Immigrazione: motivazione intrinseca ed estrinseca tra psicologia ed economia
Possibili ulteriori variabili nel processo di integrazione della popolazione immigrata

da | 29 Mag 2010 | Economia politica, Società | 0 commenti

Un tema centrale dell’economia è che gli individui rispondono ad incentivi che ne promuovono l’impegno e la performance.

Il paradigma del “principale-agente” si concentra sugli incentivi necessari affinché l’agente sia disposto ad offrire l’ammontare e l’intensità di lavoro desiderati dal “principale”.

I teorici dell’agenzia tendono quindi a concentrarsi sulla motivazione estrinseca e ad ignorare la motivazione intrinseca a lavorare, ipotizzando come l’effetto di quest’ultima conduca solamente ad uno spostamento esogeno della curva di offerta di lavoro.

In psicologia, l’effetto di incentivi esterni sulla motivazione degli individui è invece maggiormente controverso.

Molti autori hanno suggerito come premi e punizioni possono essere invero controproducenti nella misura in cui possono deprimere la motivazione intrinseca degli individui.

Recenti sviluppi nella letteratura economica (Bénabou e Tirole, 2003; Frey, 1997; Kreps, 1997) sembrano avvalorare questa tesi.

Questi lavori si sono soffermati in particolare sullo studio delle condizioni caratterizzanti i rapporti interpersonali (ad es. il grado di informazione, o il profilo qualitativo degli agenti etc.) che contribuiscono a determinare il successo nell’utilizzo di forme di incentivo all’interno di rapporti di tipo principale-agente.

L’idea di base è quindi, ancora una volta, che le regolazioni di natura esterna non sono sempre efficaci nel migliorare le performance degli agenti: affinché lo siano dovranno essere inserite all’interno di un contesto adeguato.

Quello che veramente conta è per Frey (1997), “la sistematica relazione tra incentivi lavorativi intrinseci ed estrinseci, in quanto l’utilizzo di incentivi estrinseci può spiazzare (crowd out) la motivazione intrinseca connessa al lavorare in determinate condizioni.”

Il concetto di motivazione intrinseca esprime il desiderio di intraprendere un’attività per la soddisfazione ad essa inerente, anziché per una conseguenza separata (Deci e Ryan, 2000a).

Una persona intrinsecamente motivata si attiverà dunque verso quelle azioni che stimolano in lui interesse, challenge, piacere e che non lo assoggettano a pressioni esterne; la motivazione intrinseca è dunque auto-determinata.

Diversamente, le attività estrinsecamente motivate verranno intraprese perché strumentali all’ottenimento di una ricompensa sotto forma di premio, lode, riconoscimento ma anche approvazione di se stessi.

La Self-Determination Theory (SDT) presentata da Deci e Ryan (1985) costituisce un’influente teoria psicologica sulla motivazione intrinseca. La Cognitive Evaluation Theory (CET) presentata dagli stessi autori ne costituisce invece una sottoteoria, che ha l’obiettivo di specificare i fattori che determinano la variabilità della motivazione intrinseca.

La CET si basa sull’idea che quando, guardano ad un progetto, gli individui lo valutano in termini della misura in cui questo soddisfa i loro bisogni innati di sentirsi competenti ed in controllo.

Se gli individui pensano di essere in grado di completare il progetto, essi sono di conseguenza intrinsecamente motivati a completarlo, senza perciò aver bisogno di nessuna forma di incentivo esterno aggiuntivo.   L’assunzione base della teoria è dunque che esistano dei bisogni innati di autonomia e di competenza che determinano il modo in cui gli individui reagiscono agli incentivi esterni.

La nozione di “nesso causale percepito” (perceived locus of causality) è, a tal fine, particolarmente rilevante perché è ciò che costituisce il legame tra la motivazione e l’azione.

Fattori esterni, sotto forma di compensi tangibili, scadenze, o sorveglianza, tendono a far diminuire la sensazione di autonomia e di competenza degli individui perché comportano un cambiamento della percezione del nesso causale che li conduce all’azione.

Inizialmente, l’individuo percepisce l’azione come legata causalmente ad un desiderio interno.

In un secondo tempo, però, l’introduzione di motivatori estrinseci fa sì che tale nesso causale venga meno.

Ora, infatti, la spinta viene percepita come esterna, e ciò va a minare la motivazione intrinseca dell’agente, connessa all’intraprendere quella determinata azione.

Affinché il livello di motivazione intrinseca delle persone sia mantenuto, o eventualmente accentuato, le persone non dovranno semplicemente sentirsi competenti; dovranno ulteriormente percepire il proprio comportamento come auto-determinato (Deci e Ryan, 2000b).

Comunicazioni, feedback, e controprestazioni per essere efficaci dovranno perciò essere accompagnate da un corrispondente senso di autonomia percepita.

La Self Determination Theory (SDT) va oltre ad analizzare le condizioni del contesto ambientale che contribuiscono ad influenzare i bisogni psicologici innati degli individui. Deci e Ryan (2000b) ipotizzano, infatti, l’esistenza di tre bisogni psicologici essenziali: la competenza, l’autonomia e lo stare con gli altri (relatedness).

Rispetto alla CET, la SDT ammorbidisce la distinzione tra motivazione intrinseca e motivazione estrinseca ed è perciò più adatta ad analizzare il rapporto fra incentivi e motivazione.

Questa teoria supera la dicotomia intrinseco-estrinseco: mentre il comportamento intrinsecamente motivato è, per definizione, autonomo, la motivazione estrinseca può variare in termini di autodeterminazione-controllo.

Sottolinea come comportamenti inizialmente estrinsecamente motivati possano diventare autonomi attraverso un processo che definisce di interiorizzazione. Mediante questo processo, cioè, forme di regolazione inizialmente esterne, diventano progressivamente interne in quanto l’individuo tende ad assimilarle e a farle proprie.

La SDT propone quindi, diversamente da altre prospettive, che la motivazione estrinseca possa variare considerevolmente in relazione al suo grado di autonomia relativa (Deci e Ryan, 2000b).

Ad esempio, studenti che si impegnano per ottenere buoni risultati possono farlo sia perché ritengono che ciò sia particolarmente importante per la loro vita futura, sia per soddisfare una richiesta dei genitori.

Entrambi i casi evidenziano comportamenti estrinsecamente motivati e pur tuttavia il grado di autonomia delle due regolazioni è ben diverso.

Nel primo caso i ragazzi fanno una scelta di natura personale, cui attribuiscono particolare importanza, mentre nel secondo caso si adeguano semplicemente ad una regolazione esterna.

La teoria colloca i diversi tipi di motivazione estrinseca lungo un continuum in funzione del crescente grado di autonomia della regolazione, supponendo allo stesso tempo che non tutte le forme di regolazione divengano, con il passare del tempo, interne.

Per esempio, se uno studente vive lo studio come un’imposizione, la regolazione si dice esterna.

Viceversa, se l’impegno nello studio è sentito come un dovere morale, la regolazione è detta introiettata.

Invece, l’impegno finalizzato all’ottenimento di un obiettivo ritenuto importante, ed in quanto strumentale valorizzato dall’individuo, evidenzia una regolazione di tipo identificato.

Infine la forma più autonoma di motivazione estrinseca è la regolazione di tipo integrato.

Tali sono, infatti, le regolazioni che vengono accettate ed assimilate dalle persone come bisogni e valori del sé.

Queste azioni si distinguono da quelle intrinsecamente motivate solo in quanto sono ancora intraprese al fine di ottenere un risultato separato, diverso dal mero piacere di intraprenderle.

Comportamenti estrinsecamente motivati saranno perciò maggiormente efficienti al crescere del grado di interiorizzazione delle regolazioni esterne da parte dell’individuo. In questo senso la presenza di un feedback cognitivo fa sì che il controllo attraverso una regolazione esterna, e non solo attraverso l’influenza esterna di un principale, possa risultare efficace.

Diversi autori (Hernandez e Iyengar, 2001;  Iyengar e Lepper, 1999) hanno tuttavia ipotizzato che tale costruzione teorica possa non essere adatta a descrivere le dinamiche motivazionali di gruppi etnicamente diversi.

Mentre le tradizionali teorie sulla motivazione umana ipotizzano la centralità dell’agire individuale e dell’autodeterminazione come le forze motivanti sottostanti tutti i comportamenti umani, recenti sviluppi della ricerca (Markus e Kitayama, 1991) suggeriscono, invece, che le assunzioni fondamentali, inerenti la motivazione umana, potrebbero non essere così rilevanti tra membri di culture maggiormente interdipendenti.

Markus e Kitayama (1991) hanno individuato due dimensioni che possono essere utilizzate per caratterizzare le differenze tra culture: l’indipendenza e l’interdipendenza.

Entrambi questi concetti attengono al modo nel quale una persona percepisce se stessa. Secondo questi autori, Europei ed Americani Caucasici (più genericamente identificati con i membri di culture occidentali) possono definirsi, infatti, indipendenti in quanto tendono ad enfatizzare il ruolo dell’individuo.

D’altro canto, suggeriscono invece che persone provenienti da culture Asiatiche (orientali) siano definibili come interdipendenti in quanto provenienti da culture che tendono ad enfatizzare l’importanza del gruppo su quella dell’individuo.

Questa visione interdipendente è esemplificata dalla cultura giapponese e da altre culture asiatiche, ma è anche caratteristica di culture africane, sud americane e di molti paesi dell’Europa meridionale.

L’ipotesi formulata da Markus e Kitayama (1991) sostiene che la prevalenza, all’interno di una cultura, del desiderio di indipendenza o alternativamente di interdipendenza, influenzi la cognizione, l’emozione e la motivazione dei suoi appartenenti.

Anche se la possibilità di fare delle scelte è comune a società e culture diverse, l’intraprendere delle scelte può comportare funzioni e conseguenze psicologiche ed interpersonali molto diverse in base a come queste sono socialmente percepite e personalmente vissute.

Le modalità mediante le quali gli individui arrivano a formulare le proprie scelte sono sostanzialmente due.

Da un lato gli individui possono fare scelte sulla base delle proprie preferenze personali. D’altro, possono invece fare scelte adeguandosi ai desideri, alle aspettative ed ai bisogni di qualcun altro nella relazione (Kitayama e Uchida, 2004).

Risultati empirici indicano che persone Asiatiche possano essere motivate a lavorare duramente su un progetto, quando questo è stato scelto da un altro ritenuto “rilevante”.

In un recente esperimento (Iyengar e Lepper, 1999) si è visto che togliere la possibilità di scelta ad individui appartenenti a questi due gruppi culturali produce reazioni differenti.

In particolare, è emerso come tale privazione abbia avuto effetti negativi sulla motivazione intrinseca di ragazzi Europei o Americani, e ciò indipendentemente dall’identità dell’usurpatore portatore di tale limitazione.

Diversamente, l’effetto sulla motivazione intrinseca di ragazzi Asiatici Americani si è visto dipendere dalla circostanza che questi percepissero l’usurpatore come un agente benevolo (per loro rilevante) ovvero come un outsider.

Nel caso specifico i ragazzi hanno dimostrato di essere motivati qualora la scelta venisse effettuata dalla madre.

Questo ed altri risultati suggeriscono che la motivazione degli individui d’origine orientale verso l’ottenimento possa essere socialmente orientata, ovvero che vi sia il desiderio da parte di questi di riuscire in ciò che altre persone per loro “significative” si aspettano che riescano (Kitayama e Uchida, 2004).

Come si è visto, la cultura occidentale e la teoria psicologica formulata sulle basi di  quest’ultima, sono solite identificare i comportamenti intrapresi per venire incontro a richieste di terzi come estrinsecamente motivati.

Tuttavia, membri di culture maggiormente interdipendenti potrebbero trovare più naturale e motivante l’adeguarsi a desideri di altri (Hernandez e Iyengar, 2001).

Hernandez e Iyengar (2001) ipotizzano che persone provenienti da culture che danno importanza all’indipendenza saranno maggiormente orientate ad agire personalmente, laddove persone che provengono da culture che pongono l’accento sull’interdipendenza saranno maggiormente portate ad agire collettivamente.

Ciò, sostengono, comporta inevitabilmente la nascita di differenze culturali contrastanti con riguardo a cognizione e motivazione umana.

Come suggerito da Deci e Ryan (2000a), la ricerca delle condizioni che promuovono o indeboliscono le potenzialità umane ha importanza teorica, ma anche pratica.

Può, cioè, contribuire alla conoscenza formale delle cause dei comportamenti umani ma anche a disegnare un contesto sociale che ottimizzi lo sviluppo, la performance e lo stare bene delle persone.

I contesti sociali catalizzano differenze motivazionali e nella crescita delle persone, con il risultato che in alcune situazioni, domini o culture si avranno persone più auto motivate, energiche, ed integrate che in altre.

Così formulata, la teoria comporta dunque, in linea di principio, che l’agire personale sia assente tra i membri di culture maggiormente interdipendenti, e che invece l’agire in modo collettivo comporti solamente conseguenze negative tra i membri di culture maggiormente indipendenti.

Sebbene la ricerca non si sia ancora soffermata sugli effetti motivazionali dell’inserimento di individui in contesti culturali differenti da quelli di origine, studi preliminari suggeriscono la possibilità che l’esposizione a culture ideologiche opposte possa influenzare la cognizione umana.

Esaminare la relazione tra gli orientamenti motivazionali e gli orientamenti culturali interdipendenti/indipendenti di persone immigrate all’interno di società culturalmente distanti dalla propria, può perciò essere utile al fine di investigare perché persone di culture diverse si comportano e hanno successo in maniera diversa.

Coerentemente con l’ipotesi che coloro che si sforzano di agire collettivamente saranno più motivati da contesti che consentono di far parte e di soddisfare i doveri e obbligazioni sociali, è ipotizzabile che i membri di nuclei familiari emigrati da paesi culturalmente distanti da quelli occidentali rispondano diversamente dai loro coetanei, se sottoposti ad incentivi di natura esterna.

Sulla scia di quanto proposto da Hernandez e Iyengar (2001) è possibile ipotizzare quindi che immigrati provenienti da paesi che abbiamo definito culturalmente “orientali”, ma che possono comprendere anche quei paesi che hanno vissuto fasi collettivistiche, pongano particolare importanza nel coordinare i propri comportamenti individuali con quelli del nucleo familiare e del gruppo etnico di riferimento.

Analogamente a Borjas (1992), che aveva introdotto il ruolo del capitale etnico quale esternalità del processo di accumulazione del capitale umano, è possibile ipotizzare che le diversità culturali legate al gruppo etnico di appartenenza possano contribuire a determinare la velocità del processo di assimilazione delle generazioni di immigrati, attraverso l’influenza esercitata sulle dinamiche motivazionali degli individui.

Modellare l’operato del policy maker tenendo conto di queste differenze può contribuire a facilitare il processo di integrazione economico-culturale delle seconde generazioni immigrate.

 

Bibliografia

Bènabou, R., and Tirole, J. (2003) “Intrinsic and Extrinsic Motivation,” Review of Economic Studies, 70: 489-520.

Borjas, G.J. (1992), “Ethnic Capital and Intergenerational Mobility”, Quarterly Journal of Economic, 107: 123-150.

Deci, E. and Ryan, R.M. (1985), “Intrinsic Motivation and Self Determination in Human Behavior”. Plenum, New York.

Deci, E. and Ryan, R.M. (2000a), “Intrinsic and Extrinsic Motivation: Classic Definitions and New Directions,” Contemporary Educational Psychology, 25: 54-67.

Deci, E. and Ryan, R.M. (2000b), “Self-Determination Theory and the Facilitation of Intrinsic Motivation, Social Development, and Well-Being,” American Psychologist, 55: 68-78.

Frey, B. (1997) “On the Relationship Between Intrinsic and Extrinsic Work Motivation,” International Journal of Industrial Organization, 15: 427-439.

Iyengar, S. and Hernandez M. (2001), “What Drives Whom? A Cultural Perspective on Human Agency,” Social Cognition. 19: 269-294.

Iyengar, S. and Lepper, M. (1999), “Rethinking the Value of Choice: A Cultural Perspective on Intrinsic Motivation,” Journal of Personality and Social Psychology, 76: 349-366.

Kitayama, S. e Uchida Y. (2004), “Interdependent Agency: An Alternative for Action,” in Cultural and Social Behavior di R. Sorrentino, The Ontario Simposium, Vol. 10. pp: 137-164.

Kreps, D. (1997), “Intrinsic Motivation and Extrinsic Incentives,” American Economic Review, 87 (2): 359-364.

Markus, H.R., and Kitayama, S. (1991). Culture and the self: Implications for cognition, emotion, and motivation. Psychological Review, 98, 224-253.

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