Umanesimo e Rinascimento
Indice
Il periodo storico che va dalla fine del Medioevo (convenzionalmente individuato nel 1450) al 1650 è detto dell’Umanesimo e del Rinascimento.
L’Umanesimo sottolinea la rivalutazione dell’uomo e della sua attività intellettuale, in contrapposizione ai secoli bui del Medioevo (ed al conseguente “fermo amministrativo del libero pensiero”).
Il termine Rinascimento invece non ha altro significato di quello letterale di “rinascita” e di rinnovamento della cultura, soprattutto nel XVI e XVII secolo, anche in questo caso avendo come paragone il blocco medievale.
In effetti dopo la straordinaria rivoluzione sociale promossa da Gutenberg, inventore dei caratteri mobili per la stampa, che aveva reso possibile l’enorme diffusione dei testi scritti (e quindi della cultura), arrivò pure la c.d. “rivoluzione copernicana”, o eliocentrismo (cioè la scoperta da parte di Copernico che non è il sole che gira intorno alla Terra, ma è il sole ad essere fisso e la Terra ad orbitarvi seguendo cicli periodici), con tutti gli effetti che da essa derivarono per la filosofia e la fede cristiana.
Era infatti convinzione comune, sin dai tempi di Platone e di Aristotele, che fra la Terra ed il cielo esistesse una differenza fondamentale di natura metafisica: la Terra è il luogo delle impurità e dei peccati, mentre il cielo è il regno della perfezione. Convinzione ovviamente rafforzata dai dogmi religiosi del cristianesimo.
Si era cioè formata una forma mentis che adesso, con l’eliocentrismo, veniva brutalmente scardinata, perché grazie a Copernico tra i corpi celesti (cioè i pianeti) e le stelle del cielo non c’è più una differente dignità: rispondono entrambi alle stesse identiche leggi fisiche.
Ciò comportava, per l’epoca, una sostanziale deteologizzazione della natura, ovvero una sua liberazione dalle superstizioni secolari e dalle credenze religiose.
Inoltre in questa epoca storica si verificarono altri cambiamenti sostanziali che dispiegarono inevitabilmente i loro effetti nel pensiero filosofico: la crisi delle società feudali e la nascita di nuove fiorenti città (fino ad arrivare più tardi alla creazione di vere e proprie nazioni in conseguenza dei crescenti sentimenti di unità nazionale dei diversi popoli), la riscoperta dell’economia basata sulla moneta e sul commercio e, non per ultima, l’ascesa di una nuovissima classe sociale: la borghesia.
Tommaso Moro (leggi tutto …)
Fu un utopista (utopia significa “in nessun luogo” e indica una società perfetta e irrealizzabile) perché cercò di dare forma, nella sua opera “Utopia”, ad una società perfetta, spiegandone il funzionamento.
Essa è organizzata in modo fortemente centralizzato ed al suo interno vige la libertà religiosa, l’uguaglianza dei sessi e la democrazia rappresentativa. Inoltre, nella società utopistica di Moro, è del tutto assente la proprietà privata ed anche ciò contribuì a rendere di fatto questa fittizia comunità una sorta di primitiva forma di comunismo, sicuramente lontana dalle concezioni medievali.
L’utopia di Moro è il primo embrione di una teoria laica della politica e di un modo di pensare più empirico e scientifico, che ebbe il merito di discostarsi notevolmente dal modo di pensare della Chiesa. Ma solo con la Riforma protestante si posero delle consistenti barriere alle capacità e possibilità della Chiesa di controllare le idee degli uomini e quindi il comportamento della “massa” e delle nascenti nazioni.
Naturalmente anche la Riforma protestante (con ciò intendendosi la serrata critica verso la Chiesa ad opera di alcune “parti” di essa) contribuì notevolmente ai cambiamenti che si stavano delineando rispetto al Medioevo. Con la Riforma si inasprirono e vennero a galla quelle che erano le tendenze di fondo all’interno della Chiesa, sino ad allora rimaste nascoste: la forte richiesta per un radicale rinnovamento della Chiesa, l’aspirazione di molti ad essere liberi dai rigidi vincoli imposti dalle autorità ecclesiastiche e, in ultima istanza, l’ambizione di alcune classi sociali, sia urbane che rurali, a ricoprire un ruolo politico di rilievo nell’ambito delle nuove città che si stavano formando (se non proprio degli Stati nazionali, i cui embrioni erano già visibili) sulle ceneri del feudalesimo medievale.
Stava nascendo anche, sempre in conseguenza della Riforma in atto, la nuova “logica” politica del Contrattualismo, per spiegare il rapporto tra Stato e cittadini, secondo la quale il potere del sovrano nasce da un “contratto” tra popolo e governo, con cui i cittadini autolimitano i loro diritti a favore del sovrano, in contropartita della protezione che questi accorda loro per la tutela di alcuni diritti fondamentali (c.d. “naturali”) ed inalienabili, come ad es. il diritto alla libertà, alla civile convivenza e, più tardi, anche alla protezione della proprietà privata, ecc.
Sono diritti naturali che, in quanto tali, non possono essere violati o limitati dal diritto positivo, ovvero da leggi scritte. Questi diritti formavano l’oggetto del giusnaturalismo, cioè di una nuova formulazione giuridica che con il tempo diventa sempre più importante, perché fissa – per la prima volta – dei limiti invalicabili (quelli appunto dei diritti inalienabili dell’uomo) al potere dispotico dei sovrani ed all’assolutismo dei governi.
Francis Bacon, detto Francesco Bacone (leggi tutto …)
Bacon può essere definito il “filosofo praticone”, perché la sua riflessione filosofica mira alla scoperta di idee che siano utili, pratiche, ed infatti anche la sua celebre affermazione “sapere è potere” si riferisce ad un sapere pratico.
Convinto che la conoscenza derivante dalla scolastica medievale fosse un insegnamento “degenerato”, Bacon cercò di rompere con il passato e la sua opera di modernizzazione della conoscenza contribuì a vivacizzare la generale stagnazione degli studi filosofici, retaggio del periodo medievale.
In effetti il suo più grande merito è stato quello di segnare il passaggio dal vecchio metodo di pensare ad un nuovo tipo di sapere, più moderno e scientifico.
La ricerca del sapere di Bacon era fondata soprattutto sull’osservazione e la sperimentazione: egli affermava che il metodo scientifico e la conoscenza “sono gli strumenti per incrementare il patrimonio dell’uomo”. La sua filosofia era di fatto prettamente materialistica, tant’è che Bacon voleva creare un nuovo indirizzo di pensiero che si ricollegasse a Democrito, svincolandosi così dalle tradizioni dominanti: l’aristotelica e la platonica.
Aveva infatti grandi ambizioni riguardo la conoscenza, che possono sintetizzarsi nella sua enunciazione dell’obiettivo di “ricostruire totalmente le scienze, le arti e l’intero sapere umano”, ma nella sostanza il suo sospirato nuovo metodo di acquisizione del sapere si riduceva semplicemente a continue sperimentazioni. Queste ultime rappresentano sicuramente una via moderna verso la conoscenza scientifica, ma gli esperimenti hanno successo se si parte da un’ipotesi, la quale invece era spesso assente nelle elaborazioni di Bacon.
E’ anche l’età delle grandi scoperte scientifiche, con Copernico, Galilei e Keplero per esempio, tant’è che il Rinascimento è giustamente considerato il momento di nascita del pensiero scientifico moderno e del metodo sperimentale nella ricerca.
Peraltro in questi secoli si assiste, tra gli scienziati, ad uno strano accostamento tra scienza, astrologia e magia, che adesso fa sorridere ma allora evidentemente aveva un suo significato (di cui bisogna tenere conto nello studio delle opere di questi grandi uomini) se si ritrovano tali intrecci fra temi razionali ed irrazionali in tutti i più famosi pensatori scientifici del periodo, fino ad arrivare addirittura a Newton. Gli studiosi moderni del Novecento hanno semplificato la questione semplicemente ignorando le opere degli scienziati rinascimentali che avevano a che fare con argomenti tipo magia ed astrologia, ma non è il giusto modo di procedere in una ricerca scientifica, perché bisogna considerare – negli studi di un personaggio – tutte le sue opere, anche quelle che ora (con le conoscenze moderne) fanno sorridere.
Ma come entra la filosofia in questo periodo di grandi cambiamenti e rinnovamenti? Vi entra in modo fortemente disomogeneo, come si ci poteva aspettare a causa delle diversissime ventate di rinnovamento che caratterizzarono l’epoca umanistico-rinascimentale.
La filosofia di questo periodo è infatti caratterizzata da una molteplicità di orientamenti e dalla conseguente difficoltà a trovare un filo conduttore tra le diverse posizioni dei pensatori rinascimentali.
In sostanza ciascun filosofo ha espresso temi e concetti propri, spesso molto differenti da quelli degli altri, anche se è ravvisabile un orientamento di fondo, ovvero il recupero delle idee della tradizione classica (greca) eseguito però con elaborazioni e metodologie del tutto inedite rispetto al passato. Vengono cioè riproposti i concetti filosofici degli antichi greci rielaborati con metodi nuovi e, soprattutto, allo scopo di esporre e spiegare contenuti ed intenti moderni. Vecchi argomenti sono utilizzati con nuove vesti e – più importante – per nuove finalità. Pure la terminologia della tradizione classica viene ora usata con un significato differente.
In tale diversità di orientamenti, solo alcuni pensatori rinascimentali hanno cercato di creare sistemi filosofici che in qualche modo facessero da cornice unitaria alle disparatissime idee dell’epoca: per esempio Telesio, Bruno e l’utopista Campanella.
Forse è utile dividere questo periodo storico in due sotto-periodi, come hanno fatto alcuni studiosi:
- un primo periodo detto in senso lato umanistico, che va dal 1450 al 150, in cui si collocano (1) i recuperi delle filosofie antiche e la loro espressione in termini moderni, (2) i conflitti religiosi che culminano nella Riforma protestante, con tutte le sue conseguenze, e, come abbiamo accennato, (3) gli stretti rapporti tra ricerca scientifica, magia ed astrologia
- un periodo successivo che va fino al 1650, chiamato del naturalismo in filosofia e nelle scienze, nel quale rientrano (1) la definizione di un metodo nella ricerca scientifica ed in filosofia, (2) l’innovativo (e moderno) sistema filosofico cartesiano, (3) il nuovo pensiero politico di stampo giusnaturalistico e (4) la rivoluzione scientifica, che giunge fino a Newton
In questo articolato contesto storico Cusano elaborò una filosofia cristiana di nuova concezione, rispolverando argomenti neoplatonici ed in particolare la teologia negativa di Plotino (ricordate? “dell’Uno si può dire solo ciò che non è, altrimenti lo si limita”).
Niccolò Cusano (leggi tutto …)
Secondo Cusano si può conoscere in 2 modi:
- con la ragione
- con l’intelletto
ma nessuno dei due porta ad una conoscenza “vera e precisa”.
La conoscenza di ragione è quella per la quale si passa da un concetto all’altro, attraverso un numero finito di operazioni mentali e con il costante riferimento ad un’unità di misura. Quest’ultima può sempre essere scelta in maniera più precisa (perfezionata) e quindi la conoscenza di ragione è sempre perfettibile.
La conoscenza di intelletto permette invece di comprendere il concetto di infinito, mediante un’intuizione intellettiva, vera ma non precisa. Nell’infinità l’intelletto percepisce la “coincidenza degli opposti”, cioè l’unità della conoscenza anche di elementi contrapposti tra loro. Questo principio della coincidenza pone al culmine della conoscenza la “dotta ignoranza”, ovvero il sapere di non sapere.
Per Cusano l’uomo è lo scopo dell’intera creazione. Egli è in grado di raggiungere la perfezione naturale, chiamata filiatio Dei (discendenza di Dio) o deificazione.
E’ possibile conoscere Dio i 2 modi diversi:
- mediante la teologia negativa, che ci dice cosa Dio non è
- mediante la teologia positiva, per la quale Dio si manifesta nell’infinità della creazione
Esiste invero, secondo Cusano, una terza via per conoscere Dio: la parola di Cristo, che afferma la realtà di tutta la natura creata e per la quale è necessario tendere verso la perfezione divina di Cristo. Cosa possibile favorendo la teologia del dialogo tra gli uomini.
Perché Cusano parla di teologia negativa? Perché secondo questo filosofo rinascimentale dare a Dio, unità assoluta ed infinita, un qualsiasi valore positivo significherebbe attribuirgli una qualità del mondo materiale e finito, caratterizzato da cose materiali e molteplici ed in cui vale l’intelletto umano, mentre Dio è l’unità primaria (l’Uno di Plotino) in cui tutte le cose vi confluiscono e vi coincidono.
Ancora una volta quindi viene utilizzato un tema vecchio ma per scopi nuovi: non più il concetto aristotelico dell’intelletto, ovvero del finito, bensì il concetto di infinito di Cusano, quale stimolo per gli uomini al progresso ed all’ampliamento della conoscenza in tutti i campi.
Anche in Cartesio c’è l’uso di un vecchio tema, molto caro ai filosofi medievali: l’argomento ontologico. Infatti, nella celebre affermazione di Cartesio “io penso quindi esisto” (che rivoluzionerà notevolmente la filosofia successiva, tanto da far considerare Cartesio il filosofo di svolta tra l’antico ed il moderno), giunta proprio nel momento in cui l’individuo rinascimentale acquista consapevolezza delle sue numerose possibilità, c’è l’evidente riproposizione del principio ontologico di Anselmo d’Aosta sull’esistenza di Dio, laddove Cartesio prosegue dicendo: “se esisto io esiste anche Dio”.
Questa dimostrazione di Dio (che secondo Cartesio era basata sulla razionalità del procedimento deduttivo – come l’io penso quindi esisto –, ma che in realtà rappresentava, ancora una volta, un atto di fede) era necessaria a Cartesio per dimostrare l’esistenza della realtà e la conoscibilità della natura.
Cartesio ha “inventato” una filosofia che, facendo tesoro delle sue competenze di matematica, procede per dimostrazioni: parte da un concetto assodato (quello che in matematica si chiama “postulato”) e poi prosegue per concetti “verificati”, passando da una dimostrazione (un concetto) ad un’altra (un nuovo concetto) basata su quella precedente, secondo un procedimento noto in matematica come “analitico-deduttivo”. Tutto il sistema del cogito cartesiano non è altro che un’applicazione del suddetto processo matematico.
René Descartes, detto Cartesio (leggi tutto …)
Cartesio è stato il filosofo di svolta nella storia della filosofia, quello che ha segnato il passaggio da una filosofia considerata “antica” ad una filosofia di concezione moderna, tant’è che egli è chiamato il “padre della filosofia moderna”.
E’ stato anche un famoso matematico (gli assi cartesiani portano il suo nome) ed infatti il metodo matematico lo ritroviamo in tutto il suo pensiero filosofico.
Perfino la sua affermazione più nota, il celebre concetto “penso quindi sono”, ovvero il cogito cartesiano che tanto successo ha avuto e non solo tra i filosofi, è sicuramente frutto del metodo matematico: infatti, mediante la dimostrazione per deduzione, Cartesio parte da un postulato, considerato vero in quanto evidente, per giungere alla conclusione finale tramite dimostrazioni successive (in questo caso di tipo logico-razionali e non matematiche), nelle quali la dimostrazione di ciascuna – o meglio la constatazione per essa di idee chiare e distinte – apre la strada alla seguente.
Per la precisione il ragionamento razionalista di Cartesio – che ne ha fatto uno dei più noti esponenti del razionalismo, corrente filosofica contrapposta a quella dei filosofi empiristi – è stato il seguente (ragionamento sul c.d. “dubbio cartesiano” che secondo la tradizione è avvenuto tutto in una giornata, passata per intero da Cartesio vicino ad una stufa per riscaldarsi dal freddo):
“Non posso accettare niente per vero del mondo e della natura, neanche ciò che è stato affermato dai filosofi precedenti, perché i sensi ingannano e potrebbero ingannare anche me – completo scetticismo di Cartesio – e quindi devo rimettere tutto in discussione. Però ho bisogno di qualche certezza per ricostruire un solido sistema del sapere, certezza verso principi razionali che può provenire solo dalla propria ragione, dalla propria mente.
Se dubito di tutto, allora almeno una certezza ce l’ho: che dubito di tutto. Ma se ho questa certezza circa i miei dubbi, significa che sto pensando e se penso significa che io, essere pensante, esisto realmente, altrimenti non potrei pensare, e se esisto io esiste anche Dio”.
Cioè Cartesio giunge alle sue conclusioni attraverso il susseguirsi di idee chiare e distinte (o dimostrazioni, per usare il linguaggio matematico).
L’ultimo passaggio sull’esistenza di Dio, invero, non è frutto di una conseguenza razionale dell’elaborazione concettuale di Cartesio, bensì una forzatura, in cui – se vogliamo dirla tutta – rivive di fatto l’atto di fede (e non di ragione) della prova ontologica di Anselmo d’Aosta. Cartesio fu costretto ad introdurre la dimostrazione dell’esistenza di Dio – secondo lui effetto dell’esistenza dell’essere pensante – perché si era reso conto che la sua ricostruzione aveva dimostrato solo l’idea di una cosa pensante, ma non aveva detto niente sul mondo esterno e sulla natura. Per arrivare a quest’ultima conseguenza dovette allungare la sua riflessione, dimostrando – con un atto di fede e non di ragione – l’esistenza di Dio e quindi di tutte le cose.
Comunque sia il cogito cartesiano del “penso dunque sono” ebbe molto successo e fu ripreso da molti pensatori.
Cartesio, in forza della sua dimostrazione dell’esistenza umana partendo dal dubbio, arrivò ad affermare che l’essenza dell’Essere fosse il Pensiero e che la mente fosse separata dal corpo. Questa distinzione tra Pensiero ed Estensione – detta il “dualismo di Cartesio” – è presente in tutte le riflessioni del filosofo. Tuttavia se mente e corpo sono separati, com’è possibile che essi lavorano insieme in un accordo apparentemente perfetto? A questa osservazione Cartesio risponde facendo l’esempio degli “orologi”: mente e corpo operano come due orologi perfettamente sincronizzati.
Quanto detto sul concetto del “dubbio cartesiano” è stato scritto da Cartesio nella sua più grande opera: “Discorso sul metodo”.
Una curiosità: quando si pensa a Cartesio viene subito in mente il famoso motto in latino cogito ergo sum (penso dunque sono), riassuntivo del suo pensiero. In realtà lui non scrisse mai questa frase in latino, perché il “Discorso sul metodo” fu scritto da Cartesio nella sua lingua, il francese. Ciò per lo stesso motivo per cui Dante scrisse la Divina Commedia in volgare, cioè per raggiungere un numero di persone il più elevato possibile (in pochi infatti conoscevano il latino), ovvero, come si direbbe oggi, per avere più audience. Pertanto egli non scrisse mai cogito ergo sum, come affermano testi anche autorevoli, bensì il più prosaico je pense, donc je suis.
L’opera di Cartesio “Discorso sul metodo” è divisa in 6 parti. Riportiamo di seguito il suo contenuto in modo sintetico stante l’enorme influenza che essa ha avuto sul pensiero folosofico moderno.
I parte
Vi sono descritte alcune opinioni di Cartesio sulla filosofia e sulla matematica. Inoltre il filosofo fa in questo capitolo un bagno d’umiltà sulle sue conoscenze.
II parte
Nel secondo capitolo ci sono le sue celebri 4 regole sul metodo di pensiero:
1) sono vere solo le cose chiare e distinte
2) è opportuno separare le cose complesse per giungere a quelle semplici
3) conviene ordinare le cose da quelle semplici a quelle via via più complesse
4) bisogna enumerare le cose per averle in successione e non dimenticare niente
E’ anche descritta la concatenazione di ragioni per intuito e deduzione, in cui:
- intuito = cose chiare e distinte
- deduzione = via via le altre cose per distinti atti intuitivi
III parte
C’è la morale provvisoria (riscritta ex novo per paura di possibili censure da parte delle autorità civili e religiose: erano ancora forti le ripercussioni del processo a Galilei), distinta in 3 regole:
1) rispettare le leggi e le regole della Chiesa
2) anche se c’è incertezza sul da farsi bisogna essere decisi
3) non cercare di cambiare il mondo, ma il proprio pensiero
IV parte
In questo capitolo compare il pensiero fondamentale di Cartesio, ovvero il suo cogito. Lo riportiamo in modo schematico.
esistenza dell’anima (immateriale e immortale) e di Dio |
|
Dubbio |
perché il corpo sbaglia |
↓ |
perché sbagliano tutti e quindi anch’io posso sbagliare |
perché anche nei sogni ci sono delle sensazioni che sembrano vere | |
per il principio supremo teologico: l’uomo è fatto per ingannarsi | |
Penso |
= esisto ho un’anima, uno spirito, res cogitans |
↓ |
res estese |
con la ragione posso pensare altre cose che sono vere se non ho dubbi e le percepisco chiare e distinte (criterio della verità) | |
Dio esiste |
perché io sono imperfetto ma ho l’idea di un Essere perfetto |
perché se avessi creato me stesso mi sarei fatto perfetto | |
perché l’idea di Dio ne implica l’esistenza (principio ontologico) |
V parte
In questo capitolo Cartesio descrive la medicina utilizzando l’esempio della macchina, ciò al fine di dimostrare la differenza tra l’uomo e gli animali, contrariamente ad alcune correnti di pensiero del periodo per le quali tale differenza non c’era.
VI parte
Nell’ultimo capitolo sono riportate delle considerazioni sull’importanza di una scienza pratica (come per Bacone) che migliori la vita umana: la medicina.
La filosofia di Cartesio è detta dell’ “idealismo soggettivo”, perché per Cartesio l’idea è un prodotto dell’individuo (una “visione della mente” diceva il filosofo), diversamente da ciò che affermava la dottrina platonica per la quale l’idea aveva un’esistenza in sé, a prescindere dall’individuo, costituita da una realtà non fisica bensì metafisica.
Questa elaborazione filosofica di Cartesio è molto vicina al solipsismo, ovvero alla dottrina “estrema” secondo cui l’unica realtà esistente è l’io pensante, ma Cartesio non è mai stato un solipsista, come dimostra il fatto che abbia voluto, sia pur forzatamente, dimostrare l’esistenza della realtà del mondo e della natura attraverso la dimostrazione dell’esistenza di Dio
Il Rinascimento si conclude male: con grandi devastazioni per effetto di guerre molto crudeli (ad es. quella dei Trent’anni) e con l’inasprimento della violenza e dei fanatismi religiosi.
Sarà questa situazione a spingere i filosofi del periodo successivo (quello che abbiamo chiamato dell’Illuminismo o epoca della borghesia) a considerare la filosofia qualcosa di pratico, di non avulso dal contesto politico nel quale essi vivevano, e quindi a partecipare personalmente alla vita politica del loro Stato di appartenenza, proponendo pure ricette politiche in grado – secondo loro – di evitare la ricaduta della società nella brutalità (nel c.d. Stato primitivo).
Salve,
potrei inserire questo argomento nel mio blog, ovviamente riportando il nome dell’autore e il vostro sito?
Il titolo del blog è
diversamentegiovanisempreprotagonisti.blogspot.com/
Grazie in anticipo.
Autorizzato. Mi raccomando con il link al sito Studiamo.it Grazie
Efficace per chi si accosta alla materia!
Verrà pubblicato anche la parte sulla filosofia del ‘900 e contemporanea?
Prossimamente su questi schermi.
Per me che non mi sono mai accostata alla filosofia è stata una spiegazione illuminante e chiarissima. Complimenti e grazie per aver salvato una neo-studentessa!