La natura della filosofia, in una determinata epoca, è stata molte volte condizionata dall’oggetto supremo della speculazione. Ciò può sembrare ovvio, ma non bisogna affatto trascurare un dettaglio che dettaglio non è, ovvero, sfrattare la scolastica dall’alveo delle stagioni filosofiche più interessanti, può essere un grave errore.
Della filosofia e dei suoi innumerevoli oggetti di ragionamento, il metodo dovrebbe armonizzare l’analisi ed il giudizio sempre sulla forma complessiva del metodo stesso di analisi e se questo abbia seguito la via, oramai strutturata nella nostra cultura, dell’analisi logica. Non nel senso prettamente linguistico, ma certamente come rigore, come principio comune. Blande le citazioni, ma come non ricordare l’espressione più saggia di tutte, che non entri chi non è matematico. Ma non si tratta di ovvietà, lo ripeto, la condivisione che è fine ultimo di ogni speculazione, di ogni contesto, regge sulla logicità, almeno nel nostro mondo. Gli esperimenti illogici, conservano una verità che è non facilmente esportabile, la mistica o la mera speculazione metafisica, sono condizioni di pensiero, valide, certo, ma non filosofiche, almeno non più.
Non sono filosofiche perché negano l’eguaglianza del pensiero e rendono la soggettività e le sue pulsioni l’unico metro di giudizio. La filosofia, la logica, il pensiero, i principi invece, aprono all’universalità e nel loro operare scientifico si preoccupano sempre e comunque di stabilire una catena di riflessioni esplicabile, esplicita.
La scolastica fu filosofia, piena. Lo fu anche nella fase tomistica, quando Aristotele ed il suo pensiero furono ripresi e riconsiderati, lo fu soprattutto nella fase finale, quando al fine ultimo dell’intera cultura medievale, sopravvenne il metodo del rigore occamistico. Il fine ultimo, per correttezza lo ricordo, era quello di portare l’uomo alla comprensione della verità rivelata, di Dio, quindi.
Ma, qui è il punto, il metodo per raggiungere Dio, sia nella Patristica, nell’introspezione agostiniana e nella scolastica era la filosofia, la ragione, la scienza. Insomma non vi era dicotomia. Si considerava la scienza come mezzo per rendere possibile a tutti la conoscenza di Dio, la riflessione anche se vincolata ad una verità rivelata ed incastrata nella tradizione religiosa doveva essere razionale, non mistica. Questo ovviamente non era il pensiero unico. Gli esperimenti della mistica, piuttosto affascinanti, furono molti e ricordandone alcuni suoi protagonisti, non possiamo che rimanere estasiati di fronte alla retorica, ai sermoni, Eckhart, Bernardo di Chiaravalle.
Poi, ci furono le dispute, quella famosa, intorno agli universali ad esempio, ha una profondità di analisi tale che tutt’ora la sua forza e la sua sottigliezza sono riconosciute e buona parte della filosofia contemporanea è tornata sul problema della natura della conoscenza e pensate che parte della stessa intuizione fenomenologica è costruita sull’atteggiamento speculativo che si sviluppò in quell’epoca, definita troppe volte, oscura. Pensate alla prova Ontologica di Dio, per molti secoli si è ripresentata ed ha trovato argomenti, disputatio, critiche. No, non è stata affatto un’epoca di chiusura, di morboso spiritualismo, di chierici e dotti magister, è stata una lunga stagione che di certo si è conclusa ma che comunque ha costruito in sé i germogli dell’epoca moderna, ovvero, la fine della metafisica. Perché le conclusioni di Ockham, circa l’atteggiamento da tenere nei confronti dei pensieri astratti e metafisici, altro non sono che le nostre.
Conclusa la breve lectio, intorno alla difesa di una lunghissima stagione di pensiero, voglio ora presentare brevemente, qui, il pensiero di uno dei più interessanti pensatori della scolastica, almeno nella sua fase finale, questi è Giovanni Duns Scoto, il Doctor Subtilis.
Breve Biografia
Duns Scoto nacque intorno al 1265 a Mauxton(Littledean) in Scozia. Frequentò le Università di Oxford e Parigi, dove poi divenne in entrambe maestro di teologia. Viene considerato Filosofo e Teologo ed è Beato. Si trasferì per motivi politici a Colonia, dove morì prematuramente nel 1308, a soli circa quarant’anni.
Tra le sue opere si ricordano: Il primo principio; Questioni di metafisica, Opera di Oxford; Appunti delle Lezioni Parigine. Queste sono quello che gli si possono attribuire con maggiore certezza.
Il periodo storico è quello della stagione della grande crisi del trecento, quello teologico invece è la frattura in seno alla Chiesa tra filosofia di forma e contenuto neo-platonico e il tomismo domenicano.
Il pensiero
Perché Duns Scoto? Perché tanto interesse?
Vedete la filosofia è un po’ stanca. Lo sento e lo percepisco, forse mi sbaglio, ma non credo che se la passi bene. Il secolo scorso si è trascinato a lungo sul filo labile dell’esistenzialismo e molte esperienze filosofiche interessanti si sono arenate e sono state abbandonate. Non ci sono responsabilità, a volte le stagioni non portano i loro colori, ma se anche un filosofo volesse smentirmi, io che filosofo non sono, risponderei semplicemente, non ce la fa. La filosofia non può continuare a camminare senza più l’ossatura che l’ha resa affascinante e sempre molto convincente nella sua inesauribilità. Oggi la filosofia è storpia. Gli manca molto della sua essenza e questa non è la metafisica in sé, o l’ontologia classica, ma è la riflessione logica, razionale sull’essere a prescindere dall’esistenza. Tutto qui. Non vado oltre. Parlerò con il pensiero di Scoto, cercando di non travisarlo eccessivamente.
Innanzitutto con Scoto, abbiamo la prima vera riflessione filosofica che si struttura su una considerazione iniziale non affatto indifferente.
Scienza e Fede sono inconciliabili. Per la prima volta, infatti, si abbandona la linea guida di usare la ragione per spiegare la verità rivelata. La formula cambia, i risultati sono di certo notevoli. Separare la verità rivelata dalla capacità della ragione è igiene metodologica, infatti, per Scoto, la verità della fede ci è stata rivelata per la semplice ragione che la mente umana non può tendervi, non ne ha le capacità. L’uomo non può sapere perché esiste. Non può farlo, perché è impossibile indagare su nature libere e indeterminate, Dio, mosso dal suo libero arbitrio ci ha creati; come si può perciò attraverso la ragione determinare le cause di una scelta libera. Il libero arbitrio divino rende impossibile perciò dimostrare, diviene così un limite invalicabile per la ragione. Non certo per la fede, che ha ricevuto la rivelazione, cui si può o non, credere.
L’igiene metodologica consiste non in agnosticismi vari, ma in un prototipo di principio del limite. Ovvero, la mente per seguire un criterio corretto di ragionamento deve liberarsi delle cose indimostrabili, beh altro non è che il principio guida della stagione moderna. Le verità di fede, quindi, non hanno nulla a che fare con la scienza e sono certezze solo per i credenti. Ma vi sono altre verità che invece hanno natura teoretica, dimostrabile; condivisibili perciò tra gli uomini e sono le verità metafisiche.
La teologia quindi è un percorso educativo, pratico, che non ha finalità conoscitive, ma semplicemente è mossa dalla volontà morale di determinare le azioni degli uomini, affinché siano più corrette possibili. Badate bene, i limiti che prima dicevo, non sono una resa per Duns Scoto, sono anzi un modo per ridefinire veramente i confini della filosofia, infatti, dopo di lui, la scolastica si vedrà lentamente declinare oramai svuotata di ogni sua corposa ragione.
La metafisica è scienza nel senso più alto, “sono per eccellenza oggetto di scienza o le cose che si conoscono prima di tutte le altre e senza le quali le altre non possono essere conosciute, o quelle, che si conoscono con la massima certezza. L’oggetto della metafisica possiede al massimo grado questo duplice carattere”.
Risulta bene definito in queste parole che la scienza non può che occuparsi di cose evidenti e dimostrabili. Così fa la metafisica per Scoto e il suo essere pensiero teoretico.
Le forme di conoscenza e la dottrina della sostanza
La metafisica, secondo Scoto, si fonda su una forma di conoscenza di tipo intuitiva. Per essere più precisi, il filosofo risolse il problema gnoseologico, dividendo le capacità di conoscenza in due diverse tipologie: la conoscenza intuitiva e quella astrattiva
Riaffronta il problema gnoseologico, sia per trovare una sintesi tra nominalismo e realismo, sia per fondare una nuova metafisica. Per quanto riguarda il problema degli universali, Scoto suggerisce una sua interpretazione interessante, ovvero quella secondo cui oggetto primo dell’intelletto è l’idea, l’ente, nella sua astrattezza; solo successivamente si rende possibile l’intelligibilità ovvero la riflessione sul reale e sui modi di essere. La scienza di conseguenza non può che nascere nell’intellegibile, come ho già detto, la metafisica nasce in modo intuitivo, direi quasi empirico. Chiarisco subito che metafisica diviene filosofia prima, ovvero va interpretata come condizione prima della scienza, ovvero della conoscenza. Nell’intelletto dimora la conoscenza astratta, univoca, in cui le modalità sono indeterminate, nella realtà invece sono manifeste innumerevoli particolarità, ciò determina un problema di coincidenza per Scoto. Qui la sintesi. L’individualità presente nella realtà deve poter trovare riduzione nell’universalità delle cose astratte, univoche, dell’intelletto, riduzione intesa come fondamento comune.
La sostanza per Scoto, è il fondamento comune. Ma che cos’è la sostanza? Certamente non può essere cosa univoca, né moltitudine, essa è una cosa indefinita e indifferente, da essa si generano le cose e i concetti. Da una sua specificazione, prendono corpo le cose della realtà, questa delimitazione della sostanza venne definita da Scoto come l’haecceitas, da heac, pronome con cui si indica una cosa. Dall’intelletto poi si generano i concetti, in un processo di astrazione della sostanza. Rotta l’armonia tra la fede e la ragione, riconsiderati i limiti della scienza e della teologia, Scoto riflette sulla forma della sostanza e giunge alla conclusione che ad essa si può giungere solo attraverso un processo conoscitivo di tipo intuitivo e che la sostanza rappresenta base comune all’interno di una specie, natura communis, essendo tale rende la conoscenza perfettibile fino alla verità. Appartengono al mondo pratico tutte quelle preposizioni, come ho già detto, che non risultano in alcuni modi dimostrabili. Tra queste rientrano sicuramente tutte quelle inerenti gli attributi di Dio.
La potenza, la sapienza, l’immutabilità, la volontà e così tante altre. Scoto definisce indimostrabile anche la natura immortale dell’anima, e ancora una volta, il criterio logico, di non contraddizione, produce asserzioni difficilmente smentibili. Infatti, definire la natura dell’anima immortale per Scoto significa dire che essa è indistruttibile, ciò significa che non può essere ne creata ne distrutta neppure da Dio. Da un punto di vista etico e teologico Scoto è un innovatore perché nel suo pensiero si rafforza notevolmente l’idea di un’infinita libertà nella volontà di Dio e dell’uomo. Libertà che significa raggiungere la bontà divina con la forza della propria volontà.
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