Filosofia greca (o “presocratica”)
Indice
La filosofia (o meglio l’arte di filosofare, cioè di ragionare sulle grandi tematiche dell’uomo e della natura) è nata in Grecia, ai tempi in cui questa era formata da solide repubbliche cittadine, le città-Stato o Pòlis, che le assicuravano una fase economica discretamente florida.
In molti manuali di filosofia leggerete che questa situazione di boom economico è stata la causa della nascita della filosofia e del pensiero dei filosofi classici del tempo (il riferimento è soprattutto a Socrate, Platone e Aristotele).
Ma tale semplificazione non è sufficiente a spiegare perché la filosofia sia nata in Grecia e proprio nel periodo più prospero delle Pòlis. Infatti nella storia ci sono state altre epoche ed altri territori che hanno conosciuto una meravigliosa congiuntura economica e tuttavia tali periodi non sono stati accompagnati da un parallelo sviluppo della filosofia. Viceversa nelle stesse Pòlis greche non era tutto oro ciò che brillava, perché anche nella Grecia di allora (come purtroppo in quella di oggi) ci sono stati momenti di difficoltà, che hanno successivamente portato al triste tramonto delle città-Stato.
Allora perché la filosofia è nata in Grecia all’epoca delle fiorenti Pòlis?
Il motivo può essere ricercato nella diversità culturale degli abitanti di questo territorio, i quali, a differenza degli altri popoli che tendevano a isolarsi ed a chiudersi in se stessi, vedevano nel commercio con gli stranieri oltre mare ed oltre confine una grandissima opportunità di sviluppo e di crescita. I greci tendevano a fare affari con tutti coloro con cui venivano a contatto, spesso andando direttamente a cercarli via terra e soprattutto via mare, oppure ospitandoli direttamente quando erano invece gli stranieri a transitare per le attivissime città-Stato della Grecia antica.
Tale tendenza all’apertura verso l’esterno e verso l’ignoto, a commerciare cioè con il resto del mondo, senza aver timore dello straniero proveniente da terre lontane, ma anzi vedendo in lui una possibilità di guadagno, era molto probabilmente lo stesso atteggiamento mentale dei grandi pensatori dell’antica Grecia, i quali cercavano di andare oltre il sapere costituito, spaziando oltre i propri limiti (sicuramente oltre i limiti del pensiero allora dominante) e facendo proficuo tesoro delle culture altrui.
L’apertura mentale dei classici greci ha permesso quindi l’invenzione di nuove categorie concettuali, ovvero di nuovi strumenti di pensiero per capire e padroneggiare la realtà, che, in larga parte, sono ancora oggi validi ed utilizzabili. Già il superamento delle credenze mitico-religiose del tempo, da parte dei filosofi presocratici, costituiva un grande passo in avanti, oltre il confine di pensiero dei loro contemporanei.
Talete, Anassimandro e Anassimene, ovvero la 'Scuola di Mileto' (leggi tutto …)
Mileto è una città della Ionia, regione della costa occidentali della Turchia, bagnata dal Mar Egeo.
E’ in questa zona che, secondo la tradizione, sono nati ed hanno operato i primi filosofi della storia: per questo motivo la città di Mileto è considerata “la culla della filosofia occidentale”.
Questi primi filosofi, detti presocratici perché venuti prima di Socrate, sono Talete, Anassimandro e Anassimene. Essi, dei tanti “oggetti” di cui si occupa oggi la filosofia, hanno indagato e fatto speculazioni sulla “natura”, alla ricerca del principio primo, l’arché, da cui tutta la materia deriva. Proprio per tale particolare campo di analisi, la loro è stata chiamata la “filosofia della natura” e, al di là dei contenuti poco rigorosi delle loro affermazioni, essi hanno comunque avuto l’ardire di introdurre “sottobanco” la ragione, la logica, per spiegare la creazione del mondo e di tutte le cose, superando le facili tentazioni mitologiche in voga a quei tempi.
Per convenzione la filosofia inizia con Talete, il quale sosteneva che l’elemento con cui si spiega l’origine dell’universo fosse l’acqua. Secondo Talete quindi era l’acqua il principio stabile, l’arché, che dà vita all’universo e che sta alla base del mutamento costante di tutte le cose.
Vedremo che altri filosofi indicarono altri elementi come principio primo delle cose del mondo, il più delle volte con modalità che oggi fanno sorridere, ma Talete ebbe comunque il merito di essere stato il primo a cercare di spiegare le cose con la ragione, senza ricorrere alle divinità o al soprannaturale, semplicemente osservando i fenomeni naturali. Per lui filosofia e religione erano dunque due binari completamente separati e questa sua convinzione, in tempi caratterizzati da una realtà sociale ancora legatissima a credenze divinatorie e forti superstizioni, rende sicuramente valore all’originale pensiero di Talete.
Anassimandro invece individua il principio primo delle cose materiali in una sostanza più complessa: l’apeiron, ovvero “ciò che non ha limiti” o anche “l’Illimitato”. Da questa sostanza illimitata, divina ed eterna, nascono e poi vi fanno ritorno tutte le cose.
Egli riteneva che la Terra stessa e tutti gli altri mondi fossero stati generati dall’Illimitato, dall’apeiron, in un processo continuo che dà vita senza sosta a nuovi mondi, come se Anassimandro avesse intuito la perenne espansione dell’universo scoperta dagli scienziati molti secoli più tardi.
Inoltre Anassimandro immaginò l’universo come un cosmo (dal greco, “ordine”), i cui movimenti e trasformazioni sono regolati da leggi ben precise. Ed anche qui c’è la grande intuizione pioneristica di Anassimandro.
Sempre secondo questo filosofo, la Terra originariamente era allo stato liquido e galleggiava nello spazio, poi, con la sua solidificazione, iniziarono a formarsi gli essere viventi, prima nell’acqua e poi sulla crosta terrestre. Trattasi ancora una volta di una forma molto embrionale di previsione scientifica: in particolare il riferimento è alla teoria dell’evoluzione di Darwin.
Infine per Anassimene l’elemento che ha dato vita a tutto era l’aria. Essa per Anassimene era il “soffio vivificatore” di qualsiasi sostanza, il principio primo dell’ “anima” che si trova nella materia (anima infatti deriva dalla parola greca psyché, che significa “soffio”, e dunque anima sta per “aria” o “soffio”).
Secondo Anassimene il mondo si compone e decompone in un ciclo continuo, composto da mutamenti ripetuti delle cose: nascita, vita e distruzione.
Tutti i primi filosofi greci (da Talete a Democrito) indirizzarono i loro sforzi verso la spiegazione della natura e delle leggi che la regolano.
Se ci si riflette un attimo, è facile capire perché: in quel periodo caratterizzato da grandi incertezze (per es. a causa dell’assenza di norme in grado di disciplinare la pacifica convivenza tra gli uomini, che erano sempre in balia degli eventi e delle inquietudini dei governanti), le persone – e quindi i pensatori di professione – cercavano sicurezze, punti fermi cui aggrapparsi. Ed il tentativo di capire, spiegare e governare le leggi della natura rispondeva sicuramente a questa esigenza: assicurare certezze in un mondo in cui assolutamente non ve ne erano.
Comunque il periodo filosofico dei presocratici (nel senso dei filosofi che sono venuti prima di Socrate) è chiamato “cosmologico”, appunto perché i discorsi (o lògoi) di tali filosofi, detti perciò naturalisti, riguardavano la realtà esterna della natura, il cosmo concepito come un sistema bene ordinato e governato da leggi.
Essi cercavano l’arché, il principio di tutte le cose o “principio primo”, concetto che infatti significa sia “cominciamento”, sia “forza dominante”. Ed ognuno dei filosofi naturalisti lo individuava in uno o più elementi specifici (acqua, fuoco, aria, i quattro elementi, l’apeiron ovvero la materia primordiale infinita, …).
Senofane, Parmenide e Zenone di Elea, ovvero la 'Scuola di Elea' (leggi tutto …)
A sud di Salerno, sulla costa tirrenica italiana, si formò una scuola greca di filosofia che sfornò altri tre importanti filosofi: Senofane, Parmenide e Zenone di Elea.
Il pensiero di Senofane è importante perché è stato il primo a criticare l’idea religiosa dell’antropomorfia degli dèi, cioè la tendenza ad attribuire a questi le caratteristiche, fisiche e comportamentali, degli uomini. Ciò portava a contraddizioni palesi, ad esempio quando gli uomini mentivano o rubavano, comportamenti empi (immorali) per una divinità.
Per Senofane esisteva un solo Dio, creatore dell’intero universo e senza fattezze umane: è la nascita della dottrina di un Essere eterno ed immutabile, che andava contro la religione allora tradizionale.
Senofane è stato pure uno dei primi ad azzardare la possibilità che, se anche esistesse un’unica verità inconfutabile, su di essa si potrebbero fare solo ipotesi, perché tra opinione personale e conoscenza effettiva ci sarebbe una grande differenza.
Parmenide è forse il filosofo eleato più originale, perché, affermando che solo la verità vince contro le apparenze e le opinioni e che la verità si raggiunge con l’uso della ragione, arriva alla sua famosa conclusione: l’Essere è, mentre il Non Essere non è (e non lo si può neanche pensare). Frase enigmatica, ma se la si cambia solo leggermente in “l’Essere è verità, mentre il Non Essere non è verità”, forse si capisce meglio, identificando pure (sempre con il “forse”) l’interpretazione dell’autore. In ogni caso vive in questa nota affermazione un primo embrione di quel principio ontologico (riguardante cioè la conoscenza) che diventerà la regola nella filosofia medievale (e che sarà utilizzato per dimostrare l’esistenza di Dio): se riusciamo a pensare una cosa, per logica questa cosa esiste, è, perché non avrebbe senso pensare una cosa che non esiste, che non è.
Parmenide è anche famoso per la sua teoria secondo la quale non esisterebbero cambiamenti e trasformazioni, ma solo un Essere immobile ed immutabile, per cui tutto quello che ci sembra movimento e divenire è frutto dell’inganno dei nostri sensi, che ci inducono perennemente in errore facendoci percepire un mondo in continuo mutamento. E’ apparenza contro verità.
Zenone di Elea è rimasto famoso per i suoi celebri paradossi, con cui sosteneva le sue tesi sull’impossibilità del movimento, in linea con il suo maestro Parmenide. In realtà più che di paradossi si dovrebbe parlare di aporie. L’aporia è una difficoltà logica senza soluzione apparente, ovvero una storia “senza via di uscita”.
La più famosa è quella di Achille e la tartaruga, in cui il veloce Achille compete contro una tartaruga in una gara di velocità, attribuendo alla tartaruga un vantaggio iniziale di qualche metro: secondo l’aporia, nonostante l’enorme differenza atletica tra i due, Achille non potrà mai raggiungere la tartaruga, perché nel tempo che questi impiega per arrivare al punto da cui è partita la tartaruga, essa si è mossa arrivando ad un punto successivo della corsa e così via per tutti i punti seguenti raggiunti dalla lenta tartaruga. Si tratta di un’aporia importantissima, perché introduce forse per la prima volta i concetti di infinitesimale e di infinito.
In particolare Talete riteneva che fosse l’acqua il principio di tutte le cose, Anassimene che fosse l’aria, Anassimandro invece che tutto fosse stato originato nell’apeiron, cioè nell’infinito. Non mancavano comunque idee originali: Empedocle pensava ai quattro elementi naturali (terra, acqua, aria e fuoco) che si combinano tra loro, mentre Anassagora, seguace di Pericle, considerava la materia divisibile in infinite particelle, ciascuna delle quali è un’ omeomerìa o “particella similare”, contenente cioè tutti gli elementi dell’universo.
E che tra i primi filosofi non mancassero intuizioni corrette lo dimostrano Leucippo e Democrito, pionieri della dottrina dell’ “atomismo”, in base alla quale l’universo è sì unitario, ma composto da un’infinità di oggetti materiali minuscoli, non ulteriormente divisibili in quanto atomi, cioè “figure non tagliabili”.
In questa ricerca dell’arché i filosofi hanno usato anche la distinzione concettuale tra l’“essenza” delle cose ed il loro “fenomeno”, ovvero il modo in cui esse appaiono secondo i nostri sensi e la nostra esperienza. Si tratta di una distinzione importantissima che comparirà, sia pure con modalità diverse, per tutta la storia della filosofia.
Quello che è importante sottolineare di questa ricerca è la circostanza per cui se con il pensare si riusciva a spiegare l’essere della natura (attività considerata utilissima), allora pensare ed essere sono in qualche modo coincidenti.
Nelle operazioni concettuali del periodo divenne normale considerare tutto ciò che l’uomo può pensare riguardo l’essere (o esprimere con il linguaggio) come ciò che l’essere è realmente: i concetti logici del pensiero, ordinati e consequenziali, vennero quindi ritenuti caratteristiche concrete della natura, del cosmo reale e bene ordinato.
Le astrazioni logiche della mente acquisirono un valore ontologico, ovvero relativo all’essere reale delle cose.
Vittime del principio ontologico, virus da cui furono affetti i primi filosofi (ma l’apice ontologico si raggiunse nella filosofia medievale per spiegare l’esistenza di Dio), furono i termini “essere” e “non essere” che acquisirono un significato bivalente: di attributo o predicato (affermativo il primo, negativo il secondo) e di constatazione materiale della reale esistenza di una cosa, che dice se essa “c’è” o “non c’è”.
Così come nel linguaggio “essere” e “non essere” sono nettamente distinti ed opposti, tali da escludersi a vicenda, così anche nella realtà delle cose, queste “sono” o “non sono”. Soprattutto Parmenide mise a frutto questi concetti, soffermandosi sulla natura delle cose ed affermando che “l’essere è ed il non essere non è”.
Se poi aggiungiamo che il termine “uno” aveva un significato non solo quantitativo, ma anche qualitativo, indicando ciò che è “semplice” e “non composto”, ovvero il contrario di “molteplice”, capiamo perché il “principio primo” o arché di tutte le cose fosse inteso come qualcosa che non solo le precede (le cose), ma che è insito in esse, come un’anima materiale che costantemente le vivifica, identificandosi perciò con l’ ”essere” o “uno”, mentre il “non essere” o “molteplice” fossero appunto le cose da questo prodotte.
Eraclito, Empedocle e Anassagora (leggi tutto …)
Eraclito affermava – in contrasto con l’immutabilità di Parmenide – che il mondo è in continuo mutamento e divenire, utilizzando per sostenere questo concetto la famosa frase “tutto scorre” (panta rei), la quale era spesso accompagnata dall’immagine di una persona che non può bagnarsi due volte nello stesso fiume, perché lo scorrere dell’acqua in esso fa sì che il fiume sia sempre diverso.
Tuttavia questo mutamento, questo flusso continuo, non era per Eraclito un processo caotico, perché esso si fondava sul logos, cioè sulla “ragione”, da intendersi in tale contesto come un principio universale e razionale.
Il cambiamento era dovuto alla lotta continua tra elementi opposti: il freddo e il caldo, il giorno e la notte, la vita e la morte e tanti altri (sui quali forse Eraclito è sceso un po’ troppo sul banale). Il logos, in questa incessante lotta tra opposti (che ricordiamo causava per Eraclito il cambiamento delle cose), assicurava una specie di equilibrio cosmico.
Il logos si manifestava fisicamente nel fuoco e quindi per Eraclito era il fuoco l’elemento fondamentale all’origine di tutte le cose.
Empedocle si caratterizza per il fatto di non prendere un unico elemento come principio di tutto l’universo (come fecero i filosofi prima di lui), ma di prenderne ben quattro, tutti di pari dignità ed importanza: acqua, fuoco, terra ed aria.
E’ stata la mescolanza di questi 4 elementi eterni ed incorruttibili a dar vita, secondo Empedocle, a tutte le cose. Essi si aggregano e si disgregano continuamente, formando così oggetti diversi, e tali cambiamenti sono possibili grazie all’azione di due forze gemelle contrapposte, che Empedocle chiamava Amore e Odio.
Infine Anassagora cerca di conciliare l’osservazione di Parmenide, secondo cui le cose non hanno un’origine e neanche una fine, con quella dei filosofi successivi, non insensibili come Parmenide all’evidente cambiamento delle cose, che si manifesta incessantemente ai sensi degli uomini.
Ne scaturisce così la dottrina per la quale all’origine del mondo ci sono particelle piccolissime, composte di vari elementi mescolati tra di loro. Queste particelle sono poi fatte girare in un vortice dal nous, la “mente”, ovvero uno spirito dotato di sostanza materiale che costituisce per Anassagora l’unico elemento puro dell’universo, il più raffinato. A causa del vortice originato dal nous, le particelle si combinano e si separano, creando in tale maniera tutte le cose, ciascuna delle quali ha al suo interno una piccola porzione delle altre, ad eccezione del nous che, essendo elemento “puro”, non può mischiarsi con nulla. Pertanto: dalla staticità dell’universo al suo inevitabile cambiamento.
Inoltre, dalla dottrina di Anassagora (che per molti versi si potrebbe chiamare “degli atomi”) consegue che gli infiniti esseri, concepiti dalla suddetta combinazione di particelle, si differenziano secondo le molteplici forme assunte in natura.
Qualche filosofo come Empedocle ha poi associato il fatto che nel pensiero e nel linguaggio sia possibile mettere insieme, in un unico contesto di discorso, sia l’affermazione che la negazione, cioè di esprimere contemporaneamente due opposti, con la possibilità di farlo anche per la natura reale delle cose. Da questa trasposizione ontologica – dal linguaggio alle cose reali – i filosofi hanno perciò tratto la conseguenza che la natura è dominata da una compresenza di contrari, di forze in perenne contrasto, da cui scaturisce l’armonia, come per es. “Amore” e “Odio”, le quali secondo Empedocle, sono più che termini linguistici opposti: sono forze autonome che agiscono nella natura, esprimendo il rapporto tra l’io e gli oggetti dell’io.
Anche la nozione di “dialettica” venne utilizzata per trasportare, dal linguaggio alla realtà della natura, il concetto che volevasi dimostrare, ovvero: nel cosmo (cioè tutto quello che conosciamo) le cose si muovono, si trasformano e si sviluppano in virtù di opposizioni e del loro superamento. Eraclito ed Empedocle infatti, utilizzando il termine dialettica – che nel linguaggio esprime l’arte del discutere, del dialogare, di condurre un ragionamento logico e consequenziale –, trasferiscono il modello mentale della dialettica alla realtà della natura. Il loro ragionamento è semplice: se il discorso dialettico è caratterizzato da tesi opposte, punti di vista o posizioni contrapposti, per le quali va cercata (appunto con la dialettica) una sintesi, un accordo, allora, con il trasferimento di questa attività di pensiero o di linguaggio alla realtà, la compresenza di contrari nel discorso diventa compresenza di tali opposti anche nell’essere delle cose e dell’uomo.
Pitagora (leggi tutto …)
Pitagora è stato un curioso personaggio, definibile alternativamente come filosofo, matematico e mistico.
Famoso per il suo celebre teorema, è stato anche il primo ad utilizzare il metodo deduttivo nelle sue elaborazioni: si prende un punto di partenza evidente (che non ha bisogno di dimostrazioni), detto “postulato” o “assioma”, e si procede dimostrazione dopo dimostrazione fino ad arrivare alla conclusione, cioè all’affermazione di una teoria provata.
Pitagora era convinto che il mondo conosciuto si basasse sui numeri e che dalla loro combinazione si formasse una sorta di armonia nell’universo. Ma ciò era possibile, secondo Pitagora, solo con i numeri razionali (quelli che possono essere espressi in frazioni, per es. ¾). Quando scoprì che esistevano anche i numeri irrazionali (ad es. π o il rapporto aureo φ , cioè numeri con infinite cifre decimali, non esprimibili in frazioni), il suo sistema di comprensione del mondo attraverso i numeri andò in crisi.
La dialettica per Platone rappresentava qualcosa in più del significato – appena visto – di tecnica per dialogare e ragionare in modo logico. Per lui la dialettica serviva per esaltare il legame reciproco che esiste, nella conoscenza, tra “universale” e “particolare”. Era la sua una dialettica diadica, cioè di due termini, perché di una cosa qualsiasi egli era interessato ad indagare il rapporto che esiste, dentro quella cosa, tra le idee generali dell’essere e del non-essere. Platone cercava pertanto il fondamento logico per cui di una cosa si può dire che essa “è” questo o quello, oppure che essa “non è” questo o quello.
Aristotele vedeva invece nella dialettica un connotato negativo, identificandola con il ragionamento portato avanti mediante artifici linguistici e quindi di scarsa utilità. Tesi che sfocierà nella retorica dei sofisti, ma ormai siamo giunti nel periodo filosofico successivo, quello della filosofia classica greca.
Salve,
potrei inserire questo argomento nel mio blog, ovviamente riportando il nome dell’autore e il vostro sito?
Il titolo del blog è
diversamentegiovanisempreprotagonisti.blogspot.com/
Grazie in anticipo.
Autorizzato. Mi raccomando con il link al sito Studiamo.it Grazie
Efficace per chi si accosta alla materia!
Verrà pubblicato anche la parte sulla filosofia del ‘900 e contemporanea?
Prossimamente su questi schermi.
Per me che non mi sono mai accostata alla filosofia è stata una spiegazione illuminante e chiarissima. Complimenti e grazie per aver salvato una neo-studentessa!