Corso di Economia Politica
Un corso completo e facile di economia politica

da | 8 Mag 2008 | Economia politica | 14 commenti

Sindacati mercato lavoro ed altri fattori produttivi

MICROECONOMIA (lezione n. 8)

In questa lezione integreremo l’analisi del mercato del lavoro con l’azione dei Sindacati e quindi con l’effetto dei salari minimi (che essi fissano nelle contrattazioni collettive) sull’equilibrio di mercato.

Vedremo pure l’equilibrio nel mercato di altri 2 fattori produttivi: la terra ed il capitale (monetario e reale)

 

L’azione sindacale

Nello studio del mercato del lavoro non si può prescindere dalla considerazione del ruolo dei sindacati, vista l’importanza che essi hanno assunto nelle economie liberal-democratiche.

Possiamo avere 2 casi:

  • il sindacato monopolista
  • più sindacati corporativi in competizione oligopolista

Il caso del sindacato monopolista

Ipotizziamo che nel mercato del lavoro esista un unico sindacato (che può essere definito perciò monopolista), al quale sono iscritti tutti i lavoratori.

E’ chiaro che in questa situazione, il sindacato monopolista avrebbe uno strapotere, perché avrebbe la possibilità di controllare totalmente l’offerta di lavoro nel mercato.

Il salario monetario sarebbe stabilito unilateralmente dal sindacato e quindi per l’impresa esso risulterebbe come un valore non modificabile.

Graficamente il salario monetario (e quindi l’offerta di lavoro nel mercato), deciso dal sindacato monopolista, è rappresentabile come una retta parallela all’asse delle ascisse.

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Immaginiamo che, in assenza del sindacato, il salario monetario deciso dal mercato in concorrenza coincida con il salario medio del sistema economico (in figura W*), corrispondente ad un livello di occupazione L* ,

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mentre il salario stabilito dal sindacato monopolista sia W1, corrispondente ad un livello occupazione L1.

Quali conclusioni economiche si ricavano da questa situazione?

Risulta, che l’intervento del sindacato, anziché aumentare l’occupazione, incrementa la disoccupazione (della quantità L* – L1) e produce, teoricamente, una tendenza all’aumento dei prezzi del comparto (per il maggior costo di produzione delle imprese) ed una spirale di crescita dei salari relativi (i risultati salariali raggiunti in questo settore produttivo provocano, infatti, una rincorsa salariale negli altri settori economici), con conseguenze sui prezzi dell’intero sistema economico.

Quindi, in definitiva, il salario deciso dal sindacato porta a dei risultati occupazionali diametralmente opposti a quelli che un sindacato dovrebbe perseguire.

Questo discorso è importante e deve essere tenuto ben presente quando, nelle trattative sindacali riguardanti la conclusione di un contratto collettivo di lavoro, i sindacati si adoperano esclusivamente per garantire un certo livello salariale ai propri lavoratori.

Il caso dei sindacati corporativi in competizione oligopolista

Alle stesse conclusioni cui siamo giunti nel caso del sindacato monopolista, arriviamo se consideriamo un mercato del lavoro in cui i lavoratori sono rappresentati, anziché da un unico sindacato, da più sindacati, in competizione fra di loro per avere il maggior numero di iscritti. E’ sicuramente questa la situazione più realistica.

Anche con più sindacati in competizione oligopolista, gli effetti sull’economia di salari imposti, più alti di quelli concorrenziali, sono controproducenti per i sindacati stessi. Infatti, i livelli salariali, contrattualmente stabiliti dai sindacati, provocano una maggiore disoccupazione nel comparto produttivo disciplinato dal contratto collettivo, con tutti i riflessi negativi che una siffatta situazione comporta per l’intera economia (prezzi più alti nel settore economico, effetti sui salari e sui prezzi degli altri settori, spirale inflazionistica alimentata dall’aumento dei costi di produzione).

L’unica particolarità economica di rilievo in questo mercato è la configurazione ad angolo della domanda di lavoro da parte delle imprese (in modo speculare alla domanda ad angolo dei beni, che abbiamo visto nell’oligopolio d’impresa).

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La spiegazione di questa forma peculiare della domanda è più semplice di quanto sembri. Se ipotizziamo che il livello salariale nel mercato sia W0, dal punto di vista dei sindacati è come se la domanda di lavoro nel punto E fosse spezzata, perché ciascun sindacato presume che, se esso riesce a far aumentare (con la contrattazione) il salario, gli altri sindacati lo seguiranno necessariamente (per non perdere gli iscritti), per cui ci si muoverà verso sinistra, sulla curva di domanda Dl, che è poco elastica. Viceversa, se un sindacato decide la riduzione del salario, esso presume che gli altri sindacati non lo seguiranno (sempre per rafforzare gli iscritti), per cui ci si muoverà verso destra, sulla domanda di lavoro delle imprese dl, che ha molta più elasticità, con grosse ripercussioni sul lato occupazionale.

 

L’introduzione dei salari minimi

Dopo aver visto il caso dei salari minimi imposti dai sindacati, analizziamo adesso il caso generale riguardante l’introduzione, per qualsiasi ragione, di livelli garantiti di salario, in determinati mercati del lavoro.

La situazione di mercato può essere rappresentata graficamente nel modo seguente,

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in cui si ipotizza un’offerta di lavoro totalmente rigida (verticale): i lavoratori sono disposti ad accettare l’occupazione per qualsiasi salario. In particolare, l’offerta di lavoro nel mercato corrisponde all’occupazione L*, mentre l’occupazione di pieno impiego (cioè senza disoccupazione) è L. Il salario determinato liberamente dalle forze di mercato è W* (corrispondente al punto di equilibrio A, ove si intersecano le rette DL e L*).

E’ facile comprendere in quali casi un livello di salari minimi non provoca distorsioni nell’allocazione delle risorse di questo mercato.

Infatti, solo per un salario minimo più basso di quello di mercato W*, per es. Wmin, si ha un miglioramento della situazione, raggiungendo addirittura la piena occupazione della forza lavoro (in L, con equilibrio nel punto E).

In tutti gli altri casi, in cui viene stabilito un salario minimo più alto di quello di mercato, per es. W’min, la disoccupazione aumenta sensibilmente (a L1, con equilibrio nel punto B). Questo perché si provocano delle forti distorsioni all’efficiente allocazione delle risorse, avendo impedito alle forze di mercato di agire liberamente.

Il problema è che, spesso, l’aggiustamento verso il basso del salario concorrenziale va ad operare in un mercato in cui il salario liberamente formato è già di per sé basso e quindi una sua ulteriore riduzione sarebbe inaccettabile per le famiglie.

Inoltre, nel decidere il salario minimo da imporre in un determinato mercato, bisogna valutare attentamente il differenziale rispetto al salario di mercato, perché altrimenti si potrebbe correre il rischio di fissare un salario minimo troppo basso in assoluto (come il salario “min” in figura, vicino all’asse delle ascisse), con gravi conseguenze sul mercato del lavoro (eccesso di domanda, mercato nero del lavoro, ecc…).

La conclusione è una sola. In linea di massima, il salario minimo garantito ai lavoratori, è utile, per aumentare l’occupazione, solo quando è più basso del salario formato dalla libera concorrenza di mercato. La difficoltà sta nel determinare quel livello minimo dei salari in grado di assicurare al lavoratore uno stipendio comunque “dignitoso”.

Anche in un altro caso, la fissazione di un salario minimo è efficiente. E’ il caso del monopsonio, cioè dell’impresa unica acquirente sul mercato del lavoro (i lavoratori possono offrire il proprio lavoro solo a quell’impresa). In un contesto del genere, in realtà molto inverosimile data l’attuale apertura mondiale di tutti mercati (compreso quello del lavoro), il salario minimo garantito darebbe la possibilità ai lavoratori di controbilanciare l’enorme forza contrattuale dell’impresa monopsonista.

 

L’equilibrio nel mercato degli altri fattori produttivi

A conclusione della parte di microeconomia di questo corso, un accenno all’equilibrio nel mercato dei fattori produttivi diversi dal lavoro: terra e beni capitali.

Anche in questi mercati l’equilibrio è conseguenza della teoria del prezzo, in base alla quale i valori di equilibrio (prezzo P e quantità Q) sono determinati dal mercato, in corrispondenza dell’intersezione fra la domanda e l’offerta, ed in particolare nel punto cui corrisponde l’uguaglianza fra le quantità domandate e offerte del fattore produttivo considerato.

Per quanto riguarda il fattore terra, la peculiarità di esso sta nel fatto che in natura ne esiste un quantitativo fisso, non modificabile (tranne il caso di bonifica), per cui l’offerta di terra si raffigura graficamente come un asse verticale (offerta rigida o completamente anelastica).

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Il prezzo della terra è deciso unicamente dalla posizione della domanda di terra e quindi dai suoi spostamenti. In questa situazione, ma anche in tutte quelle in cui il prezzo di un bene è deciso unicamente da una curva, per la rigidità dell’altra, il prezzo prende il nome tecnico di rendita.

Per quanto riguarda, invece, il fattore capitale, è importante sottolineare che esso raggruppa sia il capitale monetario (cioè i finanziamenti necessari all’impresa per lo sviluppo della sua attività), sia il capitale reale (cioè l’acquisto da parte dell’impresa di macchine indispensabili per la sua produzione).

Nel primo caso, del capitale finanziario, l‘equilibrio fra domanda e offerta avviene nei mercati finanziari (per es. in borsa o attraverso il sistema bancario) ed il prezzo che si forma è il tasso d’interesse, cioè il costo del denaro. La domanda proviene dalle imprese, che hanno bisogno dei finanziamenti per realizzare i loro investimenti produttivi, mentre l’offerta di capitali in prestito proviene dalle famiglie o dagli investitori istituzionali, che puntano a realizzare un profitto dai capitali investiti (interesse o dividendo). Il prezzo che si forma è il tasso d’interesse, cioè il costo del capitale preso a prestito.

Nel secondo caso, del capitale reale (macchine), l’equilibrio fra l’offerta, rappresentata dai proprietari delle macchine (le case produttrici) e la domanda da parte delle imprese, porta a determinare il prezzo delle macchine, inteso come tasso di remunerazione del bene reale. In questo mercato intervengono delle valutazioni circa i flussi attesi di rendimento e circa il valore attuale delle remunerazioni future delle macchine.

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Infine, è importante la distinzione tra macchine riproducibili nel breve periodo e macchine non riproducibili, anche dette macchine specialistiche, nello stesso periodo.

Queste ultime macchine, particolarmente tecniche, non possono essere costruite, nel quantitativo desiderato, in breve tempo e di conseguenza la loro offerta sul mercato è pressoché rigida.

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Il prezzo, ovvero il tasso di remunerazione, dei beni capitali specialistici è dato quindi, nel breve periodo, esclusivamente dalla posizione della domanda. Per questa sua caratteristica, il prezzo dei beni reali specialistici prende il nome di quasi-rendita. Chiaramente nel lungo periodo il problema di riproduzione delle macchine specialistiche non sussiste, potendo queste essere costruite nella quantità richiesta dal mercato, perciò la loro offerta assume la tradizionale forma crescente (relazione diretta fra P e Q).

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Per le macchine normalmente riproducibili non è necessaria questa doppia considerazione del breve e del lungo periodo. L’equilibrio del loro mercato avviene nel canonico punto d’intersezione fra domanda e offerta,

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dove si determinano la quantità ed il tasso di remunerazione (prezzo) d’equilibrio. E’ tuttavia ipotizzabile, per alcune macchine, un’offerta infinitamente elastica, in conseguenza della facilità di riproduzione, nel lungo periodo, del loro stock. La rappresentazione grafica del mercato delle macchine con questa caratteristica è la seguente:

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14 Commenti

  1. Silvia

    davvero complimenti per la chiarezza espositiva!!
    Semplice e completo, a portata di tutti.
    Bravi bravi bravi

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  2. Roberto IACONA

    DA UNA VISUALIZZATA VELOCE SEMBRA INVITANTE ALLO STUDIO

    Rispondi
  3. maria

    meravigliosi!

    Rispondi
  4. Luca

    Non si può non lasciare un commento per un lavoro così sublime..!
    Alcuni concetti sono espressi meglio qui che su molti testi universitari

    Complimenti davvero, PERFETTO!

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  5. Anto

    Sembra scritto da un extraterrestre per come è ben fatto.
    Complimenti!!!
    Di solito non lascio commenti…ma in questo caso faccio ben volentieri un’eccezione.
    Complimenti ancora!!!

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  6. Fulvia

    A dir poco spettacolari, sono rimasta inebriata dai suoi appunti mozzafiato. Davvero notevole la sua intelligenza e mi ha colpito molto personalmente i suoi ragionamenti davvero fondati nel profondo dell’anima. D’ora in poi le starò col fiato sul collo, perlusterò tutti gli articoli a tappeto.
    Diventerò un suo grande fan a manetta.

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  7. Domenico

    I migliori appunti che una mente umana abbia mai potuto concepire. In poche parole, potrebbero semplicemente cambiarvi la vita! Marx avrebbe detto di questi autori: ‘se avessi avuto metà del loro talento, sarei diventato uno degli economisti piu importanti della storia’. Non ci riuscirà……mai.

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  8. Bruna Manzoni

    Davvero molto chiaro e utile. Grazie

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  9. Filippo

    Veramente chiaro ed esauriente. Nessun libro di testo universitario contiene una trattazione così ben fatta. Complimenti.

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  10. Tiziano

    ottimo davvero chiaro e coinciso

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  11. Giancarlo

    OTTIMO!

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  12. Riccardo

    god save steve round! 🙂

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  13. Michelle

    Queste sono le migliori spiegazioni di economia politica reperibili su Internet.

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  14. Manolo

    Una lezione davvero molto chiara e senza lungaggini inutili che nn permettono di capire. Ottimo.

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