Posizione dell’Italia nel sistema internazionale
Indice
Conclusioni
La posizione dell’Italia nel sistema internazionale è definita dalla sua posizione geografica, fattore che porta un Paese a frequenti cambiamenti nel corso del tempo. L’Italia, infatti, si trova in due insiemi geografici e politici: da una parte si affaccia sul Mediterraneo circondato da molte aree continentali, dall’altra parte confina con le aree europee. Questa doppia appartenenza è stata definita in vari modi: da molti è vista come una fonte di opportunità, per altri come una scarsa coerenza con le linee politiche del Paese. Sul quadrante europeo l’Italia tiene rapporti saldi con le principali istituzioni euro-occidentali e quindi può beneficiare di un ambiente di sicurezza, privo dell’eventualità della guerra. Oltre a questo tipo di sicurezza, l’Italia gode anche di sicurezze sociali, ambientali ed economiche.
Differente è invece il quadrante mediterraneo che non gode di fattori di stabilità. Inevitabilmente l’Italia su questo versante ha avuto dei problemi che hanno apportato una grave instabilità: dall’invasione del Kuwait agli attentati del 2001 e quindi alla guerra contro il terrorismo. Questa instabilità ha avuto ripercussioni anche sull’economia che ha capovolto il posto dell’Italia nel sistema politico internazionale.
L’effetto congiunto di questi avvenimenti ha modificato il ruolo della politica estera italiana: il segnale più trasparente lo ha dato la molteplicità degli interventi militari all’estero in riferimento al periodo che va dal 1990 ad oggi.
Per quanto riguarda il commercio mondiale, esso ha continuato a crescere coinvolgendo nuovi Paesi. Un rallentamento si è avuto nel periodo che coincide con gli eventi dell’11 settembre 2001, che fortunatamente non è durato molto: il fenomeno è in ripresa tranne in alcuni settori quali quello dell’abbigliamento e dei beni di lusso.
In Italia il deprezzamento del cambio dell’euro rispetto al dollaro, da un lato ha portato ad un peggioramento delle ragioni di scambio dell’Italia ma dall’altro ha favorito le esportazioni italiane.
I Paesi con cui l’Italia stringe rapporti commerciali sono molti: il più alto interscambio lo raggiunge con la Germania, poi con la Francia e poi altri Paesi che fanno sempre parte della Comunità Europea. Per quanto riguarda i rapporti commerciali con altri Paesi extra-europei, il primo partner è rappresentato dagli Stati Uniti e poi con altri Paesi che fanno parte dell’Europa Centro-orientale, inclusa la Russia; i dati che riguardano questi Paesi sono destinati ad aumentare soprattutto in vista dell’adesione di alcuni Paesi dell’est all’Unione Europea.
Un’altra regione con cui l’Italia stringe rapporti è l’Asia Orientale; il paese più importante per l’Italia in questa regione è il Giappone malgrado esso stia attraversando un periodo di recessione.
Bassi sono, invece, i rapporti con L’africa soprattutto con quella Sub-sahariana.
I settori merceologici in cui l’Italia ha il più intenso scambio commerciale sono anzitutto quello tessile e dell’abbigliamento, le cui esportazioni rappresentano una voce fortemente positiva della bilancia commerciale. Riguardo alle importazioni, la maggior parte riguarda le materie prime essenzialmente combustibili, insieme a macchinari, materie plastiche ed autoveicoli.
Il riannodarsi della rete di relazioni economiche, politiche e culturali tra l’Europa euro-atlantica e l’altra parte dell’Europa, costituisce una riconcettualizzazione e una riconfigurazione della rete di comunicazione e trasporto che lega l’Italia con il resto del mondo. Il ruolo e la portata della presenza italiana in Europa Centro-orientale, dipendono dalla rete che unisce i vari corridoi identificati dalla seconda e dalla terza Conferenza sui trasporti.
Negli anni Settanta l’Italia inizia a delinearsi come terra di emigrazione. La storia dell’emigrazione italiana può essere analizzata secondo tre fasi. La prima è compresa tra l’Unità e gli anni che seguono la Guerra Fredda, un’emigrazione che punta verso l’Europa. Gli anni Venti e Trenta vedono la nascita di una seconda fase dove una molteplicità di fattori hanno determinato un calo di partenze. Negli anni Settanta invece arriva la terza fase durante la quale una buona fetta della popolazione lasciò l’Italia per varie destinazioni europee.
Negli anni Ottanta, l’immigrazione diviene un fenomeno rilevante raggiungendo poi negli anni Novanta un numero di stranieri presenti sul territorio italiano di circa un milione di unità. Nel decennio successivo, l’Italia ha raggiunto i due milioni di immigrati e con questi dati essa rimane uno dei pochi Paesi in cui il numero degli stranieri supera il milione. Per il futuro questo dato è destinato a crescere. C’è da dire però che l’Italia registra un basso tasso di fecondità e che rimane al di sotto della soglia del rimpiazzo: generazioni di lavoratori sempre meno numerosi entreranno nel mondo del lavoro.
Per quanto riguarda l’economia italiana, essa si caratterizza per una segmentazione del mercato del lavoro che favorisce l’immigrazione “economica”. Sono sempre meno i giovani, infatti, che entrano nel mondo del lavoro a bassa retribuzione; questi vuoti sono colmati da lavoratori stranieri meno qualificati e disposti a ricevere retribuzioni inferiori.
Il passaggio dal Novecento al nuovo secolo è stato pieno di eventi traumatici (guerre, disgregazioni, attentati). Tali eventi rendono poco chiaro il futuro delle relazioni internazionali dato che la gerarchia di potere muta da un ambito ad un altro, provocando un gran numero di incertezze. Una spiegazione è data dal primo decennio post-bipolare: la superiorità economica, politica e militare degli Stati Uniti. Questo strapotere che comprende i tre piani di fondamentale importanza per un Paese sono uno straordinario potere di attrazione. Una volta che il sistema internazionale è dominato da una sola potenza, tutti gli altri Paesi cercano di conquistarsi un posto sul carro del vincitore. Gli Stati Uniti dovranno dare ordine e stabilità al sistema internazionale facendo da guida agli altri Stati. Sul piano economico gli Stati Uniti restano al centro della produzione, della finanza e del commercio mondiali; il suo ruolo, inoltre, è quello di organizzare e difendere stabilità e apertura dell’economia internazionale. Sul piano politico gli Stati Uniti dovranno vigilare sulla stabilità del sistema internazionale, sanzionando i mutamenti non graditi e contenendo l’emergere di potenze ostili.
L’unità del mondo però non necessita del potere degli Stati Uniti. Il potere statunitense ha contribuito a diffondere il concetto di globalizzazione ma oggi può anche porre un freno.
Il trionfo dell’Occidente è evidente nel totale esaurimento delle alternative praticabili al liberalismo occidentale.
La globalizzazione si regge anzitutto sulle istituzioni di internazionali di carattere politico. Il progresso di questo fenomeno diffonderebbe lo sviluppo economico e politico, e contribuirebbe a liberare le relazioni internazionali dalla paura della guerra grazie a fattori come per esempio i legami di fiducia, resi possibili dalle istituzioni e come obiettivo quello di creare una società unica. Le uniche differenze comprendono possono essere definiti sotto tre spazi. Il primo comprende i Paesi dove democrazia e mercato sono sufficientemente consolidati (Europa Occidentale e Nordamerica). Il secondo spazio comprende i Paesi dove si vive una fase di transizione al mercato e alla democrazia (America Latina, Turchia, India, Sud-est Europeo). Il terzo spazio comprende Paesi dove non ci sono né mercati né democrazia ossia Corea del Nord, Afghanistan, Africa Centrale e Sub-sahariana e il territorio della Federazione Russa.
Il fenomeno della globalizzazione si avverte sia nella straordinaria estensione dei mercati finanziari e del commercio mondiale, sia nella diffusione di stili di vita e modelli di consumi comuni. C’e da dire però, che la globalizzazione è un’arma a doppio taglio: ciò che unifica da una parte, la divide da un’altra. Un esempio potrebbe essere quello che definisce la frattura tra chi partecipa e chi non partecipa all’unificazione economica del mondo.
L’allargamento dello spazio economico diminuisce quello della razionalità politica. Questa crisi che è dovuta anche ad un’inadeguatezza degli spazi statuali esistenti, alimenta una profonda crisi nel principio di sovranità. Si cerca allora di risanare questa situazione regolando e organizzando la vita economica e sociale a livello globale, nelle forme più flessibile di un sistema di istituti e di garanzie, che richieda ai decisori globali di rendere conto delle loro scelte a tutti coloro che sono influenzati dalle loro decisioni.
L’unificazione del mondo deve fronteggiare una spinta contraria perché nel momento in cui essa spazzava ciò che divideva il mondo, ha spazzato via anche ciò che lo univa. Dietro l’apparente affermarsi di una società globale unita dai mezzi di comunicazione e reti informative, la geografia del sistema internazionale si è disgregata in una rete di geografie distinte definita da spazi, strutture di potere e confini propri. Il futuro dell’ordine internazionale, prenderebbe strade diverse e dipenderebbe dalla capacità organizzativa di quei Paesi che hanno le potenzialità di porsi come di riaggregazione politica, economica e culturale. Da questo emerge la formazione di uno Stato-pivot il cui collasso provocherebbe danni alla società mentre il progresso economico e la sua stabilità politica, alimenterebbero la vita economica e politica della regione. Per il Paese più forte, i pivot regionali si possono rivelare una sfida, un’opportunità o un problema secondo il suo comportamento.
La disgregazione che ne segue riguarda anche fattori culturali e di civiltà. Alcuni pensano che la fonte di conflitto tra uomini e donne sarà di tipo culturale. Scoppieranno, secondo tale teoria, conflitti tra Nazioni e civiltà diverse. Per questo si fa riferimento alla Guerra Fredda, dove il risultato fu di ritardare il riconoscimento che una nuova fase si era aperta nei rapporti tra Occidente e Mondo.
Il maggiore interesse nei conflitti tra le civiltà sta nel riconoscimento che, se è vero che non esistono più alternative globali al modello occidentale, questo non significa che non incontrerà più sfide politiche e culturali a livello regionale e sub-regionale. La rivincita dei linguaggi locali trova alimento in una pluralità di processi legati tra loro, per esempio l’efficacia dei linguaggi locali appunto nell’esprimere le rivendicazioni sociali, politiche ed economiche in modo che ci si senta adeguati se non superiori al colonizzatore.
Un altro aspetto che interessa il futuro delle relazioni internazionali, riguarda un ritorno alla condizione storica precedente ossia ad una competizione tra un gruppo di grandi potenze. Questo porta ad una pluralità sul terreno politico, economico e strategico che muove su due punti. Il primo riguarda la logica dell’equilibrio. Lo strapotere statunitense, da un lato e alla base di un potere di attrazione dell’America, per il suo successo politico, economico e culturale; dall’altro rischia di essere visto come un’arroganza americana da essere soppressa. Da qui le preoccupazioni degli altri Paesi: gli Stati Uniti potrebbero sia approfittare di questa superiorità, sia comportarsi con moderazione controllo e pazienza.
Il secondo motivo sta proprio nell’estensione dell’egemonia americana. Per esempio i costi dello status quo rischiano di crescere più rapidamente della capacità di finanziarlo mentre questo, alla fine, rischia di provocare la crisi fiscale della potenza egemone.
Quello che non si riesce a sapere è chi sarà insieme agli Stati Uniti una potenza del futuro.
Probabilmente potrebbe essere l’Europa, poi la Russia, il Giappone o la Cina che è già a buon punto. Questi raggruppamenti prefigurano un mondo plurale dove iniziano a delinearsi i protagonisti del nuovo secolo.
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