Nell’attuale contesto sociale, in cui gli individui sono sottoposti a ritmi di vita sempre più incalzanti e difficili da sostenere, riveste un’importanza fondamentale la capacità delle persone di assumere decisioni ed effettuare scelte, anche fondamentali, in situazioni caratterizzate spesso da tempi ristretti e scarsezza d’informazione.
In qualsiasi campo (famiglia, lavoro, scuola, vita sociale e relazionale, ecc…) siamo chiamati ogni giorno a individuare, valutare e selezionare determinate opzioni – a volte non del tutto chiare – ed a scegliere tra di esse l’alternativa ritenuta più ottimale, con ripercussioni a cascata sul nostro futuro e su quello dei nostri cari.
Si tratta di un processo noto con il termine di orientamento, che consiste nel comportamento socio-psicologico messo in atto dal soggetto per affrontare problemi di diversa natura, tra i quali i più importanti sono quelli professionali, scolastici e relativi alla sfera familiare.
Peraltro, nel mondo contemporaneo, ricco di possibilità, minacce ed opportunità, e con la necessità di prendere continuamente rilevanti decisioni, è facile disorientarsi, ovvero perdere la capacità di capire la meta ed agire di conseguenza, entrando inevitabilmente in crisi per le difficoltà di trovare una condotta coerente con l’intricata situazione problematica da risolvere.
C’è chi riesce da solo a superare queste crisi da disorientamento e c’è invece chi ha bisogno di un aiuto esterno.
L’orientamento in senso stretto è l’intervento di operatori specializzati, idoneo a supportare il soggetto nel suo processo di orientamento, in modo da sviluppare nel medesimo competenze tali da consentirgli di orientarsi da solo ed in modo autonomo.
L’orientamento è pertanto un processo costante, posto in atto da figure specifiche, volto a sostenere la maturazione personale e la formazione dell’individuo, affinché egli sappia gestire con responsabilità e consapevolezza le proprie scelte.
L’orientamento ha dunque una finalità formativa, che riguarda tutti gli aspetti dell’individuo per tutto l’arco della sua vita.
Gli interventi esterni, atti ad aiutare i soggetti in difficoltà a decidere e quindi ad orientarsi, possono realizzarsi con varie modalità, che vanno dal semplice aiuto di persone amiche a complesse ricerche sulle cause del problema ad opera di bravi psicoterapeuti.
In questo articolo vogliamo descrivere due di queste modalità di sostegno, ambedue utilizzabili per la risoluzione di problemi contingenti o di problemi più generali attinenti la vita stessa dell’individuo richiedente orientamento:
- il Counseling psicologico
- la Consulenza filosofica
Il Counseling
Il counseling è un’attività di orientamento psicologico, sociale e personale. E’ una forma di relazione d’aiuto finalizzata a facilitare le capacità decisionali rispetto alle scelte da compiere per superare le situazioni di crisi. Esso permette di attivare le risorse cognitive ed emotivo-affettive con le quali l’individuo prima valuta e poi affronta i problemi che incontra sulla sua strada.
E’ quindi un intervento atto a promuovere lo sviluppo personale dell’individuo.
Si tratta in sostanza di un processo di apprendimento fra un counselor ed un paziente, mirante alla risoluzione di una crisi di quest’ultimo, all’adozione di una decisione, oppure a migliorare le sue relazioni sociali, sviluppando nell’individuo maggiore consapevolezza personale.
Si svolge in una situazione di colloquio psicologico, ovvero in un parlare/ascoltare per conoscere e capire, allo scopo di operare cambiamenti.
Il counseling ha l’obiettivo di consapevolizzare il paziente del proprio disagio e fornirgli gli strumenti necessari a potenziare le proprie risorse.
Dura in media 6-8 incontri della durata di 1-2 ore ciascuno, nei quali il counselor lavora sul “qui ed ora”, tratta cioè i problemi del cliente senza analisi introspettive o retrospettive come invece succede in psicoterapia.
In questi incontri l’approccio è non direttivo (secondo il metodo ideato da Rogers), cioè il counselor fornisce un sostegno psicologico al paziente allo scopo di aiutarlo a comprendere la sua situazione ed a fargli assumere in autonomia delle scelte responsabili.
Tale particolare approccio, non direttivo, è nato negli anni ’70, con il passaggio da un’impostazione basata sulla diagnosi delle caratteristiche individuali e la prescrizione di certi percorsi formativi o professionali, a quella attuale in cui il compito del consulente è facilitare nel cliente lo sviluppo delle sue capacità di auto-orientamento.
Il counseling di orientamento è pertanto una metodologia d’intervento che mira ad offrire alla persona la possibilità di esplorare e scoprire i suoi schemi di pensiero, per vivere con maggiore benessere. Sinteticamente la finalità del counseling è quella di “aiutare le persone ad aiutarsi” (Di Fabio).
Infatti, il termine orientamento indica non solo l’intervento di operatori esterni, ma anche l’azione di orientarsi (da solo).
Per far ciò, il soggetto dovrebbe essere consapevole delle proprie:
- attitudini – disposizioni naturali ed ereditarie, valutabili in termini di capacità o potenzialità
- interessi – forze di attrazione della persona verso un oggetto (attività scolastica o lavorativa)
- inclinazioni – disposizioni del soggetto verso un oggetto come espressione dei suoi bisogni
Inoltre, l’individuo deve accedere alle informazioni che riguardano il sé e quindi deve soppesare i significati ed i valori che si è costruito all’interno dei propri gruppi sociali di appartenenza, valutando pure l’ampia rete di condizionamenti, vincoli ed opportunità presenti nel suo ambiente.
Tutto questo lavoro complesso rimanda all’auspicato aumento del livello di consapevolezza del soggetto e prende il nome di autovalutazione critica.
Per un’adeguata autovalutazione la persona deve partire dalla propria identità come punto di riferimento dell’autocontrollo delle proprie azioni.
Soprattutto in adolescenza il soggetto cerca di definire la propria identità, mettendo in discussione le regole apprese in famiglia per sperimentarne di nuove, confrontandosi e scontrandosi con le regole sociali. Sempre in adolescenza il soggetto interiorizza i processi di socializzazione, rispecchiandosi prevalentemente nel gruppo dei pari.
La teoria della social cognition basa la lettura dell’azione su: il contesto o sistema ambiente; la persona con tutti i suoi elementi fisici, cognitivi ed affettivi; il comportamento o la condotta.
In particolare, secondo la teoria social-cognitiva di Bandura, detta del determinismo triadico reciproco, l’azione compiuta è il risultato dell’interazione reciproca di:
- fattori cognitivi, affettivi e biologici
- fattori ambientali
- condotta
Nello specifico la condotta può essere spiegata da 3 elementi che rappresentano attivatori fondamentali dei processi di apprendimento e di orientamento:
- human agency o agentività umana
la caratteristica dell’agentività umana consiste nella facoltà di generare azioni mirate a determinati scopi;
- perceived self-efficacy o auto-efficacia percepita
l’auto-efficacia percepita consiste nella capacità del soggetto di portare a termine un compito ed incide sull’esito del compito stesso. Essa rappresenta la percezione che una persona ha delle proprie competenze ed influenza la scelta dei comportamenti.Inoltre, l’auto-efficacia è un importantissimo fattore d’influenzamento della motivazione. Una bassa auto-efficacia accresce la vulnerabilità e l’ansia soggettiva, mentre un’alta auto-efficacia permette di padroneggiare le abilità e di risolvere meglio i problemi ed in minor tempo (capacità di problem solving).
L’auto-efficacia, anche attraverso l’influenza sull’immagine di sé, incide significativamente sull’autostima dell’individuo. L’autostima rappresenta una combinazione di pensieri e sentimenti che si esprime nel valore positivo o negativo che la persona si attribuisce e che pertanto è in grado d’innescare un circolo virtuoso di valorizzazione di sé o un circolo vizioso di svilimento di sé;
- moral disengagement o disimpegno morale
il disimpegno morale è un meccanismo cognitivo attivato a difesa dell’autostima o come conseguenza della perdita della stessa. Consiste quindi in una tecnica di neutralizzazione che il soggetto attiva per aderire a scelte devianti rispetto al sistema di valori interiorizzati. In altri termini è una tecnica che gli permette di giustificare e rendere accettabile il suo comportamento deviante, riducendo la distanza tra l’azione intrapresa e le norme condivise.Il rapporto tra pensiero e condotta è quindi mediato dall’attività morale ed il giudizio morale implica l’esercizio di autocontrollo ed autoregolazione, ai fini della censura preventiva delle azioni che violano i criteri personali di moralità.
La condotta trasgressiva, frutto delle pressioni sociali a comportarsi in violazione dei propri criteri, evidenzia di conseguenza un basso senso di efficacia autoregolatrice.
Importante per l’orientamento e per la motivazione è anche il processo di attribuzione causale, per gli effetti che produce sulle aspettative future, le quali a loro volta influiscono sulle attribuzioni, creando quindi un circolo virtuoso o vizioso.
Il locus of control (centro di causa) è una modalità di interpretazione soggettiva degli eventi che accadono secondo la polarità interno/esterno ed implica conseguentemente la percezione di una diversa possibilità di controllo degli eventi stessi, perché influenza il grado di responsabilità che il soggetto attribuisce a se stesso o a fattori esterni rispetto ai propri risultati o azioni.
In particolare, un soggetto con un locus of control interno attribuisce a se stesso i suoi successi o fallimenti, traendone la convinzione di avere una grande padronanza delle sue capacita e dei relativi risultati. Viceversa, un soggetto con un centro di causa esterno ha la convinzione che i propri successi o fallimenti dipendono da fattori esterni (fortuna, destino, atteggiamenti degli altri), ricavandone una scarsa possibilità di controllo degli stessi.
La Consulenza filosofica
Recentemente, quale ulteriore modalità di supporto all’orientamento delle persone, si è fatta strada la pratica della consulenza filosofica.
Uno dei suoi pionieri, Lou Marinoff, sostiene che la terapia psicologica (di cui il counseling è una possibile espressione) non sempre è in grado di risolvere il problema per il quale il paziente si è rivolto al terapeuta. Questo perché la psicologia ha la tendenza a ripiegarsi su se stessa, cioè a cercare all’infinito la causa interiore della patologia, magari risalendo all’infanzia del soggetto ed ai suoi presunti traumi giovanili, dimenticandosi così l’aspetto fondamentale del caso clinico: trovare, insieme al paziente, la soluzione del problema.
Secondo Marinoff, inoltre, l’intervento psicoterapeutico presenta due grossi ostacoli:
- ricalca troppo il modello medico, per cui mentre i medici diagnosticano e curano malattie fisiche, psicologi e psichiatri tendono a diagnosticare e curare “malattie mentali”. Sennonché tale ultima espressione tra virgolette non è altro che (anche se pochi lo sanno) una metafora. Questo perlomeno all’origine, adesso si è assistito allo scoppio del “mito delle malattie mentali” e quindi si sente parlare sempre più spesso di problemi mentali, definiti tecnicamente “sindromi”. Sono state osservate, documentate, indagate e comprese migliaia di sindromi, ma diagnosticare una sindrome, per es. la “sindrome della guerra del Golfo”, che senso ha? Quando definizioni autoreferenziali di malattie letteralmente fisiche vengono applicate a malattie mentali metaforiche, se ne ricava un numero elevatissimo di cosiddette “turbe”, senza però nessuna conseguenza in termini di possibili cure del problema. Una vecchia barzelletta psichiatrica rende bene l’idea: se un paziente giunge in orario all’appuntamento riceve la diagnosi di ansia, se giunge in ritardo è affetto da ostilità, mentre se arriva in anticipo la diagnosi è di coattivo. La tendenza a considerare ogni problema personale come una malattia mentale è essa stessa una malattia mentale;
- utilizza frequentemente la logica errata del post hoc ergo propter hoc, la quale per chi non conosce il latino significa che, quando un evento si verifica prima di un altro, il secondo evento è causato dal primo (ne è l’effetto). E’ un’evidente forzatura del pensiero e del ragionamento, ma troppe volte questa regola fuorviante è considerata valida ed usata in terapia.
Marinoff ha il merito di aver riportato la filosofia nella pratica quotidiana, per la soluzione dei problemi della gente, com’era in origine ai tempi dell’antica Grecia, togliendola in parte dagli scaffali polverosi, astratti e sostanzialmente improduttivi degli studi accademici, dove rischia di ammuffire correndo incessantemente dietro a domande che resteranno sempre senza risposta.
La consulenza filosofica può, per Marinoff, venire dopo la terapia psicologica, laddove questa abbia avuto insuccesso nel risolvere il problema del paziente.
Per comprendere bene la differente visione del problema terapeutico che hanno psicologia e consulenza filosofica, può essere utile analizzare i 4 diversi modi di interpretare la depressione.
La depressione dipende da 4 cause:
- c’è qualcosa di malfunzionante nel cervello. Si tratta, in questo caso, di una malattia fisica;
- esiste una condizione cerebrale indotta, ovvero la causa è biologica e non genetica. Può essere conseguenza di una dipendenza fisica o psicologica, come nell’eventualità di abuso di determinate sostanze, tipo l’alcool o le anfetamine;
- si è verificato un trauma infantile o comunque un problema pregresso. È il classico caso freudiano, espressione di una situazione psicologica e non medica;
- è accaduto un evento improvviso (una separazione, un licenziamento, ecc…), che ha rotto la routine quotidiana del paziente provocando ansia. In tale eventualità a causare la depressione non è nulla di fisico o di psicologico.
Nelle prime due cause il paziente depresso ha bisogno di cure mediche e quindi la psichiatria è ottima. Nella terza causa (problemi pregressi) è la psicologia a poter offrire di più, anche se la consulenza filosofica potrebbe dare i suoi frutti, sia in luogo, sia dopo quella psicologica. Ma la quarta causa (eventi improvvisi), la più frequente nella realtà, rappresenta sicuramente il campo d’eccellenza della consulenza filosofica.
L’approccio filosofico di Marinoff consiste in un procedimento, da lui chiamato PEACE, distinto in 5 fasi.
PEACE è un acronimo che individua le 5 fasi di cui è composto:
1) Problema.
2) Emozione.
3) Analisi.
4) Contemplazione.
5) Equilibrio.
La terapia verbale del PEACE filosofico conosce quindi questi passaggi.
Innanzitutto bisogna individuare il problema. Per farlo occorre saper guardare ciò che accade senza formulare giudizi, occorre cioè guardare i “fenomeni”, ovvero gli eventi esterni che esistono indipendentemente dalle proprie credenze o sentimenti.
Poi, bisogna fare l’inventario delle proprie emozioni, perché è importante essere sinceri sulle sensazioni intime che si provano di fronte al problema, in modo da incanalarle costruttivamente. Ogni volta che ci si imbatte in un evento fuori dall’ordinario, per il quale non si dispone di una risposta preconfezionata, si ha una reazione emozionale. E’ necessario riconoscere queste emozioni e sviscerarle, anche se la loro identificazione non ne smorzerà certo l’intensità.
Una volta superate le prime due fasi dell’identificazione del problema e della disamina delle emozioni (che in genere le persone attraversano spontaneamente), arrivano le successive fasi, in cui la presenza di una guida esperta è opportuna.
Nella fase dell’analisi il soggetto elenca e valuta le sue opzioni di soluzione del problema. E’ un momento fondamentale perché da esso dipende il successo della consulenza e lo si può affrontare ricorrendo all’analogia, ovvero cercando soluzioni già sperimentate in circostanze simili precedentemente vissute o comunque conosciute.
Con la contemplazione ci si assicura una prospettiva più ampia, tipicamente filosofica, in cui si debbono integrare tutte le informazioni ottenute nelle prime tre fasi: il problema da superare, la propria reazione emozionale e le opzioni di soluzione considerate. Ciò al fine di raggiungere una visione filosofica unitaria della problematica nel suo complesso. L’obiettivo è quello di adottare una disposizione, un atteggiamento, uno stato d’animo nei confronti della questione, in altri termini un modo filosofico di guardare l’intera situazione in modo d’accettarla, controllarla e procedere oltre.
Con l’ultima fase, quella dell’equilibrio, si comprende esaurientemente l’essenza del problema e si è pronti ad un’azione forte e adeguata per il suo annullamento. In particolare, si utilizza la nuova disposizione filosofica appena trovata per mettere in atto la migliore soluzione possibile. Il problema cessa di essere tale ed il soggetto ritorna alla sua vita, senza più patemi ed ansie.
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