modifica la sua parte XI relativa al regime delle risorse sottomarine al di là del limite della giurisdizione nazionale. Il motivo di tanto ritardo era proprio il rifiuto degli Stati industrializzati di vincolarsi alla parte XI così come redatta a Montego Bay perché molto sbilanciata per i Paesi industrializzati. Con l’adozione dell’Accordo applicativo molte sue norme innovative sono state accettate da tutti i Governi.
Secondo l’art 311 della Convenzione, questa sostituisce le 4 precedenti di Ginevra.
Per vari secoli il diritto internazionale marittimo è stato dominato dal principio classico della “libertà dei mari”.
Essa significa che il singolo Stato non può impedire e neanche soltanto intralciare l’utilizzazione degli spazi marini da parte degli altri Stati né delle comunità che da altri Stati dipendono. L’utilizzazione degli spazi marini, che viene così a tutti garantita, incontra il limite che consiste nella pari libertà altrui.
In contrapposizione al principio della libertà dei mari si è sempre manifestata la pretesa degli Stati ad assicurarsi un certo controllo delle acque adiacenti alle proprie coste, ma tale principio ha avuto la meglio sul principio di libertà dei mari solo alla fine del secolo scorso, quando la tendenza si è invertita ricevendo una tutela nel diritto internazionale senza precedenti.
Anzitutto si è andato diffondendo nella prassi la figura del mare territoriale inteso come una zona sottoposta al regime del territorio dello Stato.
Gli anni immediatamente successivi alla fine della seconda guerra mondiale hanno visto una estensione dei poteri dello Stato costiero, con la generale accettazione della dottrina presentata dal Presidente Truman in un proclama famoso del 1945 sulla piattaforma territoriale: tale proclama rivendicava il controllo degli Stati Uniti sulle risorse della piattaforma, vale a dire quella parte del fondo e del sottosuolo marino, che costituisce il prolungamento della terra emersa.
Dagli inizi degli anni 80, infine, la prassi si è orientata a favore di un nuovo istituto, propugnato inizialmente dai Paesi dell’America Latina e poi dalla più gran parte dei Paesi in sviluppo, costituito dalla zona economica esclusiva, estesa fino e 200 miglia marine dalla costa: tutte le risorse del sottosuolo e delle acque sovrastanti sono così considerate di pertinenza dello Stato.
Ma le pretese non si sono fermate qui: alcuni Stati come il Cile, l’Argentina e il Canada hanno cominciato a voler dichiarare di voler tutelare il loro interessi in materia di conservazione della specie ittica in alto mare anche al di là delle rispettive zone economiche esclusive. Si è a tal punto, coniato un nuovo termine, il c.d. mare presenziale, per indicare appunto la necessità della presenza dello Stato costiero ai fini della lotta contro la depredazione della fauna marina. Sebbene questo istituto abbia incontrato l’opposizione fino ad oggi degli altri Stati, nulla vieta che in futuro potrebbe ricevere un eventuale riconoscimento.
IL MARE TERRITORIALE: è, secondo il diritto consuetudinario, sottoposto alla sovranità dello Stato così come i territori di terra ferma. L’acquisto della sovranità è automatico: la sovranità esercitata sulla costa implica la sovranità sul mare territoriale.
L’art 2 della Convenzione di Montego Bay stabilisce che: “La sovranità dello Stato si estende, al di là del suo territorio e delle sue acque interne…a una zona di mare adiacente alle coste denominata mare territoriale”
Esso, ai sensi dell’art 3 della stessa Convenzione, può estendersi fino ad un massimo di 12 miglia marine dalla costa.
Secondo una dottrina formatasi nel periodo tra le due guerre, lo Stato costiero avrebbe il diritto di esercitare poteri di vigilanza doganale in una zona contigua al mare territoriale. Tale dottrina venne recepita dall’art 24 della Convenzione di Ginevra del 1958 e poi trasferita nell’art 33 della Convenzione di Montego Bay il quale recita: in una zona d’alto mare contigua al suo mare territoriale, lo Stato costiero può esercitare il controllo necessario, in vista
- di prevenire la violazione delle proprie leggi di polizia doganale, fiscale, sanitaria e di immigrazione
- di reprimere le violazioni alle stesse leggi, qualora siano commesse sul suo territorio o nel suo mare territoriale.
Lo stesso art. 33 fissa a 24 miglia marine la larghezza massima della zona contigua.
Per quel che riguarda l’Italia, la legge 24.08.1974 n. 359, articolo unico ha modificato l’art 2 del codice della navigazione estendendo il nostro mare territoriale a 12 miglia.
Ma da quali punti della costa si misura la distanza di 12 miglia? L’art.5 della Convenzione fissa il principio generale secondo cui la base di misurazione del mare territoriale è data dalla linea di bassa marea. Più importante, però è l’art. 7 che riconosce la possibilità di derogare a tale principio ricorrendosi al sistema delle linee rette. Secondo tale sistema, la linea di base del mare territoriale è segnata seguendo le sinuosità della costa ma congiungendo i punti sporgenti di questa, o se vi sono isole o scogli in prossimità congiungendo le estremità di questi, o ancora, in presenza di caratteristiche naturali che rendano la costa instabile, unendo i punti più avanzati.
La sporgenza massima utilizzabile deve essere stabilita seguendo un criterio piuttosto elastico previsto dallo stesso art. 7 : “la linea di base nn deve discostarsi in misura apprezzabile dalla direzione della costa” e inoltre” le acque situate all’interno della linea devono essere sufficientemente legate al dominio terrestre per essere sottoposte al regime delle acque interne”.
Ancora, si può tener conto degli interessi economici attestati da un lungo uso delle regioni costiere.
Altra norma importante è l’art. 10 della Convenzione riguardante le baie.
Secondo i par. 4 e 5 dell’articolo, se la distanza fra i punti naturali d’entrata della baia nn supera le 24 miglia, si traccia una linea retta che congiunge detti punti e il mare territoriale viene misurato a partire da questa linea, considerando le acque della baia come acque interne; se la distanza eccede le 24 miglia, si traccia all’interno della baia un alinea retta di 24 miglia in modo tale da lasciare come acque interne la maggior superficie di mare possibile.
E’ importante precisare che l’art 2 della convenzione considera come baie solo le insenature che penetrino in profondità nella costa, la cui superficie si almeno eguale o superiore a quella di un semicerchio dal diametro di 24 miglia.
L’art. 10 par. 6 parla invece delle c.d. “baie storiche” , cioè quelle baie sulle quali lo Stato costiero può vantare diritti esclusivi consolidatesi nel tempo grazie all’acquiescenza di altri Stati. Tali baie sono da considerare come acque interne indipendentemente dalla loro superficie. (baie di Chaleur, Chesapeake, Delaware…)
Molto importante è focalizzare un concetto: la determinazione della linea di base non è tanto importante ai fini della misurazione del mare territoriale, quanto ai fini della misurazione delle zone le cui risorse sono di pertinenza dello Stato costiero. Spostandosi verso il largo, aumenta la possibilità di accaparramento di queste risorse. Ciò spiega perché molti Stati hanno provveduto alla “chiusura” di molte baie negli ultimi anni.
Per quel che riguarda i poteri dello Stato sul mare territoriale, questi sono , in linea di principio gli stessi poteri esercitati nell’ambito del territorio, ovviamente con le limitazioni che si accompagnano alla sovranità territoriale.
Il primo limite è costituito dal c.d. passaggio inoffensivo o innocente da parte delle navi straniere di cui si occupano gli artt. 17 ss. della Convenzione di Montego Bay.
Ogni nave ha il diritto al passaggio inoffensivo nel mare territoriale, sia per traversarlo, sia per entrare nelle acque interne, sia per prendere il largo provenendo da queste e purchè il passaggio sia “continuo e rapido”.
L’art 19, inoltre, definisce il passaggio inoffensivo come quello che “ nn reca pregiudizio alla pace, al buon ordine o alla sicurezza dello Stato costiero” precisando, allo stesso tempo, i casi (uso della forza, esercizi o manovre con armi, propaganda ostile, inquinamento, pesca, etc) in cui il passaggio nn può considerarsi inoffensivo.
Se il passaggio non è inoffensivo, lo Stato costiero può prendere tutte le misure atte ad impedirlo. Eccezionalmente lo Stato costiero può anche chiudere al traffico per motivi di sicurezza. (art. 25 )
Un altro limite che può considerarsi come tuttora osservato dalla prassi, riguarda l’esercizio della giurisdizione penale sulle navi straniere. La giurisdizione penale non può essere esercitata in ordine a fatti puramente interni alla nave straniera, cioè a fatti che nn abbiamo alcuna ripercussione nell’ambito esterno e che nn siano idonea a turbare il normale svolgimento della vita della comunità territoriale. Su questo punto la Convenzione si discosta dal diritto consuetudinario, perché l’art. 27 si limita a prescrivere che lo Stato costiero “non dovrebbe” esercitare la giurisdizione sui fatti interni, lasciando allo Stato la decisione se esercitare o meno la propria potestà punitiva.
LA PIATTAFORMA CONTINENTALE: la sua disciplina è contenuta negli artt. 76 ss. della Convenzione di Montego Bay. Fermo restando la libertà di tutti gli Stati di utilizzare le acque e lo spazio atmosferico sovrastanti (art 78), lo Stato costiero ha il diritto esclusivo di sfruttare tutte le risorse della piattaforma (art 77), intesa come quella parte del suolo marino contiguo alle coste che costituisce il naturale prolungamento della terra emersa e che pertanto si mantiene ad una profondità costante (200 m circa) per poi precipitare o degradare negli abissi.
Il diritto esclusivo di esercitare il potere di governo sulle attività di sfruttamento, viene acquistato in modo automatico a prescindere da qualsiasi occupazione effettiva della piattaforma (art. 77). Tale diritto, inoltre, ha natura funzionale: lo Stato può esercitare il proprio potere di governo solo nella misura strettamente necessaria per controllare e sfruttare le risorse della piattaforma.
Un problema importante è quello che riguarda la delimitazione della piattaforma tra Stati che si fronteggiano o fra Stati contigui. La Convenzione di Ginevra risolveva il problema ricorrendo al criterio dell’equidistanza. Tale criterio consiste nel tracciare una linea i cui punti siano equidistanti dalle rispettive linee di base del mare territoriale. Tuttavia, una sentenza importantissima che costituisce una delle pietre miliari nella materia, la sent. Del 1969 della Corte Intern. di Giustizia, decretò che il criterio dell’equidistanza nn era imposto dal diritto consuetudinario. Pertanto, la delimitazione poteva essere effettuata soltanto mediante accordo tra gli Stati interessati, ma sempre secondo principi di equità. Quest’ultima affermazione appare, al Conforti, priva di senso. Infatti subordinare l’accordo all’equità è insignificante poiché nel momento in cui un accordo viene concluso, esso resta cmq valido, equi o iniqui i suoi criteri. Occorre affermare, pertanto, che la giurisprudenza internazionale, rifacendosi al criterio dell’equità, ha solo indicato dei criteri pratici , non vincolanti, che hanno un mero carattere correttivo del criterio dell’equidistanza (da considerare come criterio base).
L’opinione della Corte è stata recepita dalla Convenzione di Montego Bay, nell’ art. 83.
La dottrina sulla piattaforma continentale, facendo leva sulla conformazione delle coste, risulta però, iniqua; infatti se alcuni Stati hanno un’estesa piattaforma, altri devono fare i conti con una sua totale assenza o con fosse profonde che la separano dalla costa. A tale iniquità ha sopperito l’istituzione della zona economica esclusiva che comporta comunque l’assegnazione allo Stato, a prescindere dalla conformazione geografica, delle risorse del fondo marino fino a 200 miglia dalla costa.
ZONA ECONOMICA ESCLUSIVA: a favore di essa si sono pronunciati praticamente tutti gli Stati e numerosi sono i Paesi che hanno già provveduto ad istituirla con apposite leggi senza incontrare opposizioni, tanto che può ormai affermarsi che ci si trova di fronte ad un istituto di diritto consuetudinario.
La Convenzione di Montego Bay se ne occupa agli artt. 55 ss.
La zona economica può estendersi fino a 200 miglia marine, limite che essendo calcolato a partire dalla linea di base del mare territoriale, finisce parecchio a largo…
La terza conferenza, sotto la spinta dei Paesi in sviluppo ha attribuito allo Stato costiero il controllo esclusivo di tutte le risorse economiche della zona, sia biologiche che minerali, sia del suolo e del sottosuolo che delle acque sovrastanti e per la pesca. Gli artt. 61 e 62 della Convenzione stabiliscono che spetta allo Stato fissare la quantità massima delle risorse ittiche sfruttabili, determinare la propria capacità di sfruttamento e, solo se questa è inferiore al massimo, consentire la pesca agli stranieri.
Per quanto riguarda i poteri degli Stati diversi dallo Stato costiero sulla zona, l’opinione maggiormente difesa, e nn respinta, è che l’attribuzione delle risorse allo Stato costiero nn debba pregiudicare la partecipazione degli altri Stati alle altre possibili utilizzazioni della zona; tutti gli Stati continueranno a godere della libertà di navigazione, di sorvolo, di posa di condotta di cavi sottomarini.
In realtà è difficile inquadrare la situazione degli altri Stati nella zona economica in termini di libertà dei mari. Occorre riconoscere che oggi la situazione sta mutando e la disciplina nn si caratterizza più per il principio di libertà dei mari. Da un lato vi è il diritto dello Stato costiero di sfruttare totalmente, esclusivamente e razionalmente le risorse marine, dall’altro permane la possibilità degli altri Stati di navigare, di sorvolare, di posare cavi sottomarini etc…ma si tratta di un regime che non è improntato né alla libertà di tutti gli Stati, né alla sovranità dello Stato costiero. I diritti hanno carattere funzionale, nel senso che all’uno e agli altri sono consentite soltanto quelle attività indispensabili allo sfruttamento delle risorse e alle comunicazioni e ai traffici marittimi e aerei.
IL MARE INTERNAZIONALE E L’AREA INTERNAZIONALE DEI FONDI MARINI
Negli spazi marini situati oltre la zona economica esclusiva cessa ogni tutela degli interessi degli Stati costieri. Il mare internazionale è l’unica zona in cui trova ancora applicazione il vecchio principio della libertà dei mari.
Tutti gli Stati hanno eguale diritto a trarre dal mare internazionale le risorse che questo è in grado di offrire, dalla navigazione, alla pesca, alla posa dei cavi…
Tali fini, però, non possono essere assicurati che attraverso l’azione di uno Stato nei confronti delle proprie navi oppure attraversala cooperazione internazionale.
Naturalmente, trattandosi spesso di risorse esauribili, non è ammissibile che gli Stati se ne approprino a loro arbitrio fino al punto di sopprimere ogni possibilità di utilizzazione da parte degli altri Paesi.
Questo problema è stato affrontato nella Convenzione di Montego Bay con la costituzione dell’Autorità internazionale dei fondi marini destinata a presiedere allo sfruttamento delle risorse del fondo e del sottosuolo del mare internazionale in modo che tutto avvenga nell’interesse dell’umanità.
Gli organi principali sono : l’Assemblea, il Consiglio, il Segretariato e l’Impresa.
Quest’ultima è un organo operativo attraverso il quale l’Autorità partecipa direttamente allo sfruttamento.
L’ obiettivo della tutela degli interessi dell’umanità verrebbe raggiunto attraverso il sistema dello sfruttamento parallelo, dividendo ogni area da sfruttare in due parti uguali, l’una attribuita allo Stato che l’ha individuata e l’altra direttamente sfruttata dall’Autorità.
LA NAVIGAZIONE MARITTIMA
Il principio generale è che ogni nave è sottoposta esclusivamente al potere dello Stato di cui ha nazionalità: lo Stato di bandiera o Stato nazionale ha diritto all’esercizio esclusivo del potere di governo sulla comunità navale e esercita siffatto potere attraverso il comandante (considerato come organo dello Stato).
Vediamo ora le eccezioni che tale principio incontra allorché una nave si avvicini alle coste di un altro Stato:
- Acque internazionali. La nave pirata può essere catturata da qualsiasi Stato e sottoposta a misure repressive. Lo Stato nel cui territorio è in corso una guerra civile può visitare e catturare qualsiasi nave che si proponga di recare aiuto (in armi o armati) agli insorti.
- Zona economica esclusiva. Lo Stato costiero può visitare e catturare navi e relativo carico per infrazioni alle proprie leggi sulla pesca o allo sfruttamento delle risorse sottomarine.
- Mare territoriale. Rilevano i principi già analizzati del diritto di passaggio inoffensivo e della sottrazione alla giurisdizione penale dello Stato costiero dei fatti puramente interni alla nave
Le navi da guerra o comunque destinate a servizi pubblici possono inseguire una nave straniera che abbia violato le loro leggi purché l’inseguimento sia continuo e abbia avuto inizio almeno nelle acque contigue al mare territoriale. Se la nave inseguita entra nelle acque territoriali di un altro Stato l’inseguimento cessa.
Per quanto riguarda la nazionalità delle navi occorre che tra queste e lo Stato che concede la bandiera esista un legame sostanziale (genuine link).
La protezione dell’ambiente marino
La lotta all’inquinamento marino non può non fondarsi su una stretta cooperazione internazionale. Ecco perchè la Convenzione di Montego Bay dedica all’argomento più di quaranta articoli. Tuttavia nella prassi non vi sono elementi che inducano ad affermare l’esistenza di obblighi particolari in materia in capo agli Stati.
Deve ritenersi pertanto che l’art. 192 della Convenzione, quando dichiara che “gli Stati hanno il dovere di proteggere e preservare l’ambiente marino”, sancisca un principio non codificatorio.
Al contrario, per quanto riguarda il diritto convenzionale numerosi sono gli accordi, sia universali che regionali, stipulati in materia.
Il secondo problema consiste nello stabilire quale Stato possa esercitare il proprio potere di governo sulle navi onde impedire fenomeni di inquinamento.
Ad imporre divieti ed a comminare sanzioni saranno lo Stato della bandiera e, nelle zone sottoposte a giurisdizione nazionale, lo Stato costiero.
Inoltre, è ammesso l’intervento eccezionale su una nave altrui in acque internazionali per prendere le misure strettamente necessarie ad impedire o attenuare i danni derivanti da un incidente già avvenuto.
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