Atlante geopolitico

da | 20 Ott 2004 | Geopolitica | 1 commento

Africa sub-sahariana

La difficile riscoperta di un continente

La storia africana del Novecento è caratterizzata da due momenti fondamentali: il colonialismo e la fase della decolonizzazione e dell’indipendenza.

Il continente africano è stato oggetto di numerosi studi a partire dalle carte geografiche, che in principio riuscivano a descrivere con precisione le coste del continente ma non, con identica precisione, le regioni e le popolazioni dell’interno. Verso la metà del novecento con le indipendenze della quasi totalità delle colonie africane si ha la riscoperta del continente e cioè il suo formale inserimento nel mondo moderno.

A questo punto la sfida principale sembra quella di sottrarre l’Africa alla sua “diversità” perché fortemente legata ai valori tradizionali considerati l’ostacolo principale ai processi di sviluppo. Non che la modernità in Africa non esiste, anzi con le colonie sono state esportate molte forme di modernità in vari settori, soltanto che lo sviluppo è molto diseguale e si concentra maggiormente sull’estrazione delle risorse, di cui l’Africa è piena. La decolonizzazione ha significato, per questo continente, non solo l’accesso alla libertà politica, ma anche la rivendicazione di dignità dei cittadini per popolazioni fino ad allora relegate a subire la condizione di sudditi. Con la presenza delle colonie si è cercato di impiantare in Africa un modello di sviluppo economico e politico basato sui modelli occidentali. Questo processo si è rivelato più complicato del previsto perché questo continente non aveva né le premesse né le strutture di base, e perchè le colonie non avevano fondato la ricostruzione sulla libertà ma sulla sottomissione delle forze politiche ed economiche.

Quindi la diversità dell’Africa non consiste nella sua resistenza tradizionale alla modernità ma nelle forme subordinate e diseguali con cui la tradizione è stata modellata e strumentalizzata, nelle forme di sfruttamento economico lasciate dal colonialismo, dall’estrema disparità nell’accesso ai mercati e alle risorse della modernità fra le diverse regioni di uno stesso paese.

L’intreccio sub-sahariano: pluralità culturale e mobilità demografica

Nel continente africano la presenza di svariate religioni ha creato non pochi problemi.

Per tutto il continente c’è la presenza dell’Islamismo, del Cristianesimo e di vari culti tradizionali che nonostante siano in minoranza resistono alla diffusione delle maggiori religioni.

La presenza del Cristianesimo in Africa risale ai primi secoli della cristianità, ed ha coinvolto le coste settentrionali dell’Egitto e l’altopiano etiopico. La comparsa dell’Islam ha arrestato la diffusione del Cristianesimo. Nel XV secolo, in seguito alla penetrazione commerciale europea, il Cristianesimo si diffonde nell’Africa Sub-sahariana, interessando le zone costiere almeno fino al XIX secolo, quando anche le aree più interne furono coinvolte dall’evangelizzazione cristiana. I diversi regimi coloniali hanno in genere teso a favorire le missioni cristiane dei Paesi di origine.

Il Cristianesimo ha svolto un duplice ruolo, da una parte è stato forza di indipendenza grazie al ruolo svolto nella diffusione dell’istruzione ma nello stesso tempo ha contribuito al rifiuto delle culture locali.

La presenza dell’Islam si è invece diffusa al seguito dei rifugiati musulmani provenienti dalla penisola arabica, a seguito delle guerre di conquista lanciate dai seguaci di Maometto. In questa fase, l’Islam si è affermato nel Nord-Africa, portando più in generale all’arabizzazione culturale di quest’area, nonchè dell’Africa Orientale.

Quindi come si può ben notare oggi in Africa la religione ricopre un ruolo importante quale fattore di cambiamento politico, ma, allo stesso tempo, resta una fonte di tensione.

Oltre che al fattore religioso si può far riferimento anche al contesto linguistico come diversità dei popoli di uno stesso continente. Infatti nel territorio africano sono presenti ben 2000 lingue, che per semplificare si possono dividere in tre grandi gruppi: afro-asiatiche, nilo-sahariane, niger-congolesi.

Quindi l’analisi culturale permette di capire come molte diversità si celano proprio dietro le divisioni etniche, comprendendo le religioni e le lingue, delle popolazioni africane; per questo molti colonizzatori cercarono di unire etnie diverse senza creare risultati soddisfacenti.

Un ulteriore fenomeno è quello dei movimenti di popolazione. Essi sono causati da molteplici motivi: la ricerca di migliori opportunità lavorative, la necessità di raggiungere servizi e infrastrutture, lo svolgimento di attività commerciali, la fuga da catastrofi naturali, da conflitti e dalle ricorrenti crisi politiche.

Il quadro politico-istituzionale:conflitti regionali e transizione bloccata

Uno dei grandi problemi del continente oggi è l’elevata conflittualità, alimentata da fattori di diversa natura, e caratterizzata sovente dalla presenza di scontri armati di respiro regionale. Il regionalismo è qui inteso come creazione di raggruppamenti regionali tra Stati, ed affonda le sue radici nel periodo coloniale nell’Africa Sub-sahariana.

Con la fine della colonizzazione in molti paesi si è cercato di instaurare dei sistemi democratici con forme di governo molto simili, spesso uguali, ai sistemi dei paesi colonizzatori. Questo processo democratico è stato definito come la seconda indipendenza africana. Il tentativo è stato quello di coniugare mercato e democrazia. Quindi ci si chiede se i paesi africani siano in grado di mantenere in vita un sistema democratico; infatti c’è una parte che ritiene che la debolezza strutturale di questo continente non le permette di competere sul libero mercato globalizzato, e un’altra che ritiene che il problema risieda essenzialmente nella sua natura “patrimonialista” (ossia di una gestione delle risorse su base personalizzata, mirante a garantire la legittimità di chi è al potere attraverso la ridistribuzione delle risorse ai propri sostenitori) dei suoi sistemi politici, che impediscono, quindi, la formazione di Stati democratici.

Al momento dell’indipendenza gli stati africani hanno ricalcato le orme delle metropoli coloniali: i paesi francofoni, per esempio, optarono per un regime presidenziale. Camerun, Madagascar, Mali e Ciad hanno adottato sistemi parlamentari e successivamente presidenziali e/o militari. Mentre le ex colonie inglesi adottarono il sistema parlamentare anglosassone, con l’eccezione di Nigeria ed Uganda, che si costituirono in Stati federali.

Ciò che era iniziato, nel giro di pochi anni andò cambiando perchè si incominciò a diffondere il modello del partito unico ritenuto indispensabile al rafforzamento dell’unità nazionale. In tali sistemi politici si ridusse lo spazio del dibattito democratico e del pluralismo politico. Le tensioni interne soprattutto nei momenti di massima destabilizzazione degli anni settanta ed ottanta si risolsero mediante colpi di stato militari per poi consegnare alle autorità civili una nazione docile. Tutti questi elementi come la repressione democratica, la disuguaglianza nella distribuzione delle risorse e della ricchezza, la corruzione dilagante, hanno prodotto forti pressioni interne di natura politica e sindacale. Così all’interno degli stati si è creata quella parte di popolazione che rifiuta le forme del libero mercato considerate indispensabili per la transizione verso sistemi di democrazia liberale.

Assistenza allo sviluppo e marginalizzazione economica

Il continente africano resta un paese fortemente legato al ruolo di produttore di materie prime, agricole e minerarie, di cui però non controlla in nessun modo i mercati. L’industrializzazione è bloccata e le produzioni agricole alimentari hanno subito le devastazioni di cicli climatici estremamente sfavorevoli. I problemi odierni nel settore agricolo sono noti: carestie, degrado ambientale, difficoltà nella produzione di beni alimentari necessari alla sussistenza, crisi dei settori per l’esportazione. Basta notare che circa 2/3 della popolazione africana è legata alle attività agricole e pastorali o vive in aree rurali.

Trai settori di esportazione riconosciamo importanza anche a quello minerario. Il sottosuolo africano è caratterizzato da una concentrazione di risorse minerarie che lo rendono una delle aree più ricche del mondo. La presenza delle multinazionali è spesso dannosa, in quanto queste tendono a controllare gran parte dei mercati. Questo patrimonio minerario non è servito al continente africano per la ricchezza della propria popolazione a causa di investimenti esterni che producono in un territorio dove la manodopera costa meno e dove c’è la possibilità di sfruttare le zone minerarie senza legislazioni contrarie.

Il caso dei servizi sanitari non è ovviamente da escludere perché in Africa non ci sono servizi sanitari a sufficienza da ricoprire la popolazione dell’intero territorio, e poi i costi per le cure sono spesso troppo alti per essere sostenuti. Quindi si sviluppano e si diffondono malattie, la più diffusa è senz’altro l’AIDS.

Un altro fattore importante e l’istruzione. Anche l’istruzione non è molto diffusa benché siano aumentate le percentuali di alfabetizzazione nei vari paesi. C’è molto divario nella scolarizzazione soprattutto nei sessi. Un elemento in grado di influenzare il processo di scolarizzazione è quello dei comportamenti delle famiglie. Ostacoli socio-culturali quali l’inferiore scolarizzazione delle bambine, il lavoro infantile sia domestico che commerciale.

Le reti dei trasporti e delle comunicazioni

La rete di trasporti e comunicazioni dell’Africa è il risultato del processo di penetrazione commerciale e successivamente coloniale. La rete ferroviaria rispondeva alle necessità commerciali dei regimi coloniali, all’affermazione del controllo su una determinata regione, al trasporto di materie prime dalle regioni minerarie, ma rivestì comunque un grande significato per un continente come l’Africa, caratterizzato da una densità di popolazione relativamente bassa e con elevata dispersione delle risorse. La mappa delle principali vie di comunicazione, stradali e ferroviarie, riflette in generale la struttura fisica e demografica del paese, dove la penetrazione verso l’interno soffriva della presenza di ostacoli fisici e della bassa densità abitativa, ma soprattutto si legava agli interessi economici coloniali. Si nota ancora oggi la diffusa rete di trasporto che va dai maggiori centri di produzione fino ai porti.

La presenza di altri mezzi di comunicazione come giornali, radio e televisione ha invece avuto un impatto importante sulla popolazione. I giornali si diffondono nel XIX secolo, prima tramite le testate delle colonie e poi con riviste locali. Ma comunque il forte limite della stampa era dato dall’alto tasso di analfabetizzazione del continente. Ma questa mancanza è stata in parte colmata dalla diffusione soprattutto della radio, e poi della televisione e di altre tecnologie come i cellulari o internet (anche se raramente presenti). Inoltre bisogna tener conto del fattore clima molto determinante in questo continente, perché almeno il 70% della popolazione vive di agricoltura o di pastorizia. In particolare il clima che essendo per la maggior parte dell’anno arido presenta un fattore limitante alle potenzialità delle foreste in Africa: l’aridità e la siccità logora le foreste che una volta distrutte non riescono ad attuare i processi di ri-vegetazione e di ri-forestazione naturale, tra

mite la sempre più frequente combinazione fuoco-siccità. Inoltre l’erosione superficiale delle terre prive di vegetazione provoca una perdita di suolo che è il maggiore fattore limitante per l’azione di ri-forestazione.

Al clima si aggiunte la pressante crescita demografica, infatti la maggior parte delle foreste risentono dell’azione dell’uomo, il quale è costretto a tagliare la legna per costruire i campi per il raccolto, utilizzare il legno per le tecniche agricole o semplicemente per il fuoco.

L’africa sub-sahariana negli anni novanta

Aggiustamenti strutturali e cambiamenti politici

Gli anni novanta si caratterizzano per due grandi processi: il primo, le riforme economiche che mirano a liberalizzare un sistema economico fortemente controllato dallo stato; il secondo, politico, ossia i processi di democratizzazione e la conseguente transizione verso sistemi multipartitici.

Il continente africano è sempre dipeso fortemente dalle politiche di organizzazioni internazionali, quindi da fonti esterne, soprattutto per quanto riguarda le materie economiche e politiche. Quando si pensò ai due processi per la ricostruzione strutturale del paese, sembrò che la prima ventata di un certo, “Rinascimento Africano”, poteva esserci. Ma in breve tempo alcuni leader statalisti tornarono la potere frenando il cambiamento e distribuendo le risorse in maniera ineguale.

La difficile situazione politica ed economica si è in molti casi, tradotta in conflitti. Non si tratta, tuttavia, di guerre che stanno regredendo a forme primitive dipendenti dal crollo dello Stato e che conseguentemente determinano violenze tribali e forme di banditismo.

Le lacerazioni all’interno degli Stati tendono, non a sradicare lo Stato post-coloniale, ma ad appropriarsene per raggiungere particolari obbiettivi: quindi lo Stato non è la vittima, quanto il luogo in cui si ridefiniscono nuovi rapporti sociali.

Un punto cardine per assicurare la transizione politica è oggi quello di riconoscere i diritti di cittadinanza: i diritti politici hanno scarso rilievo in un contesto in cui la maggioranza della popolazione non ha, a causa della povertà, alcuna possibilità reale di esercitarli.

La Nigeria: potenza regionale e debolezza democratica

La Nigeria all’interno del continente africano è senza dubbio lo Stato più ricco, per quanto riguarda le risorse naturali ed umane, ma il suo quadro politico, economico e sociale è contraddistinto da instabilità, povertà e conflitti.

Il Paese appare fortemente orientato verso un sistema civile, dopo anni di regimi militari, ma pressato da instabilità economica, da una forte dipendenza delle entrate governative dall’estrazione del petrolio, da un forte indebitamento con l’estero ed inoltre da una tensione continua tra governo centrale e stati federali oltre che dalla repressione sociale.

Il territorio è diviso in federazioni a causa delle diverse etnie e minoranze presenti nel paese. Inoltre il paese è diviso tra Nord, meno avanzato e meno propenso agli agganci con l’Occidente, e Sud più dinamico dal punto di vista economico e culturale.

La storia politico-istituzionale della Nigeria è passata per venti anni di governo militare, dove ha sofferto un progressivo logoramento delle libertà politiche e civili, oscillando sul baratro dell’anarchia, con militari sempre tesi al mantenimento delle proprie prerogative e del proprio potere, anche una volta restituito il governo ai civili.

Le differenziazioni sociali hanno causato molti problemi sia di natura religiosa che etnico-regionale: i due livelli spesso si sovrappongono dando origine a confronti, per l’affermazione delle proprie istante, fra gruppi diversi che si traducono in episodi di violenza.

Profonda crisi nella regione dei Grandi Laghi

La profonda crisi che, da circa un decennio, ha colpito la regione dei Grandi Laghi, ha provocato una serie di conflitti che hanno coinvolto direttamente 7 Nazioni africane, numerosi gruppi congolesi e dei paesi confinanti, bande armate locali o trans-nazionali. Conflitti che uniscono a elementi di una guerra tradizionale d’invasione e occupazione del territorio congolese, da parte di truppe straniere, elementi di un conflitto “a bassa intensità” cioè di attacchi continui di piccole bande armate o di gruppi ribelli, di cui le sole vittime sono le popolazioni civili.

Da ricordare il genocidio in Ruanda del 1994 a causa di gruppi estremisti che si opponevano al regime in vigore.

Questo ha provocato la distruzione delle infrastrutture e delle realtà produttive, la crisi economica e il degrado sociale, e ha acutizzato le tensioni fra le popolazioni locali, provocate dalle rivalità sui diritti d’accesso alla terra e sulla questione della legge sulla nazionalità.

Nel 1996 si costituisce l’Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione del Congo che unisce eserciti stranieri, milizie locali e oppositori politici.

Per la democratizzazione del paese viene scelto Kabila il quale però non rispetta i viene e delude la popolazione. Kabila viene assassinato in circostante misteriose e viene sosituito dal figlio Joseph. Oggi lo stato è diviso in tre sovranità militari.

Si tratta di una spartizione che garantisce lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie ed energetiche congolesi ai vari attori locali e regionali, che ha determinato il radicarsi, in Congo, di reti mafiose internazionali e potenziali sacche di terrorismi armati.

Nel febbraio del 2002, si è avviato un tentativo di dialogo fra gli attori politici armati e non armati, impegnati nel conflitto, che ha portato in aprile, in Sudafrica, alla firma di un nuovo accordo che dovrebbe consentire la formazione di un governo transitorio di unità nazionale e la cessazione delle ostilità. Tuttavia, poiché l’accordo non è stato firmato da tutti i contendenti, le incertezze sul futuro del conflitto permangono.

Il quadro regionale nel Corno d’Africa

Il Corno d’Africa ha vissuto, a sua volta, in maniera drammatica il periodo posto-coloniale, devastato da guerre, teatro di rivalità locali e internazionali che ne hanno minato le strutture economiche e sociali. Oggi i conflitti si collocano in una cornice che vede, da un lato, la ridefinizione del rapporto con gli Stati Uniti e la conferma del Corno come area-ponte verso il Medio Oriente e in genere il mondo islamico e, dall’altro, i tentativi di risolvere la crisi che lo stato post-coloniale deve affrontare nella regione.

Nel territorio del Corno d’Africa ci sono molti Stati c.d. “strategici”, tra questi il Sudan che ha stretti rapporti con la Francia perché quest’ultima deve garantirsi dagli Stati Uniti, per tre ragioni: il petrolio, la sua posizione strategica nell’area, ma soprattutto per i movimenti islamici sudanesi e algerini, che in passato crearono dei problemi al paese europeo.

Gli Stati Uniti appaiono sulla scena africana negli anni Novanta del Novecento sostengono la formazione dell’Alleanza inter-africana che pone fine al regime dittatoriale in Zaire.

Etiopia ed Eritrea rappresentano altri due casi di Stati che ricercano un regime democratico. Il primo è alle prese con l’irrisolta questione delle nazionalità e del federalismo. Tra i tanti problemi il più pressante è quello della distribuzione del potere e soprattutto delle risorse.

Per quanto riguarda l’Eritrea l’indipendenza conquistata con una lunga lotta di liberazione ha condotto alla formazione di uno Stato riconosciuto a livello internazionale, e soprattutto, africano, in quanto non considerato come una messa in discussione, su basi etniche, dei confini scaturiti della sistemazione coloniale.

L’Africa Australe dopo la fine dell’apartheid

Nel 1994 in Sudafrica si tengono le elezioni democratiche segno di svolta non solo per il Paese interessato ma per l’intero continente. La transizione democratica in Sudafrica ha portato non pochi problemi perché questo paese, dopo la liberazione ha dovuto saldare i debiti con i paesi che avevano contribuito alla tanto sperata liberazione tramite l’associazione degli Stati della Linea del Fronte.

In tutta l’Africa Australe la decolonizzazione si è avuta mediante movimenti di lotta armata.

In Sudafrica la dura lotta contro il passato regime ha portato anche alla fine dell’apartheid che per un lungo periodo a creato non pochi problemi.

1 commento

  1. Sara Omegna

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