Filosofia per principianti
La sintesi di Storia della Filosofia, per chi si avvicina la prima volta alla Filosofia

da | 1 Lug 2016 | Filosofia | 6 commenti

Basso Medioevo (o “filosofia scolastica”)

Dopo l’anno Mille, comincia a modificarsi in modo sostanziale l’assetto sociale dell’Occidente. Grazie allo sviluppo delle attività commerciali e all’adozione di nuove produzioni più tecnologiche in agricoltura, il feudalesimo entra in crisi, favorendo la crescita delle grandi città e la formazione dei “Comuni”, che presto diventeranno poli economici importantissimi per tutto il mondo occidentale.man-785568_1280

Questa “apertura” verso l’esterno (con il conseguente declino della “chiusura” feudale) fu possibile soprattutto in virtù dei contatti sempre più frequenti con le culture orientali, iniziati con le crociate.

Proprio nelle città vengono istituite, all’interno delle cattedrali, scuole episcopali di cultura, in cui è insegnata – in origine – la filosofia patristica, tanto cara alla Chiesa perché sui suoi contenuti essa ha il pieno controllo (avendo contribuito in modo determinante alla loro creazione).

Siccome la filosofia è ormai diventata materia d’insegnamento, la filosofia di questo sotto-periodo prende il nome di “Scolastica”. Essa però si distingue ben presto dalla patristica del periodo precedente, perché anche il pensiero filosofico risente necessariamente dei profondi cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo sociale e politico.

Infatti si distinguono:

  • una Scolastica iniziale, che potremmo chiamare di “visione antica”, nella quale si caratterizzano Abelardo, con l’avvio della discussione sulle proprietà degli universali, e soprattutto Tommaso d’Aquino, massimo esponente della Scolastica, con la rilettura – ovviamente in chiave cristiana – di Aristotele.
    Le caratteristiche della “visione antica” di Scolastica sono per molti aspetti quelle della vecchia patristica, ma in maniera molto più accentata. E’ vero che anche qui c’è l’affermazione secondo la quale i dogmi ufficiali della Chiesa sono verità assolute e, di conseguenza, tutta la conoscenza è subordinata alla fede, ma è altrettanto vero che gli scolastici cercano di dare pure una spiegazione delle ragioni della fede (rationes fidei), ovvero cercano di spiegare la fede con le argomentazioni della ragione, delle scienze, utilizzando a tal fine la rilettura in chiave cristiana di Aristotele e delle sue opere. La prima Scolastica di visione antica cerca quindi di gettare un ponte tra fede e conoscenza scientifica.
  • una tarda Scolastica, che potremmo chiamare di “visione moderna”, in cui gli elementi appunto innovativi – e per molti versi “sovversivi” – sono affermati da filosofi come Guglielmo da Ockam e Duns Scoto.
    La “visione moderna” della Scolastica poggia sul metodo scientifico, sugli esperimenti, per scoprire nuova conoscenza. Essa distingue abbastanza nettamente la filosofia dalla teologia e adotta, come vedremo, il principio della massima semplificazione nei ragionamenti. Ma soprattutto la visione moderna della Scolastica si insinua decisamente nelle crepe involontariamente create dall’utilizzo della ragione e dell’intelletto per indagare e giustificare i dogmi della Chiesa. E così facendo apre ulteriori spazi all’autorità della ragione, perché l’uomo è fisiologicamente curioso e quindi è sempre alla ricerca della “verità” delle cose, non si fida – come vorrebbe la Chiesa – della fede incondizionata: un comportamento che ovviamente è considerato eretico dalle istituzioni cristiane tradizionali.

 

La disputa sugli universali ebbe molto seguito all’epoca, perché con essa era in qualche modo in gioco il rispetto dei fedeli verso la Chiesa.

Da una parte c’erano i sostenitori della tesi (ispirata dalle “idee” di Platone) che i concetti universali avevano una propria realtà e come tali precedono il molteplice delle cose empiriche (cioè gli universali sono “enti reali” che vengono “prima delle cose”), dall’altra c’erano invece i sostenitori della dottrina (d’ispirazione aristotelica) per la quale i concetti universali sono soltanto nomi collettivi astratti desunti dalle cose (cioè gli universali sono “enti nominali” che vengono “dopo le cose”). Quindi in sostanza una controversia tra realisti e nominalisti.

In questa diatriba è degna di nota la “soluzione” di Abelardo, che cerca di mediare tra le due opposte fazioni, alla maniera resa in seguito famosa da Tommaso d’Aquino.

Abelardo ha infatti propugnato il “concettualismo”, corrente filosofica secondo la quale il realismo ed il nominalismo non sono contrapposti, ma il primo è antecedente l’altro in quanto i concetti:

  • sono cose universali nella mente di Dio, prima della creazione del mondo (ante rem)
  • sono nelle cose dopo la creazione, perché nelle cose i concetti sono impressi ed hanno una funzione distintiva (in rem)
  • e, infine, sono dopo le cose (post rem), perché gli uomini comprendono i concetti e li diffondono mediante l’uso dell’intelletto

Abelardo (leggi tutto …)

L’opera più famosa di Abelardo è Sic et Non, che già dal titolo (“Sì e No”) la dice lunga riguardo la branca della filosofia su cui si focalizzò il suo pensiero: la dialettica.

La dialettica quindi, grazie ad Abelardo, tornò prepotentemente di moda nel Medioevo, anche perché nell’opera in questione egli sosteneva che l’accesso alla Verità era possibile solo con la dialettica (oltre che, ovviamente, con le Sacre Scritture) e che questa era un importante strumento per la mente.

Uno strumento con il quale Abelardo elaborò, tra le altre, un’articolata riflessione contro gli universali.

Di diverso avviso sarà più tardi Ockam, che propenderà decisamente per la soluzione “nominalistica”. Secondo lui gli universali vengono “dopo le cose”, perché gli uomini ne hanno conoscenza concreta semplicemente come nomi o “segni” costruiti – per astrazione – nel loro intelletto. Sono cioè “segni mentali di cose materiali extramentali”. Gli universali “prima delle cose, esistendo solo nella mente di Dio, sono argomento esclusivamente teologico.

Ed inoltre il fatto che le cose sono solo un nome, a cui gli uomini di scienza debbono dare un significato il più possibile preciso, comporta che non c’è bisogno per esse di inventare spiegazioni ulteriori e particolari (come ad es. gli universali prima delle cose). Questa considerazione di Ockam, da lui espressa nella famosa frase “è inutile fare con molto ciò che si può fare con poco”, fu in seguito chiamata “il rasoio di Ockam” ed esprime appunto l’opportunità di formulare i concetti in modo elementare, senza far ricorso ad inutili complessità (tagliando quindi ciò che è superfluo).

San Tommaso d’Aquino, detto l’Aquinate (leggi tutto …)

Diciamo subito che Tommaso, cioè San Tommaso, è sicuramente il più importante tra i filosofi storici del Cristianesimo, se non altro perché il suo pensiero è stato adottato molto più tardi, addirittura nell’800, come dottrina ufficiale della Chiesa cattolica romana.

La filosofia dell’Aquinate fu così innovativa per il periodo storico medievale che addirittura egli stesso venne inizialmente additato come eretico, ma, fortunatamente per lui, riuscì – forse grazie alle aristocratiche origini – a far accettare il suo vasto pensiero alla Chiesa.

Tommaso era un fan di Aristotele e quindi nella sua filosofia troviamo spesso il pensiero di quest’ultimo, spesso modificato – a volte forzatamente – al fine di giustificare l’esistenza di Dio e i dogmi della Chiesa che l’Aquinate rappresentava. Ciò a cominciare dal tentativo di Tommaso, così come aveva fatto Aristotele, di creare un Sistema organizzato di tutti i rami della conoscenza umana.

Prima di esporre la ben strutturata filosofia di Tommaso, è forse più interessante accennare alle teorie sull’esistenza di Dio, elaborate dai filosofi precedenti, che egli demolì in quanto non ritenute adeguate allo scopo. Il riferimento è:

  • all’argomento ontologico (elaborato da Anselmo), che a Tommaso non piaceva perché – come avrebbero detto anche molti filosofi dell’età moderna – non è possibile inferire dall’idea di Dio la sua esistenza, ovvero passare così semplicemente dal concetto alla realtà
  • all’argomento dell’auto-evidenza, per il quale dalla conoscenza dell’essenza di Dio ne presupponiamo l’esistenza

San Tommaso d’Aquino quindi, azzerate le teorie precedenti, ne formulò delle proprie. In particolare sono famose le sue 5 prove dell’esistenza di Dio:

  1. l’argomento dei gradi della perfezione, se esistono in natura diversi gradi di perfezione, significa che è immaginabile l’idea di perfezione e quindi l’esistenza dell’Essere perfetto
  2. l’argomento della causazione, se tutto ciò che esiste ha una o più cause, deve esistere una Causa Prima che sia la causa delle cause e non abbia a sua volta una causa, non potendo concepirsi, secondo Tommaso, una serie infinita di cause ed effetti, un “regresso all’infinito”
  3. l’argomento del movimento, se in tutto il mondo c’è movimento, allora deve esserci una causa di questo movimento, cioè Dio (qui ritroviamo la teoria del motore immobile di Aristotele)
  4. l’argomento della contingenza, se la natura è caratterizzata dalla casualità, si può desumere che essa sia dovuta all’opera di un Ente Necessario
  5. l’argomento dell’armonia, se le cose della natura sono il risultato di un adattamento o di un “accordo”, per es. la particolare struttura ossea degli uccelli che permette loro di volare (più tardi qualcuno, non filosofo, parlerà di “evoluzione”), allora deve esistere un’Intelligenza tale da far sì che le cose in natura raggiungano questo equilibrio

Come si può vedere dalla lettura delle 5 prove di Tommaso, tutto il suo filosofare verte sulla fondamentale distinzione tra:

  • teologia naturale, che deriva dalla ragione e dall’esperienza dei sensi
  • teologia rivelata, che invece deriva dalla fede e dall’interpretazione della Bibbia

Queste due parti importantissime nel percorso di conoscenza di Dio erano per l’Aquinate completamente separate, ma molti filosofi dopo di lui le hanno deliberatamente coniugate, creando così quelle crepe e quei dubbi nel Cristianesimo che porteranno in seguito all’irreversibile scissione tra la fede e la ragione.

Un cammino del pensiero di Tommaso che egli stesso non avrebbe mai potuto prevedere e che certamente non desiderava.

Si distinguono poi le riflessioni di Tommaso d’Aquino, giustamente considerato il vero “padre” della Scolastica. La sua filosofia è caratterizzata dall’infaticabile ricerca di una mediazione in tutti i settori, allo scopo di trovare un compromesso tra le tante posizioni contrapposte tipiche del pensiero medievale.

Ovviamente il continuo mediare del domenicano Tommaso aveva l’intento di tirare l’acqua al mulino della Chiesa, attirando verso di essa, per quanto possibile, anche le simpatie degli intellettuali, che avevano il difetto di non limitarsi a “credere” ma di ragionare sulle diverse argomentazioni.

La dottrina di Tommaso d’Aquino (detta “tomismo” e portata avanti successivamente dai suoi fratelli dell’ordine dei domenicani) portò alla completa revisione di Aristotele, per dare alle sue opere un’interpretazione compatibile con la visione del mondo che aveva la Chiesa. Così facendo furono attribuiti ad Aristotele concetti e significati (cristiani) certamente lontani dal pensiero originario del filosofo greco.

In particolare Tommaso pensava ad una ragione naturale, cioè ad uno spazio, limitato, in cui la mente umana era legittimata a ragionare in modo autonomo ed a compiere ricerche, prescindendo dal supporto della fede, perché questo spazio era stato concesso agli uomini da Dio.

In ogni caso la rilettura in senso cristiano di Aristotele, da parte di Tommaso d’Aquino, fornì alla Chiesa un sistema filosofico di idee e riflessioni che apparentemente era giustificato anche dalla logica e dalla ragione, oltre che dalla fede.

Ruggero Bacone (leggi tutto …)

Del libero pensatore Bacone (Ruggero, perché poi ci sarà un altro filosofo di nome Bacone: Francesco) si può dire che egli avesse un’intelligenza superiore alla media, sicuramente superiore a quella dei suoi colleghi ecclesiastici, ed anche una mente molto aperta alle riflessioni altrui, da chiunque provenienti.

Questo lo portò, da un lato, ad abbracciare le speculazioni filosofiche degli arabi, in particolare di Avicenna, e ad inserire nei suoi concetti le sperimentazioni scientifiche (unico tra i suoi simili, cioè tra i religiosi del tempo), dall’altro, a disprezzare l’ignoranza degli altri uomini del clero (rei di non essere alla sua altezza e di non considerare altri punti di vista, dai quali si può sempre imparare qualcosa). Per tale ultimo sentimento si mise ovviamente contro le autorità ecclesiastiche e fu costretto a fare qualche anno di prigione.

Forse proprio durante il riposo forzato in galera scrisse quelle che secondo lui sono le 4 cause dell’ignoranza:

  1. le opinioni della massa incolta, cioè l’adagiarsi sull’opinione comune
  2. lo sfoggio di nozioni per mascherare l’ignoranza, cioè l’atteggiamento di quelli che oggi chiamiamo “capiscioni”
  3. l’appellarsi a false autorità, cioè il richiamare fonti di informazione erroneamente attendibili
  4. l’indebita influenza dell’abitudine, cioè la pigrizia nel cercare nuove conoscenze

Come si vede leggendo l’elenco, molte delle cause di ignoranza elaborate da Bacone sono ancora oggi pienamente condivisibili ed anche molto di moda (si pensi alle fake news).

In virtù delle spiegazioni di cui sopra, si capisce quanto la Scolastica fosse ancora sotto l’egemonia autoritaria (e insindacabile) della Chiesa, ma l’introduzione del “lume naturale”, ovvero della ragione, per cercare di dare una spiegazione convincente alla fede rivelata, aveva creato delle brecce insanabili. Brecce che con il tempo i filosofi hanno allargato sempre più, avendo cura di attribuire via via maggiore autonomia alla ragione, fino ad arrivare alla riscoperta dell’intelletto umano quale spirito pensante, in grado di indagare su tutte le cose senza dover fare affidamento sul sapere dogmatico della Chiesa.

Duns Scoto (leggi tutto …)

Si occupò di un problema che nella filosofia Scolastica è sempre rimasto sul fondo: il principio dell’individuazione, ovvero in quale modo era possibile distinguere una cosa dall’altra.

Secondo Scoto è solo per mezzo della forma che possiamo distinguere le cose tra di loro, non per la loro materia, in quanto non c’è differenza tra l’essere e l’essenza.

Altro argomento affrontato dal Scoto è stato quello dell’evidenza, cioè la risposta alla domanda: quando è possibile conoscere una cosa senza necessità di dimostrazioni? Per il filosofo solo 3 categorie di cose sono conoscibili in modo evidente, senza dover essere dimostrate:

  • i princìpi di per sé evidenti
  • le cose di cui abbiamo conoscenza tramite l’esperienza
  • le nostre azioni

Anche perché se è vero che Dio, il più universale di tutti gli universali, risiede – come affermava Eckhart – come “scintilla dell’anima” in ciascun individuo, allora viene meno la distinzione tra ecclesiastici e uomini non di fede (essendo la scintilla di Dio in ciascun uomo) e quindi viene meno, con essa, pure la funzione di intermediatrice tra cielo e terra svolta dalla Chiesa come istituzione.

Le brecce create dai pensatori “contro la Chiesa” portarono poi alla Riforma protestante di Lutero, avverso la quale la componente cattolica di quella che era stata la tarda Scolastica oppose una decisa risposta (la “Controriforma”), in termini di nuove elaborazioni del pensiero di Tommaso d’Aquino, stavolta non ad opera dei domenicani, bensì dei gesuiti.

Ma con la Controriforma siamo già fuori dal Medioevo, anche se – secondo molti studiosi – c’è stata una nuova Scolastica, detta “neoscolastica”, addirittura nell’Ottocento, stavolta non per rigettare i pericoli provenienti dalla Riforma protestante, ma per arginare la “modernità” del pensiero. Questa neoscolastica – sempre secondo gli studiosi – caratterizza ancora oggi il pensiero cattolico.

Di tutto ciò, quello che rileva ai nostri fini è la circostanza che, con la fine del Medioevo, si sono aperte le porte a due tipi di pensatori: quelli credenti a cui piace di più ragionare e quelli, di vecchia tradizione, a cui piace di più credere, distinzione che nel Medioevo non era assolutamente possibile (e che è opera del “filosofo” Luciano De Crescenzo).

Guglielmo da Ockam (leggi tutto …)

Guglielmo da Ockam contestò il papato (e per questo venne scomunicato) perché era un sostenitore della povertà della Chiesa e di una maggiore democrazia nell’ordinamento dei religiosi. Era anche a favore di una riduzione del potere secolare della Chiesa.

Secondo il pensiero di Ockam la logica filosofica si deve occupare dei termini della scienza, mentre quest’ultima si occupa delle cose. In altre parole la logica tratta gli universali, cioè i concetti, non le cose fisiche, che invece sono oggetto di studio della scienza: una tesi molto originale, ma anche molto “sovversiva” per i suoi tempi.

Comunque Guglielmo è rimasto famoso per il noto rasoio di Ockam, un’affermazione lapidaria della quale ne esistono diverse versioni. Quella più fedele a quanto intendeva dire l’autore è probabilmente la seguente: è inutile utilizzare più strumenti di pensiero (concetti) di quelli necessari. Con ciò volendo dire (forse) che le speculazioni filosofiche devono essere le più semplici possibili e quindi non bisogna fare più presunzioni di quelle che servono effettivamente: un inno dunque alla chiarezza e concisione del discorso.

6 Commenti

    • Steve Round

      Autorizzato. Mi raccomando con il link al sito Studiamo.it Grazie

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  1. Gioacchino Pagano

    Efficace per chi si accosta alla materia!

    Rispondi
  2. Manuele

    Verrà pubblicato anche la parte sulla filosofia del ‘900 e contemporanea?

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    • Steve

      Prossimamente su questi schermi.

      Rispondi
  3. Barbara

    Per me che non mi sono mai accostata alla filosofia è stata una spiegazione illuminante e chiarissima. Complimenti e grazie per aver salvato una neo-studentessa!

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