La funzione giurisdizionale internazionale
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La funzione giurisdizionale internazionale
La funzione giurisdizionale internazionale ha ancora oggi natura arbitrale, essendo ancorata al principio per cui un giudice internazionale, comunque costituito, non può mai giudicare se la sua giurisdizione non è stata preventivamente accettata da tutti gli Stati parti di una controversia. Ed è proprio questo fatto che fa sì che si privilegi il momento interno dell’applicazione del diritto internazionale.
Gli Stati sono liberi di deferire ad un Tribunale internazionale una qualsiasi controversia che riguardi i loro rapporti: ciò che importa è che siano d’accordo sulla scelta e accettino come vincolante la sua decisione.
Il processo internazionale ha quindi sostanzialmente carattere arbitrale, poiché riposa sulla volontà degli Stati.
Il punto di partenza dell’evoluzione dell’istituto è l’arbitrato isolato. Esso si svolgeva solitamente in questo modo: sorta una controversia tra due o più Stati, si stipulava un accordo (il c.d. compromesso arbitrale) con il quale si nominava un arbitro (ad esempio, un Capo di Stato) o un collegio arbitrale, si stabiliva eventualmente qualche regola procedurale, e ci si obbligava a rispettarne la sentenza così emessa. L’istituto si è evoluto: per facilitare l’accordo, alla fine del secolo scorso, si è cominciato a ricorrere a degli accorgimenti per l’instaurazione del processo: sono comparsi i c.d. trattati generali di arbitrato (chiamati anche “non completi” per distinguerli da quelli successivi “completi”) e le clausole compromissorie. Questi obbligavano gli Stati a ricorrere all’arbitrato per tutte le controversie che sarebbero sorte in futuro in ordine all’applicazione e all’interpretazione della convenzione tra gli Stati stessi.
Questi, quindi, creano soltanto un obbligo de contrahendo, cioè l’obbligo di stipulare il compromesso arbitrale. Nella seconda fase, con la fine della prima guerra mondiale, è stata creata la Corte Permanente di Giustizia Internazionale all’epoca delle Società delle Nazioni, e poi, nel 1945, la Corte Internazionale di Giustizia. Si tratta di un corpo permanente di giudici, eletti dall’Assemblea generale e dal Consiglio di Sicurezza. Resta comunque un tribunale arbitrale. In questa fase, compare la figura della clausola compromissoria “completa” e del “trattato generale di arbitrato” completo. Questi non si limitano a creare l’obbligo di stipulare il compromesso, ma prevedono direttamente l’obbligo di sottoporsi al giudizio di un tribunale internazionale già predisposto.
Bisogna comunque sottolineare che la funzione giurisdizionale internazionale va sempre cedendo il passo ai mezzi diplomatici. Inoltre è necessario distinguere i tribunali internazionali (destinati a risolvere le controversie tra Stati) dai tribunali istituiti all’interno delle organizzazioni internazionali (che risolvono le controversie di lavoro tra funzionari e l’organizzazione).
Un cenno meritano anche alcuni organi giurisdizionali settoriali che presentano caratteristiche proprie: spicca, tra essi, la Corte di Giustizia delle Comunità Europee (con sede a Lussemburgo), che però si occupa a) dei ricorsi per violazione del Trattato da parte di uno Stato membro, b) del controllo di legittimità sugli atti degli organi comunitari e c) delle questioni c.d. pregiudiziali (esempio, quando un giudice interno deve chiedere l’interpretazione del Trattato CE, ha il dovere di sospendere il processo e di chiedere una pronuncia della Corte al riguardo).
Nel 1988 è stato inoltre istituito il Tribunale di primo grado delle Comunità europee.
La Corte europea dei diritti dell’uomo controlla il rispetto della convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali da parte degli Stati contraenti.
I MEZZI DIPLOMATICI DI SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE INTERNAZIONALI
Questi mezzi si distinguono dai mezzi giurisdizionale di soluzione delle controversie in quanto tendono soltanto a facilitare l’accordo delle parti: di conseguenza non hanno carattere vincolante per le parti.
L’accordo può essere innanzitutto facilitato da negoziati diretti tra le parti medesime, e in genere sono il mezzo più utilizzato.
Si parla poi di buoni uffici o mediazione, quando si verifica l’intervento di uno Stato terzo, o di un organo supremo di uno Stato o di un’organizzazione internazionale a titolo personale. La differenza tra buoni uffici e mediazione è più teorica che pratica: di solito con i primi ci si limita a indurre le parti della controversia a negoziare; nella mediazione c’è invece una partecipazione più attiva del terzo alle trattative.
Molto importante è anche la conciliazione, che si avvicina di più all’arbitrato. Le commissioni di conciliazione sono di solito composte da individui e da Stati ed hanno il compito di esaminare tutti gli aspetti della controversia e formulare una proposta di soluzione che le parti sono libere di accettare o meno. Le Commissioni di inchiesta, invece, hanno il compito di accertare il fatto. Il ricorso alla conciliazione è sempre succedaneo del ricorso all’arbitrato, soprattutto nei trattati multilaterali. Sempre più spesso è previsto come obbligatorio il ricorso alla conciliazione, con la conseguente possibilità per uno degli Stati contraenti di dare unilateralmente avvio alla procedura conciliativa.
Ai mezzi diplomatici vanno riportate anche le procedure di soluzione non vincolanti che si svolgono in seno alle organizzazioni internazionali.
La Carta delle Nazioni Unite stabilisce che gli Stati membri hanno l’obbligo di risolvere le loro controversie con mezzi pacifici.
Una funzione importante è svolta anche dal Consiglio di Sicurezza, che dispone di un potere di inchiesta, da esercitare sia personalmente, sia per mezzo di un organo ad hoc, come ad esempio un’apposita Commissione. Il Consiglio può anche sollecitare le parti di una controversia a ricorrere ai mezzi e procedimenti pacifici. Il Consiglio può rivolgere un invito generico o indicare uno specifico procedimento.
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