Introduzione storica
Per comprendere la teoria economica di Keynes, che è stata per molti anni l’unica verità in campo economico, dobbiamo riferirla al momento storico (gli anni ’30) in cui è nata.
Prima di allora la visione economia dominante era quella classica. Essa era imperniata su questi punti fondamentali:
• Il mercato lasciato a se stesso raggiunge da solo l’equilibrio, grazie all’operare delle forze economiche della domanda e offerta, e quest’equilibrio è sempre di pieno impiego (si parlava addirittura, come diceva Adam Smith, di una “mano invisibile” che indirizza il mercato verso la piena occupazione).
• Le forze di mercato, libere di agire senza ostacoli, realizzano sempre l’efficiente allocazione delle risorse.
• Lo Stato non deve mai intervenire nel mercato con manovre di politica economica (PE), perché queste costituiscono un ostacolo alla libertà d’azione delle forze di mercato e, quindi, non permettono il raggiungimento della piena occupazione e dell’efficienza produttiva.
Questa visione (direi quasi “filosofia”) dell’economia fu messa fortemente in discussione in seguito alla grave crisi del ’29. In quei terribili anni gli economisti si resero conto dell’impossibilità da parte del mercato di raggiungere da solo il pieno impiego. Infatti, la profonda crisi nei consumi, che caratterizzò quel periodo, portò alla fame una gran parte della popolazione e questo succedeva perché la produzione era ben lontana dal pieno impiego.
E’ in questa situazione economica che nasce (nel 1936) la teoria economica di J.M. Keynes, destinata a durare (sia pur con varie rielaborazioni, da parte dei cosiddetti post-keynesiani) fino agli anni ’70. I punti nevralgici delle osservazioni di Keynes erano i seguenti:
• La profonda crisi economica del ’29 era dovuta ad un’insufficienza di domanda, da parte dei consumatori, per i beni di consumo, e da parte delle imprese, per i beni di investimento. Era, secondo Keynes, il basso livello della spesa per i consumi e per gli investimenti (da parte delle imprese) ad aver causato la crisi e l’allontanamento del sistema dalla piena occupazione.
• Era evidente la necessità di un intervento statale per uscire dalla crisi e per evitarla in futuro. Una manovra pubblica di PE che rialimentasse la domanda di consumo, sia quella dei consumatori, sia quella delle imprese (per i beni d’investimento).
• Questa PE poteva realizzarsi sia in termini di PM (pol. Monetaria), che in termini di PF (pol. Fiscale). Secondo Keynes la manovra migliore è quella di PF e in particolare la sua attenzione si concentrava sulla politica di spesa pubblica (cioè l’aumento delle spese dello Stato nel sistema economico, per la costruzione di opere pubbliche, per offrire ai cittadini maggiori servizi d’istruzione, di difesa, di assistenza sanitaria, ecc.).
• L’aumento della spesa pubblica in economia era per Keynes la manovra di PE più efficiente, per il ritorno alla piena occupazione, perché la spesa pubblica costituisce essa stessa una domanda di consumo (proveniente dall’apparato pubblico, e non dai cittadini o dalle imprese).
• Attraverso la spesa pubblica in economia, lo Stato può aumentare la domanda (aggregata) di beni e la conseguente ripresa dei consumi porta il sistema verso il pieno impiego e lontano dalla crisi da insufficienza di domanda.
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