Alto Medioevo (o “filosofia nella città di Dio”)
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Il Medioevo è la fase storica che decorre convenzionalmente dalla caduta dell’impero romano d’occidente (476 d.C.) ed arriva, secondo alcuni, fino al 1450 (anno in cui Gutenberg ha inventato la stampa), secondo altri, fino al 1492 (anno della scoperta delle Americhe da parte di Cristoforo Colombo).
All’interno del Medioevo si distingue tra l’Alto Medioevo, che è l’età storica che arriva fino all’anno Mille, e la fase successiva chiamata del Basso Medioevo.
Il Medioevo è da sempre conosciuto (ed insegnato) come il periodo storico della “sospensione delle novità”, cioè quell’età di mezzo in cui non si sono più avute invenzioni o scoperte capaci di proseguire il naturale sviluppo dell’umanità. Come se il progresso umano si fosse arrestato durante il Medioevo.
Questa interpretazione è stata recentemente messa in discussione dagli studiosi, che hanno giustamente segnalato come anche nel Medioevo ci siano state invenzioni e scoperte importanti, in grado di sortire effetti significativi fino ai nostri tempi.
Quello su cui tutti concordano sono gli aggettivi utilizzati per descrivere sommariamente il periodo medievale nei testi di storia: soprattutto i termini “oscuro” e, meno frequentemente, “buio”.
Ma chi è che ha spento la luce? Ovvero chi nel Medioevo ha impedito il naturale progresso delle arti, delle tecniche e del pensiero, cioè in altre parole l’evoluzione culturale e sociale?
La risposta è semplice: il Cristianesimo. Nel Medioevo il Cristianesimo si impone – spesso forzatamente – come religione di Stato e forza dominante, anche di natura politica. In questo periodo il Cristianesimo si trasforma da semplice pratica religiosa a Chiesa organizzata.
La filosofia medievale coincide di fatto con le vicende del Cristianesimo, religione che attribuisce alle riflessioni di questo momento storico delle caratteristiche unitarie, riguardanti l’immagine del mondo, che forse nessun altro periodo avrà mai.
Il mondo è infatti visto esclusivamente sotto la luce del Cristianesimo, in cui l’unica cosa che conta è la volontà di Dio, quindi è visto come una “Città di Dio”, per usare il titolo di un’opera di Agostino, il massimo filosofo di questo periodo storico ribattezzato appunto della “filosofia nella città di Dio”.
Agostino è anche il maggiore esponente della “Patristica”, la dottrina filosofica che caratterizza l’Alto Medioevo, così chiamata perché elaborata da quelli che furono poi definiti i Padri della Chiesa cristiana, ovvero i personaggi che hanno dato alla religione cristiana il volto che conosciamo ancora oggi, enfatizzandone alcuni aspetti e scartandone altri considerati, a loro insindacabile giudizio, non compatibili con il “volere di Dio”.
Secondo Agostino gli abitanti della Citta di Dio sono coloro che Dio stesso ritiene meritevoli di abitarvi, perché è sempre lasciata al suo inappellabile giudizio la decisione circa quali uomini debbono beneficiare della salvezza eterna e quali invece debbono essere dannati. Si tratta, come è facile capire, di una forma estrema di predestinazionismo, che ha posto (e per molti aspetti continua a porre) un grosso problema alla filosofia religiosa: se tutto è già deciso e quindi gli uomini meritevoli della grazia e quelli da dannare per l’eternità sono già stati scelti da Dio, che senso ha comportarsi bene in vita e tenere una condotta virtuosa?
In ogni caso l’elemento più importante nella filosofia medioevale è rappresentato dall’Ente che funge da intermediario tra Dio egli individui, cioè la Chiesa, la quale eroga ed amministra i sacramenti, strumenti del volere di Dio. Questa considerazione della Chiesa ne fa indubbiamente un’istituzione potente e necessaria, facendole acquisire lo status di ente politico e religioso insostituibile.
Agostino di Ippona (leggi tutto …)
Agostino, anzi Sant’Agostino, ebbe due vite: quella vissuta in gioventù, tra piccoli furti e grandi peccati sessuali (celebre la sua frase: “Signore dammi la forza di resistere al piacere della carne, ma non ancora …”), e quella da uomo maturo, caratterizzata dalla totale conversione al cristianesimo, tanto da meritare di diventare Santo. Questa doppia vita lo ha portato ad avere costantemente dei grandi sensi di colpa, originati dalla vita lussuriosa condotta in gioventù, e forse proprio a causa di questi sensi di colpa per i peccati commessi è nata la sua forte aspirazione a coniugare, in modo razionale, filosofia e teologia. Intento che accompagnerà tutto il suo pensiero filosofico, influenzato molto dal Neoplatonismo di Plotino.
Era anche un uomo di spiccato spirito umoristico: nella diatriba che era sorta tra i sostenitori della Bibbia, per i quali Dio aveva creato il mondo dal nulla (libro della Genesi), e coloro che invece affermavano (ad es. i filosofi greci) l’impossibilità di creare qualcosa dal nulla, ponendo quindi la domanda “cosa facesse Dio prima della creazione”, Agostino interveniva scherzosamente dicendo che “Dio preparava l’inferno per i troppo curiosi” 😉 .
Più seriamente Agostino, per dissipare i dubbi dei non creazionisti, formulò una teoria molto all’avanguardia, dichiarando innanzitutto che la Creazione biblica è un’allegoria e poi che il Tempo è iniziato con la creazione del mondo, ma solo per gli uomini, perché Dio, essendo eterno, esiste da sempre e vive in un eterno presente. A ben vedere questa elaborazione concettuale di Agostino non è molto lontana dalla teoria della fisica moderna per cui le leggi fondamentali della fisica, così come le conosciamo oggi, non valevano prima del Big bang, il quale non è altro che il corrispondente scientifico della Creazione biblica.
Secondo Agostino pertanto esiste solo il presente, perché il passato è solo un ricordo attuale, mentre il futuro è solo l’immaginazione di un’aspettativa.
L’opera più famosa di Sant’Agostino è sicuramente la “Città di Dio”, in cui si parla di due città: la Citta di Dio, costituita dalle virtù degli uomini, e la Città del Diavolo, formata invece dai loro vizi. Nel pensiero di Agostino c’è quindi una netta distinzione tra il mondo perfetto ed eterno, al quale si può giungere grazie all’intelletto, ed il mondo imperfetto e transitorio delle cose materiali, a cui si accede continuamente mediante i sensi. In altre parole c’è in Agostino la contrapposiozione tra la città degli Uomini e la città di Dio, un luogo quest’ultimo non geografico ma spirituale, del quale la Chiesa ne rappresenta l’equivalente terreno. La Città di Dio infatti può essere conosciuta solo attraverso la mediazione “infallibile” e “da non mettere mai in discussione” della Chiesa.
Quest’ultima affermazione ha delle conseguenze importanti: innanzitutto per Agostino sono solo gli uomini che sbagliano, perché la Chiesa, istituzione di Dio, è sempre esente dal peccato; inoltre lo Stato, se vuol far parte della Città di Dio, deve inchinarsi alla Chiesa e tale tesi sarà molto determinante nella scalata del papato al potere temporale.
In ogni caso nella contrapposizione tra la Città di Dio e la Città degli Uomini (o del Diavolo) si inserisce una gerarchia più articolata, caratterizzata da una sorta di “scala sociale”, in cui al vertice c’è ovviamente l’Unità Assoluta (Dio), sinonimo di Essenza, Bene e Verità, per poi scendere gradualmente verso il basso fino ad arrivare alle cose materiali. Gli uomini devono quindi guardare verso l’alto alla ricerca di Dio, perché solo dall’Essere supremo è possibile ottenere quella saggezza dell’intelletto con cui accedere alla Città di Dio.
In un mondo siffatto il male esiste per colpa del peccato originale e quindi per togliere agli uomini il peccato dell’Eden è necessaria la grazia divina (come si può vedere questa concezione cristiana non è molto cambiata dai tempi di Agostino). Tuttavia tale considerazione ha aperto molti spiragli a dubbi e contraddizioni, tant’è che nei secoli successivi molti filosofi hanno cercato di trovare un giusto equilibrio tra la predestinazione che sembra insita nel pensiero di Agostino – secondo la quale Dio già conosce gli uomini “prescelti” (destinati a salvarsi) e quelli invece inesorabilmente “dannati” – e quel “libero arbitrio” degli uomini anch’esso presente nelle elaborazioni del Santo.
Il libero arbitrio di Agostino è infatti da questi utilizzato per rispondere ad una delle principali incoerenze del mondo cristiano, cioè la domanda: se Dio è buono e onnipotente, come mai nel mondo esiste il male e la sofferenza? Infatti se Dio è buono non dovrebbe far soffrire gli uomini e se è onnipotente dovrebbe sconfiggere sempre il demonio che infligge il male.
Agostino ha di fatto passato tutta la vita a trovare una giustificazione plausibile a questa evidente contraddizione. Inizialmente aveva adottato la soluzione del manicheismo (Agostino in gioventù era un manicheo avendo aderito a tale culto), ovvero il male esiste perché le forze del bene e quelle del male hanno pari poteri e quindi, quando in certe situazioni prevale il male, si genera la sofferenza per l’uomo. Successivamente però tale risposta non piacque più ad Agostino, perché ammettere che il bene ed il male hanno gli stessi poteri equivale a dire che Dio non è onnipotente (in quanto non può sconfiggere una volta per tutte le forze del male) e questo per il Santo – ed il mondo cristiano – è inaccettabile.
Allora Agostino trovò un’altra soluzione al problema per cui esiste il male nel mondo, che tutt’ora, a secoli di distanza, trova ancora molti sostenitori tra i credenti. La soluzione è la seguente: Dio è buono e quindi non vuole che gli uomini soffrano, ma è anche vero che proprio per tale bontà Dio ha dotato l’uomo del libero arbitrio, affinché l’uomo possa scegliere di comportarsi moralmente bene e non avere di fronte a se stesso un destino completamente prefissato, sul quale cioè egli non abbia alcuna possibilità di cambiamento (come sarebbe nel caso di un mondo completamente deterministico). Tuttavia questa scelta di dotare gli uomini del libero arbitrio comporta, come conseguenza (quasi come una controindicazione medica), che l’uomo possa decidere anche di non comportarsi in modo moralmente corretto e di fare quindi del male al prossimo, o addirittura di ucciderlo.
La tesi dianzi descritta di Sant’Agostino concilia pertanto la bontà e onnipotenza di Dio con la presenza della sofferenza umana, perché quest’ultima è dovuta esclusivamente all’uomo ed in particolare al suo uso distorto del libero arbitrio. Un uso distorto che per Agostino cominciò già nel giardino dell’Eden, con il peccato originale di Adamo ed Eva.
Riassumendo: dal dissolvimento dell’impero romano ad opera dei “barbari”, la cui cultura viene assorbita dai regni medievali che si sostituiscono alla Roma imperiale, nasce una nuova società civile e politica, che, accogliendo anche l’eredità filosofica ellenistica, si struttura intorno al feudalesimo. In questo contesto il cristianesimo si evolve in Chiesa organizzata, potente ed autoritaria, la quale sviluppa un proprio sistema filosofico e teologico che si diffonderà velocemente in molte aree geografiche, caratterizzando unitariamente tutto il Medioevo.
Perché il Medioevo è andato verso la struttura sociale, gerarchica e territoriale del feudalesimo? Una tra le tante cause risiede proprio nel pensiero filosofico del periodo, in particolare in quello di Plotino, sostenitore di una dottrina che rivisita Platone a favore del Cristianesimo, nota come neoplatonismo.
Per i neoplatonici il principio dell’universo è l’ “Uno”, ovvero Dio, e questi è talmente lontano dal “molteplice”, ovvero dalla materia, che dell’ “Uno” si può dire solo ciò che non è, altrimenti qualsiasi sua definizione lo limiterebbe (questa affermazione è conosciuta come teologia negativa).
Il neoplatonismo elaborò addirittura una rigida gerarchizzazione dei diversi strati, mediante i quali dall’Uno plotiniano si scende al molteplice, ed a ben vedere questi strati filosofici altro non sono che le “classi” della gerarchia sociale e politica tipica del feudalesimo. Alla piramide rovesciata, rappresentazione figurativa della ripartizione del potere nel periodo feudale, corrisponde infatti esattamente la scala gerarchica della visione neoplatonica: al vertice della piramide il sovrano (l’Uno neoplatonico) e poi via via le classi inferiori che partecipano sempre meno al potere, fino a giungere alla base della piramide ove sono situati i servi della gleba, coincidenti – in questo parallelo politico-filosofico – con la materia più informe e inutile.
Plotino (leggi tutto …)
Quando si dice Plotino si dice necessariamente Neoplatonismo, ovvero la riscoperta del pensiero di Platone a favore della Chiesa (ad opera appunto di questo quasi omologo filosofo).
La filosofia di Plotino ha enormemente influenzato, successivamente, il pensiero di Agostino.
Plotino parte dal concetto che il mondo spirituale è superiore a quello materiale e quindi l’intelletto è sempre superiore ai sensi. Da tale considerazione iniziale si dipana tutta una serie di strati o livelli che Plotino assimila ad alcune parti del corpo umano.
Nella gerarchia immaginata da Plotino c’è innanzitutto una Santa Trinità, che compone l’intero universo e che riprende le idee di Platone.
Al vertice c’è l’Uno, Essere trascendente, perfetto e completo (equivalente al Bene della Repubblica di Platone), che, in quanto Bontà suprema, irradia i suoi benefici ai livelli sottostanti come il sole emana la luce.
Il livello immediatamente inferiore è occupato dal Nous o Spirito o Intelletto, che corrisponde al mondo delle idee e dei concetti, equivalente alle “forme” di Platone.
A sua volta il Nous si irradia sul mondo dell’Anima, forza ordinatrice dell’universo visibile.
Al di sotto della suddetta Santa Trinità ci sono i livelli della Natura, ove vivono le anime individuali, e della Materia, ovvero la realtà più debole che non emana più alcunché.
Gerarchia del Neoplatonismo | Note |
1) Uno | SANTA TRINITA’ |
2) Intelletto (o Nous o Spirito) | |
3) Anima | |
4) Natura | anime individuali |
5) Materia | mondo materiale (realtà più debole) |
In ogni uomo c’è una parte di Materia, Natura, Anima ed Intelletto. L’uomo deve cercare di risalire il più possibile questa gerarchia (l’Intelletto deve superare se stesso), attraverso la contemplazione e l’autodisciplina (quindi mediante una vita virtuosa), fino ad aspirare di giungere al primo: l’Uno. Secondo Plotino infatti grazie alla contemplazione è possibile raggiungere l’estasi e, di conseguenza, l’unione con l’Uno.
Il pensiero filosofico medievale è caratterizzato anche dalla ricerca, mediante la dialettica, di una spiegazione “logica” della verità divina, dell’esistenza di Dio, ovvero delle “ragioni della fede”.
Maggior esponente di questa ricerca è Anselmo d’Aosta che ha il merito di aver formulato quella che per molti anni è stata la spiegazione logica più popolare e famosa dell’esistenza di Dio: la prova “ontologica”. Essa non dice altro che questo: “se l’uomo pensa a Dio come Essere assoluto, del quale è impossibile anche solo immaginare un essere più grande, allora Dio deve esistere veramente, altrimenti sarebbe impossibile immaginare un ente superiore”. In altre parole se si pensa a Dio come l’Essere più grande di ogni altro, allora Dio deve anche esistere perché altrimenti gli mancherebbe qualcosa.
Trattasi come si può ben vedere di un argomento prettamente autoreferenziale, un atto di fede più che una prova filosofica, il quale tuttavia ha avuto molta fortuna nel pensiero filosofico successivo. Invero la prova ontologica è stata riutilizzata e sviluppata da molti filosofi, compreso Cartesio che la include nella sua più famosa enunciazione, così sintetizzabile: se io ho dei dubbi allora penso, se penso allora esisto e se esisto io esiste anche Dio.
Anselmo d’Aosta (leggi tutto …)
Anche Anselmo, anzi Sant’Anselmo (anche lui fu fatto Santo), ha cercato di conciliare fede e ragione, sostenendo che, se la seconda è comunque subordinata alla prima, è pure vero che la ragione può aiutare gli uomini a comprendere i loro atti di fede.
Anselmo è famoso soprattutto per il suo argomento ontologico (tale definizione è però successiva), con il quale intendeva provare l’esistenza di Dio. La prova ontologica non piacque ai teologi, ma molti filosofi fino all’età moderna ne furono affascinati, tanto da riprenderla e rivisitarla in vari modi. In realtà la prova ontologica non è affatto una “prova” in senso filosofico, cioè basata sul ragionamento e la logica, bensì un argomento che poggia esclusivamente sulla fede.
Dell’argomento ontologico ne esistono diverse versioni (alcune anche lontane dal significato degli scritti di Anselmo), tra le quali una, abbastanza semplificata ma fedele al pensiero di Anselmo, potrebbe essere quella riportata al paragrafo seguente.
“Noi diciamo che Dio è l’assoluto, il più grande dei possibili oggetti di pensiero; però se di una cosa diciamo che essa non esiste, allora un’altra cosa identica alla prima, ma esistente, sarebbe maggiore di quella, se non altro perché esistente; così se Dio non esistesse, noi potremmo immaginare qualcosa di più grande, cioè un Dio esistente, ma se noi abbiamo l’idea di questo Dio ipotetico più grande, allora Dio deve per forza esistere, perché altrimenti esisterebbe un Dio più grande di lui e quindi, anche in questo caso, la conclusione sarebbe la stessa: Dio esiste.”
Come si vede il ragionamento è arzigogolato, ma per quello che ci interessa esso poggia interamente su un atto di fede e non – come sembra all’apparenza – su un concetto logico. Infatti Anselmo non diceva altro che, se riusciamo a pensare a Dio, allora Dio deve anche esistere.
Kant infatti criticò fortemente la prova ontologica, sostenendo giustamente che essa poggia su una premessa non di logica ma di fede: dire infatti che solo perché si riesce a pensare Dio, allora Dio esiste è un circolo vizioso con cui non si arriva alla dimostrazione dell’esistenza di Dio. Ciò in quanto dal pensiero di un Essere perfetto non ne deriva necessariamente la sua esistenza e questo perchè non è mai possibile compiere il salto dalla pensabilità all’esistenza reale.
Salve,
potrei inserire questo argomento nel mio blog, ovviamente riportando il nome dell’autore e il vostro sito?
Il titolo del blog è
diversamentegiovanisempreprotagonisti.blogspot.com/
Grazie in anticipo.
Autorizzato. Mi raccomando con il link al sito Studiamo.it Grazie
Efficace per chi si accosta alla materia!
Verrà pubblicato anche la parte sulla filosofia del ‘900 e contemporanea?
Prossimamente su questi schermi.
Per me che non mi sono mai accostata alla filosofia è stata una spiegazione illuminante e chiarissima. Complimenti e grazie per aver salvato una neo-studentessa!