Criteri di valutazione del bilancio d’esercizio
Una dispensa sui criteri di valutazione del bilancio d'esercizio

da | 24 Feb 2003 | Economia aziendale e Diritto commerciale | 1 commento

Lo schema del Bilancio d’esercizio è stabilito dalla legge (articoli 2423 e segg. del codice civile)

Esso si compone di:

 Stato Patrimoniale (SP)

• Conto Economico (CE)

• Nota Integrativa

Quest’ultima è necessaria per fornire le informazioni integrative allo SP ed al CE. Il suo contenuto (minimo obbligatorio) è indicato all’art. 2427 del CC).

Anche se lo schema è lo stesso per tutte le imprese (tranne poche eccezioni, come le banche) quello che cambia e che è importante conoscere sono i criteri di valutazione delle voci in bilancio.

I criteri di valutazione delle voci di bilancio sono moltissimi e variano in funzione delle finalità che coloro che redigono il bilancio (il management della società) vogliono attribuire al bilancio. A seconda della finalità che ha il bilancio si applica una certa “famiglia” di criteri di valutazione, anziché un’altra.

Le finalità del bilancio sono diverse:

• integrità del capitale sociale

• prelievo fiscale

• stabilizzazione dei dividendi nel tempo

• sostenimento della quotazione in borsa delle azioni

• immagine aziendale

• ecc…

Di tutte queste, vogliamo parlare delle prime 2 (integrità del CS e prelievo fiscale), perché esse sono obbligatorie per legge: la prima è imposta da codice civile, la seconda dalla legislazione fiscale.

Vedremo i motivi per i quali il legislatore (civilistico e fiscale) è intervenuto a fissare le finalità del bilancio e parleremo dei criteri di valutazione che a queste finalità sono consequenziali.

Il codice civile si preoccupa di mantenere l’integrità del capitale sociale perché considera questo capitale una garanzia per tutti coloro che intrattengono rapporti con la società (finanziatori, fornitori, clienti, ecc.).

Il legislatore civilistico non vuole che un’eventuale crisi della società si ripercuota sui terzi in buona fede che hanno intrapreso affari con la società. Per cui detta una serie di regole (criteri), da osservare nella valutazione delle attività e passività di bilancio, con il palese intento di evitare che in questa operazione di valutazione venga eroso il patrimonio societario (il capitale sociale).

I criteri di valutazione del CC sono quindi finalizzati a mantenere integro, il più possibile, il CS, in modo che esso continui a garantire il buon esito delle operazioni compiute dalla società con gli operatori esterni. I criteri di valutazione civilistici sono quindi improntati sul principio della prudenza.

Questo principio, che guida tutte le regole di valutazione delle singole voci indicate negli articoli del codice, significa che nelle operazioni valutative bisogna imputare in bilancio gli importi dopo aver fatto questa considerazione:

• NO UTILI SPERATI

• SI PERDITE PRESUNTE

In conclusione, applicando i criteri di valutazione civilistici improntati sulla prudenza si cerca quindi la salvaguardia del patrimonio sociale a garanzia dei terzi.

Diverso è il caso della finalità del prelievo tributario.

In questo caso il legislatore fiscale impone dei criteri di valutazione delle voci in bilancio per un motivo molto meno paterno: la necessità di evitare che, nella costruzione del bilancio, le società compiano delle valutazioni subdole che sgonfino gli utili al fine di evitare la tassazione degli stessi.

E’ quindi la finalità di salvaguardia del “giusto” imponibile fiscale che le norme tributarie inseguono. Si vuole cioè eliminare, o almeno ridurre, il fenomeno dell’evasione fiscale che in materia societaria si manifesta con bilanci caratterizzati da perdite o da bassi utili d’esercizio, in modo tale che la società non debba pagare le imposte sul reddito o le paghi in misura minima.

I criteri di valutazione collegati a questa finalità sono necessariamente tracciati su uno schema finalizzato a ricomprendere, nelle valutazioni, tutti i componenti positivi (ricavi) e ad escludere quei componenti negativi (costi indeducibili) che l’ufficio fiscale non ritiene, a suo insindacabile giudizio, legittimi, inerenti e di competenza. In conclusione i criteri di valutazione fiscali seguono il seguente principio generale:

• SI TUTTI I RICAVI

• NO I COSTI INDEDUCIBILI (indicati dalle stesse norme fiscali)

Da quanto detto si potrebbe pensare che nella redazione dei bilanci i manager societari siano costretti ad osservare entrambe le discipline (civile e fiscale), perché abbiamo parlato di obbligatorietà di ambedue le normative contenenti i criteri di valutazione.

In realtà anche volendo non è possibile adempiere entrambe le discipline appena viste, perché spesso le norme di valutazione sono, per le singole voci, contrastanti tra di esse. Ciò è normale e non deve meravigliare in quanto sono appunto diverse le finalità che stanno dietro le regole di valutazione: in un caso la tutela del patrimonio e nell’altro caso il prelievo fiscale.

Di conseguenza, nella costruzione dei bilanci è teoricamente possibile optare per una “famiglia” di valutazione anziché l’altra. Si dice che in Italia c’è il “doppio binario”, cioè la possibilità di scegliere se redigere un bilancio civilistico o fiscale.

Se guardiamo alla nostra realtà societaria vediamo che le società piccole e medie si sono orientate quasi tutte sull’applicazione della normativa fiscale, in modo da evidenziare in bilancio un utile d’esercizio già pronto per la tassazione (reddito di bilancio = reddito imponibile).

La verità è che questi comportamenti sono completamente sbagliati e quanto diremo sull’argomento è molto importante perché costituisce un’anomalia tutta italiana, che porta a disapplicare delle norme legislative (quelle civilistiche) per favorire la creazione di un utile fiscale da sottoporre a imposizione ed evitare quindi i futuri accertamenti ispettivi della Guardia di finanza.

Il comportamento corretto da tenere secondo noi, nella redazione del bilancio d’esercizio, è il seguente.

L’unica disciplina da rispettare è quella civilistica, creata appunto per tutelare la società ed i terzi. In fase di redazione del bilancio bisogna ignorare le norme di valutazione fiscali. Il reddito d’esercizio che verrà evidenziato in bilancio sarà, in questo caso, l’unico reddito corretto da un punto di vista legislativo.

Le norme fiscali vanno applicate in un momento successivo e cioè in fase di compilazione della dichiarazione dei redditi. E’ a questo punto e solo a questo punto che entrano in gioco le regole fiscali, attraverso le cosiddette riprese fiscali. Esse non sono altro che le correzioni da apportate all’utile di bilancio per renderlo compatibile dal punto di vista fiscale (cioè per farlo divenire reddito imponibile).

In particolare le operazioni da effettuare, in sede di dichiarazione dei redditi, al fine di operare le giuste riprese fiscali sono le seguenti:

Reddito di bilancio

+ costi indeducibili

– ricavi non imponibili

______________________

= Reddito imponibile

Argomenti correlati: l’inquinamento fiscale del bilancio d’esercizio

1 commento

  1. mario attilio valcarenghi

    molto esplicativo

    Rispondi

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