Filosofia contemporanea 2
Indice
L’enorme sviluppo delle tecnologie ed i grandi passi avanti nel campo delle materie scientifiche portano non solo alla caratterizzazione di una società industriale, ma soprattutto ad un’immensa fiducia nelle possibilità del progresso – conseguente appunto alle nuove scoperte scientifiche – di portare ad un benessere sociale ed alla felicità generale degli uomini, grazie al miglioramento delle loro condizioni e della complessiva qualità della vita.
Nasce quindi, ad opera prima di Saint-Simon e poi di Auguste Comte, il termine filosofia positiva, che introduce due elementi di novità, esemplificativi della nuova organizzazione sociale e della crescente industrializzazione del sistema:
- l’atteggiamento di fiducia (positivo) nel futuro e nelle possibilità della scienza di migliorare la vita umana
- la propensione a prendere per buono ciò che poggia su dati certi (in latino positum significa proprio “dato”), che è oggettivamente stabilito, anziché ciò che è desunto da ragionamenti astratti com’è sempre stato nella tradizione filosofica
Questa nuova fonte di sapere, rappresentata esclusivamente dalle scienze naturali, soppianta quindi il vecchio modello filosofico delle speculazioni astratte.
Peraltro il positivismo include ben presto oltre alle scienze naturali, ovvero i risultati del metodo scientifico applicato allo studio della natura, anche le innovative scienze umane (o sociali), nelle quali lo stesso metodo scientifico è applicato all’uomo ed al suo comportamento in seno alla società in cui vive. Pertanto, adesso non solo si prendono per significative materie scientifiche come chimica, fisica, meccanica, medicina e matematica, ma anche psicologia, biologia e sociologia, cioè materie legate all’organismo, all’uomo, visto da solo o nella società in cui agisce. Anzi il baricentro dell’analisi si sposta decisamente verso le scienze sociali, in particolare verso la biologia e la sociologia (termine quest’ultimo coniato dallo stesso Comte), a sottolineare il progressivo cambiamento della società che diventa sempre più complessa e differenziata.
Sono peraltro gli anni in cui Darwin celebra la sua famosa teoria sull’evoluzionismo, secondo la quale esiste negli animali una “selezione naturale” che determina, dopo un lungo processo, la trasformazione delle specie originarie in nuove specie, più adatte all’ambiente circostante.
Il modello evoluzionista di Darwin sarà ovviamente utilizzato dal movimento positivista – tanto di moda nel periodo – per perorare la propria causa, sia pure con qualche aggiustamento forzato.
Il positivismo assurgerà a modalità di vita, a modo di concepire la realtà, travalicando in questo senso il perimetro della filosofia ed abbracciando conseguentemente ambiti molto più estesi di quelli ricompresi in una semplice corrente filosofica.
L’idea di una fiducia incondizionata nella scienza (caratteristica principale del positivismo) troverà comunque applicazione in modo differenziato e disomogeneo. Tant’è che, mentre ad esempio nella Germania dell’epoca questa idea ha una matrice più materialista, in Inghilterra, ove gli effetti della Rivoluzione industriale sono già dispiegati, il positivismo di John Stuart Mill si alimenterà con la nuova cultura dell’utilitarismo liberale.
Dal punto di vista filosofico l’utilitarismo è la corrente di coloro il cui atteggiamento si propone l’obiettivo etico di realizzare, con il proprio comportamento – individuale e sociale –, l’utilità generale, ovvero “la massima felicità per il maggior numero di persone”. Quindi per gli utilitaristi ogni scelta personale e politica deve essere vagliata per verificarne la rispondenza all’utilità, cioè per capire se essa ha la capacità di massimizzare la felicità o il benessere individuale o collettivo.
Pertanto, le decisioni che aumentano la felicità collettiva (benessere sociale) sono un “bene”, quelle che la diminuiscono sono un “male”, e questi concetti sono – secondo i seguaci dell’utilitarismo – quantificabili empiricamente, cioè misurabili.
Il primo filosofo ad elaborare il concetto di utilitarismo è stato l’inglese Bentham. Le sue parole definiscono bene questa nuova corrente filosofica che si integra perfettamente con il dominante positivismo europeo: “Con il principio di utilità si approva o disapprova qualunque azione secondo la tendenza che essa sembra possedere ad aumentare o diminuire la felicità della parte interessata, oppure, il che è lo stesso, a promuovere o ad ostacolare quella felicità”.
Bentham sviluppò, su basi utilitaristiche, una sua personale teoria della felicità e del comportamento umano, chiamata “aritmetica morale” o “calcolo della felicità”. Essa si basava sulla quantificazione matematica dei piaceri e dei dolori derivanti dalle scelte umane o addirittura dalle decisioni politiche del Governo, in cui la somma delle utilità individuali determina l’utilità collettiva. Inoltre piaceri e dolori diventano pene e ricompense se utilizzate dal legislatore, che può, con tali strumenti, agire sugli interessi individuali per trasformarli in utilità collettiva o bene comune.
Successivamente anche Mill fornisce una definizione di utilitarismo: “Quella dottrina che pone l’utilità o il principio della massima felicità a fondamento della morale e che quindi ritiene lecite le azioni in grado di promuovere la felicità, illecite le azioni che tendono all’opposto”.
Non più perciò un’etica filosofica che giudica le azioni umane in base alle ragioni di queste, bensì in base alle loro conseguenze pratiche ed è per tale motivo che l’utilitarismo è classificabile tra le correnti filosofiche cosiddette “conseguenzialiste”, per le quali cioè un’azione è buona o cattiva a seconda dei risultati che produce.
E’ appena il caso di accennare al fatto che l’utilitarismo inglese ha avuto grande seguito in economia politica, laddove ha molto influenzato le analisi economiche finalizzate a valutare la convenienza o meno di scelte produttive e decisioni in genere. Ne sono un esempio: l’analisi costi-benefici, la teoria delle scelte razionali e finanche la teoria dei giochi di John Nash (il matematico di “A beautiful mind”).
L’800 è dunque il “secolo della scienza”, come si evince anche dalle numerosissime pubblicazioni in voga nel periodo. In particolare i progressi nella chimica, nella fisica e nella meccanica, nonché alcune importanti teorie e scoperte come il già citato evoluzionismo di Darwin e la non meno influente geometria non euclidea portano all’abbandono dei secolari modelli scientifici ed alla ricerca di nuovi paradigmi in grado di recepire le nuove istanze scientifiche. Nasce una conoscenza basata interamente sugli studi scientifici e per tale motivo considerata a tutti gli effetti portatrice della verità certa ed assoluta, in quanto i risultati che ne derivano sono frutto di esperimenti scientifici e quindi caratterizzati dal rigore del formalismo matematico. Una conoscenza che si specializza sempre più in settori specifici, altamente tecnici, aumentando così la convinzione che tutto può essere spiegato con la scienza ed il metodo scientifico.
Di fronte a questo mondo nuovo, la filosofia trova spazi sempre più angusti, anche perché il dibattito filosofico si fossilizza tra coloro che negano la circostanza che le scienze abbiano un qualche interesse per la riflessione filosofica, negando l’evidenza che il loro progresso costituisce invece una significativa rottura (come non mai) rispetto al passato ed alla tradizione, e coloro che, pur includendo gli sviluppi contemporanei delle scienze e delle tecniche nelle loro speculazioni, si limitano a rimarcare le implicazioni sociali e concettuali di una certa scoperta o innovazione, non cogliendo il disegno generale di una realtà in continuo e profondo cambiamento ad opera dei nuovi modelli scientifici.
Inoltre, come già detto, non sono solo le scienze naturali a partorire un crescendo di nuove teorie e scoperte, suscettibili di spiegare il mondo, ma si affacciano alla ribalta pubblica, con sempre maggior vigore, quei campi di studio poi definiti con il termine di scienze umane: linguistica, psicologia, sociologia, antropologia, psicanalisi, medicina, chirurgia, cioè tutte quelle materie scientifiche che hanno come oggetto di studi l’uomo e l’organismo umano e con le quali si cerca di prevederne il comportamento fenomenico, al pari dei modelli matematici di previsione ormai largamente utilizzati nell’ambito delle scienze naturali.
Questa distinzione tra scienze naturali e scienze umane si è protratta fino ai tempi odierni ed è rinvenibile in modo evidente nell’attuale distinzione tra studi scientifici o tecnici e studi umanistici.
L’uomo quindi passa da soggetto osservatore dei fenomeni della natura a oggetto esaminato, ovvero diventa egli stesso il fenomeno studiato dalle scienze umane.
Salve,
potrei inserire questo argomento nel mio blog, ovviamente riportando il nome dell’autore e il vostro sito?
Il titolo del blog è
diversamentegiovanisempreprotagonisti.blogspot.com/
Grazie in anticipo.
Autorizzato. Mi raccomando con il link al sito Studiamo.it Grazie
Efficace per chi si accosta alla materia!
Verrà pubblicato anche la parte sulla filosofia del ‘900 e contemporanea?
Prossimamente su questi schermi.
Per me che non mi sono mai accostata alla filosofia è stata una spiegazione illuminante e chiarissima. Complimenti e grazie per aver salvato una neo-studentessa!