Introduzione ai dazi di Trump e l’economia politica
È stato detto di tutto circa i dazi alle importazioni imposti da Trump a quasi tutti i Paesi del mondo.
Pertanto, ci limiteremo a fare un’utile sintesi delle dichiarazioni pseudo-economiche utilizzate per giustificare i dazi, che altro non sono che “castronerie non ortodosse” fatte passare per scienza economica dall’amministrazione Trump. Vedremo anche brevemente quali sono gli effetti dei dazi sull’economia.
Tutto parte dall’affermazione che i dazi stabiliti dagli Stati Uniti sono una risposta, considerata “gentile”, ai dazi che gli USA subiscono dagli altri Paesi.
Per supportare questa tesi, il Presidente USA ha sbandierato un manifesto (che con difficoltà ha tenuto fermo per il forte vento che tirava) in cui c’era un elenco di paesi con a fianco una percentuale che, a detta di Trump, rappresenta il dazio che quel Paese impone agli Stati Uniti. I paesi dell’Unione erano tutti raggruppati alla voce UE.
I dazi fissati dagli Stati Uniti sarebbero quindi una semplice imposizione di dazi reciproci, quantificati nella metà di quelli che ogni Paese imporrebbe agli USA e da qui l’aggettivo “gentile” usato da Trump parlando dei dazi da lui fissati ai paesi terzi.
Ad es. l’UE praticherebbe dazi verso gli Stati Uniti con aliquota del 39%, perciò gli USA d’ora in poi imporranno all’UE dazi al 20% sulle importazioni, ovvero la metà arrotondata di quanto l’UE avrebbe fissato a danno degli Stati Uniti.
Inoltre, gli uffici della Casa Bianca (non il Dipartimento del Commercio USA) hanno reso nota la formula con la quale sono state calcolate le percentuali che rappresentano i dazi che ciascun Paese starebbe praticando alle importazioni di beni provenienti dagli USA.
Analisi della formula utilizzata
La formula, che entrerà nei libri di economia come base di calcolo non ortodossa dei dazi, è la seguente:
dove
Δτi = incremento dei dazi per il paese i
xi = esportazioni verso il paese i
mi = importazioni dal paese i
xi – mi = avanzo/deficit della bilancia commerciale (solo beni) con il paese i
ε = elasticità della domanda dei beni importati, ovvero quanta parte della quantità domandata di questi beni si riduce per effetto dell’aumento dei prezzi dovuto ai dazi
φ = tasso di trasferimento del dazio, ovvero quanta parte del dazio di trasferisce sul prezzo finale al consumatore dei beni importati
Sostanzialmente la formula calcola, non i dazi, ma – approssimativamente – il deficit commerciale degli Stati Uniti verso gli altri paesi del mondo.
Ebbene la formula sopra riportata, che ai non tecnici può apparire come scientificamente fondata (anche grazie alle lettere greche contenute), in realtà non ha nessun fondamento economico.
Conseguenze economiche dei dazi di Trump e l’economia politica
Ecco di seguito delle osservazioni che, dal punto di vista strettamente economico, confermano l’inesistenza di basi economiche alla quantificazione dei dazi reciproci e sottolineano le conseguenze negative di questa inopportuna politica neo-protezionista di Trump:
- La percentuale media dei dazi UE verso l’USA (ed anche di quelli italiani, sostanzialmente allineati a quelli UE) è del 4,6% secondo la Banca mondiale, molto lontana dal 39% indicato da Trump.
- Quanto sopra vale per la stragrande maggioranza dei paesi, che si trovano imputate percentuali di dazi verso l’USA molto sovradimensionate rispetto al dato effettivo, tant’è che, nel caso di paesi per i quali la formula determina una percentuale bassa, il dazio reciproco è fissato comunque al 10%, come fosse una sorta di “franchigia”.
- La lettera ε (elasticità della domanda) vale 4 punti secondo gli ideatori della formula e dell’entità dei dazi, ma questa misura sembra essere una media grossolana, tra valori troppo differenti tra loro. Stesso discorso per φ (tasso di trasferimento del dazio), che è supposto a 0,25 cioè ad un valore che probabilmente sintetizza approssimativamente numerosi dati anche molto diversi tra loro. Pertanto, i valori di 4 per ε e di 0,25 per φ sono considerati comuni a tutti i paesi. Sarebbe stato meglio applicare ad ogni paese il proprio parametro (comunque un’approssimazione, ma almeno una sintesi per lo stesso paese).
- Se ε vale 4 e φ vale 0,25 (sempre secondo chi ha pensato la formula), al denominatore della formula si forma un 1 (cioè 4 x 0,25 = 1), un numero che non incide quindi sul risultato della formula, mostrando di conseguenza l’ennesima anomalia di questo processo di determinazione dei dazi reciproci. È il caso di notare che, pertanto, la formula si riduce a calcolare il deficit commerciale percentuale USA verso ciascun paese, perché l’operazione non è altro che la divisione fra il valore assoluto del deficit commerciale USA verso il paese ‘i’ ed il valore delle sue importazioni (peraltro dei soli beni).
- L’amministrazione Trump ha quantificato i dazi reciproci considerando solo il valore dei beni importati e non anche dei servizi che sono offerti agli USA dagli altri paesi (e che questi ultimi ricevono dagli USA), servizi che avrebbero ragionevolmente un elevato valore aggiunto sulla bilancia commerciale.
- Arriviamo ora al dunque, perché è questo sicuramente l’errore più importante compiuto nella quantificazione dei dazi. Costruire la misura dei dazi reciproci in base ad una formula che non fornisce assolutamente i dazi dei paesi verso l’USA, bensì esclusivamente il deficit commerciale (in percentuale) degli Stati Uniti verso quei paesi (peraltro calcolato male), non solo è sbagliato per una questione di buoni rapporti internazionali, ma è un’assurdità tecnico-economica. Tecnica, perché ad es. il 39% di disavanzo USA verso l’UE (se anche fosse vero) non rappresenta la misura dei dazi che l’UE impone agli USA (molti più bassi, in media del 4,6%). Assurdità economica perché la storia e gli economisti insegnano che l’imposizione di dazi protettivi dà un sollievo solo momentaneo alle imprese nazionali, di breve durata, ma danneggia in misura straordinariamente più grande i consumatori nazionali, che compreranno ad un prezzo maggiorato i beni desiderati. Senza contare che i dazi protettivi hanno la spiacevole conseguenza di vanificare, in un colpo solo, gli anni e anni di lavoro impiegati dalla comunità internazionale per giungere al libero scambio fra paesi, per creare un mercato comune straordinariamente vantaggioso per tutti, imprese e consumatori.
- Anche ammesso e non concesso che i dazi reciproci siano stati calcolati correttamente (e non è così), è sbagliato il punto di partenza. Il punto di partenza di Trump è che un segno negativo nella bilancia commerciale (peraltro dei soli beni tangibili, senza considerare i servizi), cioè un deficit commerciale, sia un male assoluto, un profondo abisso dal quale cercare da tirarsi fuori ad ogni costo (si ricorderà che Trump ha chiamato “parassiti” i paesi, tra i quali l’UE, che hanno una bilancia commerciale attiva verso gli USA, ovvero le cui esportazioni verso gli USA sono maggiori delle importazioni da questa stessa nazione). Non è così. In linea generale il segno meno dell’import-export non ha di per sé un connotato negativo. Ciò è vero anche perché spesso e volentieri dietro la richiesta degli americani di prodotti esteri non c’è un rifiuto a priori dei prodotti americani. Si pensi alla preferenza degli americani verso il made in Italy, soprattutto di prodotti agroalimentari e tessili, l’abbigliamento e gli accessori “alla moda”. Non c’è sicuramente un intento parassitario degli esportatori italiani del made in Italy, bensì la soddisfazione di un piacere da parte dei compratori americani. Considerare questa preferenza un dazio e mettere un corrispondente dazio all’importazione USA di tali prodotti non è solo sbagliato economicamente, è completamente insensato.
- L’imposizione dei dazi USA comporta, da un punto di vista macroeconomico, la discreta probabilità che si innesti una crisi economica internazionale, con l’aumento del prezzo dei beni (inflazione), il rallentamento della crescita economica (riduzione del PIL dei paesi interessati) e la non auspicabile contrazione dell’occupazione.
- Per quanto sopra, si discute molto su quale sia l’obiettivo finale di questi numerosi dazi reciproci posti dagli USA alle importazioni dagli altri paesi. C’è chi dice che Trump vuole creare nel suo paese una (leggera) recessione, in modo che l’industria manifatturiera americana rinasca più forte di prima, con i consumatori americani che non domanderanno più prodotti non USA. C’è invece chi sostiene che i dazi sono solo un atto di arroganza e presunzione da parte di un miliardario abituato ad ottenere tutto quello che vuole. La verità potrebbe stare nel mezzo: con i dazi Trump si è creato un grandissimo margine di trattativa, con le imprese e con le Nazioni stesse alle quali ha imposto i dazi all’importazione. È facile prevedere che capi di Stato e manager di grandi imprese faranno la fila per incontrare Trump e chiedere esenzioni, eccezioni ed aiuti. Per un uomo d’affari non c’è niente di meglio.
- Anche volendo vedere nella politica di Trump il perseguimento del bene comune americano, ovvero l’intento di riportare l’industria manifatturiera USA ad alti livelli grazie alla cessata concorrenza dei prodotti non americani e quindi di far crescere l’occupazione, si può riscontrare che questi obiettivi sarebbero realizzati solo in minima parte. Infatti, i vantaggi economici (comunque a breve termine) del neo-protezionismo americano riuscirebbero a far crescere il PIL degli Stati Uniti solo di pochi punti percentuali, mentre l’occupazione aumenterebbe al più del 2-3%. Questo perché l’incremento della domanda interna si rivolgerebbe in grandissima parte ai servizi legati all’industria, che non sono stati inclusi nelle quantificazioni sopra descritte.
Conclusioni e considerazioni finali
In data 9 aprile 2025 il Presidente USA Trump ha sospeso i dazi a tutti i Paesi (tranne la Cina) per 90 giorni. Questa decisione, oltre a perpetuare il pressapochismo della sua amministrazione, sembra confermare l’obiettivo dei dazi di cui abbiamo parlato sopra, ovvero che questi per Trump non sono altro che merce di scambio per ottenere larghi margini di trattativa con multinazionali e Stati.
Un solo dato è certo in tutta questa faccenda dei dazi USA, il Presidente Trump si è autorevolmente candidato a personaggio politico meno amato del pianeta.
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