E’ da poco partito il Jobs Act e su di esso si è detto e letto di tutto. Tuttavia la domanda fondamentale rimane sempre la stessa: riuscirà questa ennesima riforma del mercato del lavoro a creare maggiore occupazione, soprattutto tra i giovani che, come al solito, sono i più colpiti dalla disoccupazione?
Lo smantellamento di fatto del “vecchio” art. 18 dello Statuto dei lavoratori porterebbe a rispondere di sì, perché le imprese hanno ora minor titubanza ad assumere sapendo che le possibilità di licenziare sono indubbiamente più ampie e facilitate.
Ma questo enorme prezzo da pagare, da parte dei lavoratori, sarà sostenibile nel nostro mercato occupazionale? La monetizzazione del licenziamento (perché in sostanza di ciò si tratta) sortirà gli effetti sperati? E permetterà quindi di avere vantaggi occupazionali significativamente superiori agli ingenti danni derivanti dall’incertezza sulla stabilità del posto di lavoro con cui ciascun lavoratore dovrà necessariamente fare i conti?
Perché una cosa sia chiara a tutti: quando si parla di contratto a tutele crescenti ci si riferisce esclusivamente a tutele economiche, ovvero all’indennizzo che le imprese dovranno pagare al lavoratore per il suo illegittimo licenziamento.
Sono tutte domande importanti. Personalmente ritengo che la riforma vada nella direzione giusta in quei Paesi ove alla flessibilità nell’uscita (dal mondo del lavoro) si accompagna un’adeguata flessibilità in entrata (rappresentata da assunzioni frequenti e non difficoltose). Ma è l’Italia uno di questi Paesi caratterizzati da flessibilità in entrata? Mi sembra di poter dire, con quasi assoluta certezza, di “no” e non lo diventerà certo nel prossimo futuro.
Quindi il Jobs Act si rivelerà un flop come tutte le riforme che lo hanno preceduto? Non è detto, perché è pur vero che l’instabilità del posto di lavoro e la chimera del posto fisso sono già una triste realtà in Italia e da diverso tempo, come dimostrano i tantissimi lavoratori (non solo giovani) appartenenti al popolo dei co.co.co., dei lavoratori a progetto e delle false mini partite IVA.
Ed è proprio contro tali forme contrattuali, di fatto finalizzate allo sfruttamento dei lavoratori, che il Jobs Act intende erigersi a baluardo. Per cui, ancora una volta, mi piace vedere il bicchiere mezzo pieno e sperare nel successo della più recente riforma del mercato del lavoro italiano, conosciuta come Jobs Act.
Intanto, per tutti gli interessati – che sappiamo essere molti purtroppo – forniamo un’utile tabella che riepiloga gli indennizzi da pagare ai lavoratori per il loro illegittimo licenziamento da parte delle aziende. Si tratta cioè della quantificazione delle sanzioni economiche previste dal contratto a tutele crescenti disciplinato nel Jobs Act, ricordando che le indennità indicate in tabella non sono assoggettate a contribuzione previdenziale.
Jobs Act – Ecco le “tutele crescenti” |
||||
anni di anzianità del licenziato |
Sanzione economica azienda grande (più di 15 dipendenti) |
Sanzione economica azienda piccola (fino a 15 dipendenti) |
Esempio azienda grande ultima mensilità utile per il TFR del licenziato: € 1.500 |
Esempio azienda piccola ultima mensilità utile per il TFR del licenziato: € 1.500 |
1 |
4 mensilità |
2 mensilità |
€ 6.000 |
€ 3.000 |
2 |
4 mensilità |
2 mensilità |
€ 6.000 |
€ 3.000 |
3 |
6 mensilità |
3 mensilità |
€ 9.000 |
€ 4.500 |
4 |
8 mensilità |
4 mensilità |
€ 12.000 |
€ 6.000 |
5 |
10 mensilità |
5 mensilità |
€ 15.000 |
€ 7.500 |
6 |
12 mensilità |
6 mensilità |
€ 18.000 |
€ 9.000 |
7 |
14 mensilità |
6 mensilità |
€ 21.000 |
€ 9.000 |
8 |
16 mensilità |
6 mensilità |
€ 24.000 |
€ 9.000 |
9 |
18 mensilità |
6 mensilità |
€ 27.000 |
€ 9.000 |
10 |
20 mensilità |
6 mensilità |
€ 30.000 |
€ 9.000 |
11 |
22 mensilità |
6 mensilità |
€ 33.000 |
€ 9.000 |
12 |
24 mensilità |
6 mensilità |
€ 36.000 |
€ 9.000 |
13 e più |
24 mensilità |
6 mensilità |
€ 36.000 |
€ 9.000 |
In bocca al lupo a tutti!
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