Contrattazione collettiva e fonti del diritto del lavoro
Indice
Le fonti del diritto del lavoro sono, in ordine di rango decrescente:
- Costituzione italiana
- Statuto del lavoratore (legge n. 300/70) ed altra legislazione speciale sul lavoro (nazionale e regionale)
- Contrattazione Collettiva, ed in particolare, in tale ambito, i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL)
- Altre disposizioni (regolamenti, circolari, interpretazioni, usi, ecc…)
La contrattazione collettiva è la forma normativa più importante nell’ambito del diritto del lavoro, perché attraverso di essa sono disciplinati tutti i principali aspetti del rapporto di lavoro.
La contrattazione collettiva è definibile come quella specifica trattativa tra i sindacati dei lavoratori e le confederazioni dei datori di lavoro, mediante la quale vengono costituiti degli accordi (dei quali i più importanti sono i CCNL) con cui sono regolati i principali diritti ed obblighi di entrambe le parti: regole fondamentali che sono poi riprese – a volte attraverso un semplice rinvio – nel contratto individuale firmato dall’azienda con il singolo lavoratore.
In queste trattative (cioè nella contrattazione collettiva) spesso interviene il Governo (il Ministro del Lavoro) in veste di mediatore.
In particolare la contrattazione collettiva prevede 3 diversi livelli:
a) contrattazione interconfederale
b) contrattazione collettiva nazionale (o di primo livello), che dà luogo ai CCNL (Contratti Collettivi Nazionali di lavoro) ed è sicuramente la più frequente e rilevante per i nascenti diritti ed obblighi di lavoratori e datori di lavoro
c) contrattazione articolata (aziendale o di gruppo interregionale), detta di secondo livello
La contrattazione interconfederale ha assunto dagli anni ’70 una sostanziale valenza politica, in quanto essa verte sulle questioni fondamentali dell’intera materia del lavoro:
a) struttura base del salario
b) assegni familiari (o meglio per il nucleo familiare)
c) riforme strutturali
d) piani occupazionali
e) politiche del lavoro
f) principali norme fiscali e previdenziali
g) ecc…
Lo strumento più importante della contrattazione collettiva è senz’altro quello che porta alla stipula dei CCNL, uno per ciascun settore economico.
Si dice giustamente che il CCNL ha il corpo del contratto, ma l’anima della legge, perché esso è di fatto efficace erga omnes, ovvero per tutti i lavoratori e datori di lavoro appartenenti al settore regolamentato dal contratto, anche se non iscritti ai sindacati (o alle associazioni di categoria per i datori di lavoro) che lo hanno materialmente concluso.
Tutti sono quindi obbligati a rispettare le prescrizioni contenute nel CCNL, anche se non c’è un obbligo giuridico in tal senso: formalmente i CCNL non dovrebbero essere “normativi”.
Nonostante ciò, tutti i contratti individuali fanno ad essi riferimento, sia per le disposizioni non economiche, sia per quelle prettamente economiche, cioè per le tabelle retributive, le quali fissano i minimi salariali che i datori di lavoro non possono derogare se non in meglio, cioè a maggior favore dei lavoratori.
Non c’è pertanto un “appiglio” giuridico all’obbligatorietà (cogenza) dei CCNL anche ai non iscritti e questo perché l’applicazione dell’art. 39 della Costituzione, che tale cogenza avrebbe dovuto instaurare, è stata perennemente ostacolata dai sindacati, che hanno sempre storicamente visto nella registrazione del sindacato stesso (quale associazione riconosciuta) – adempimento propedeutico all’estensione dell’obbligatorietà del CCNL ai non iscritti – , un’indebita forma di controllo sul loro operato da parte dello Stato.
Di conseguenza l’estensione obbligatoria dell’efficacia del CCNL anche ai non iscritti è stata nel nostro Paese attuata di fatto dalla giurisprudenza, la quale, con interpretazioni molto larghe, ha ormai reso cogente il contenuto dei CCNL a tutti i lavoratori della categoria cui questi si riferiscono.
I CCNL contengono in genere 2 parti:
a) la parte normativa, con le tabelle retributive e le regole fondamentali del rapporto di lavoro (orario, permessi, straordinario, ferie, ecc…)
b) la parte obbligatoria, con le regole che andranno a disciplinare i futuri rapporti tra le controparti (collettive) del contratto, cioè i sindacati e le associazioni di imprenditori firmatarie dello stesso
La prima parte ha quindi la finalità di determinare il contenuto essenziale dei contratti individuali di categoria (ovvero del settore economico d’appartenenza), mentre la seconda ha lo scopo di regolamentare i rapporti (le relazioni industriali) tra le due parti collettive.
Il CCNL dura generalmente 4 anni per la parte normativa e 2 anni per quella retributiva.
La dinamica salariale prevista nelle tabelle retributive deve tener conto dell’inflazione programmata, così da cercare d’impedire la perdita del potere d’acquisto del salario dei lavoratori.
Quindi, nel rinnovo biennale delle retribuzioni si cerca di incorporare nei nuovi importi salariali il confronto tra l’inflazione programmata e quella effettiva del periodo considerato.
Detto in termini economici, se il salario reale è S/P, dove S è il salario monetario e P è il livello generale dei prezzi soggetto a crescita per il fenomeno dell’inflazione, ogni aumento (per inflazione) di P provoca una diminuzione del potere d’acquisto dei salari (in quanto l’aumento del denominatore fa diminuire il valore della frazione, cioè il salario reale). La conseguenza è che con lo stesso salario monetario mensile si possono comprare meno beni sul mercato.
Tenendo conto dell’inflazione programmata si cerca quindi di far crescere S in proporzione di P, in modo da mantenere inalterato il rapporto che rappresenta il salario reale dei lavoratori.
Si tratta di una soluzione di compromesso, utilizzata da quando è cessata storicamente la scala mobile, cioè il meccanismo che agganciava automaticamente il salario all’inflazione rilevata.
La scala mobile è stata disapplicata quando si capì che provocava essa stessa inflazione, perché l’aumento automatico dei salari si rifletteva sui costi delle imprese, le quali erano pertanto costrette ad aumentare i prezzi per mantenere i precedenti margini di profitto, dando luogo così ad un tortuoso (e pericoloso) circolo vizioso.
Si procede al rinnovo del CCNL in scadenza mediante la presentazione, da parte sindacale, di una piattaforma contrattuale, anche chiamata piattaforma rivendicativa.
Con la contrattazione articolata o aziendale, si giunge all’ultimo anello della contrattazione collettiva.
Molti CCNL infatti rinviano alla contrattazione cosiddetta di secondo livello, aziendale, la disciplina di alcuni particolari aspetti del rapporto di lavoro.
La contrattazione aziendale (oppure territoriale, che include più imprese del gruppo o settore) nasce dall’esigenza di legare alcuni parametri contrattuali a realtà locali, che la contrattazione nazionale (quella del CCNL) non può considerare con precisione e nella sua concretezza, dovendosi necessariamente limitare a regolare le diverse questioni in via molto generale, senza poter entrare nel dettaglio.
Pertanto gli aspetti maggiormente lasciati alla contrattazione articolata sono:
a) erogazione del premio di risultato, per collegare parte del salario alla produttività aziendale
b) concessione dei ticket o buoni pasto
c) permessi ulteriori rispetto a quelli stabiliti dalla contrattazione nazionale (CCNL)
d) cottimo
e) superminimi
f) indennità varie
g) rispetto dell’ambiente di lavoro
h) sistemi di inquadramento
i) trasformazioni aziendali (fusioni, ristrutturazioni, ecc…)
j) ecc…
Da citare infine, a questo proposito, il protocollo del 23 luglio 1993, che costituisce una pietra miliare nell’ambito del sistema contrattuale, strutturato dal protocollo appunto su 2 livelli: nazionale e aziendale (o territoriale).
Ciò ha formalizzato l’uso della contrattazione locale per la disciplina di alcuni specifici aspetti del rapporto di lavoro.
buona sera,volevo porre una domanda,i giorni di riposo vengono calcolati come ferie durante il periodo delle stesse?