Mario Draghi ha presentato il 9 settembre 2024 il suo Rapporto sulla Competitività dell’Unione Europea, commissionato circa un anno fa dal Presidente della Commissione UE Ursula Von Der Leyen.
Si tratta di un documento corposo, di circa 600 pagine, scritto solo in inglese e composto da 2 parti, di cui la prima è la sintesi delle informazioni dettagliate contenute nella seconda.
Nel suo Rapporto Draghi fornisce una panoramica a 360 gradi della situazione della UE e dei suoi problemi attuali più stringenti, che in estrema sintesi possono ricondursi alla perdita di competitività e produttività dei paesi dell’area UE rispetto a concorrenti con economie molto più avanzate come Stati Uniti e Cina.
Per fronteggiare questo gap di efficienza e ritornare ad un’adeguata produttività nell’Unione, Draghi propone soluzioni estremamente radicali, che si concretizzano in riforme molto coraggiose ed innovative nei settori strategici dell’UE (come quello dell’energia).
Secondo numerosi esperti il rapporto di Draghi è un libro dei sogni, perché difficilmente si realizzeranno i cambiamenti suggeriti, così come sono descritti nella Relazione. Secondo altri ci sono invece ampi margini per realizzare almeno una parte dei consigli di Mario Draghi, a vantaggio del futuro dell’UE e dei cittadini europei.
Non sappiamo chi abbia ragione e solo il tempo ce lo dirà, potendo nel frattempo solo limitarci a tifare per le modifiche proposte da Draghi, che mirano ad un miglioramento del benessere sociale e della qualità della vita all’interno dei paesi UE, ad es. nell’ambito delle auspicate attività di decarbonizzazione e di contrasto al cambiamento climatico.
Però sappiamo quello che consiglia Draghi circa la governance europea e come essa dovrebbe cambiare, in modo rivoluzionario, onde avere la possibilità di mettere in atto le riforme indicate.
Nel Rapporto Draghi, infatti, ci sono delle precise indicazioni circa le votazioni del Consiglio europeo. Scrive Draghi che le votazioni del Consiglio soggette al voto a maggioranza qualificata (VMQ) dovrebbero essere estese a un maggior numero di ambiti e, se l’azione a livello comunitario è bloccata, si dovrebbe perseguire un approccio differenziato all’integrazione.
Cosa significa questo? Significa che il voto all’unanimità in seno al Consiglio dell’Unione europea ha di fatto ostacolato le grandi decisioni dell’UE, soprattutto quelle che avrebbero permesso una maggiore integrazione tra gli Stati membri.
Pertanto, si dovrebbero sfruttare tutte le possibilità offerte dai Trattati UE per estendere il voto a maggioranza qualificata. A tal fine esistono le c.d. clausole “passerella”, che permetterebbero di generalizzare in tutti gli ambiti politici del Consiglio il voto a maggioranza qualificata.
Le clausole “passerella” sono un meccanismo con il quale introdurre cambiamenti di carattere molto specifico nei Trattati (senza attivare il lungo processo formale di modifica dei Trattati dell’Unione), attraverso la modifica delle norme decisionali che riguardano atti del Consiglio, consentendo di passare dall’unanimità al voto a maggioranza qualificata o dalla procedura legislativa speciale alla procedura legislativa ordinaria.
Per estendere il voto a maggioranza qualificata, almeno alle decisioni più importanti (come ad es. quella di istituire un regime speciale per le imprese europee “innovative”), sarebbe necessario un accordo preliminare, soggetto all’unanimità a livello di Consiglio europeo. Insomma, il Consiglio dell’Unione europea dovrebbe approvare all’unanimità la possibilità di non votare sempre all’unanimità, ma a maggioranza qualificata. Ciò avrebbe un impatto positivo sulla velocità di adozione delle iniziative legislative chiave da parte dell’UE.
Mario Draghi, conscio delle difficoltà politiche che si incontrerebbero per ottenere questo risultato, indica un’alternativa maggiormente fattibile. L’alternativa al voto a maggioranza qualificata è quella di fare in modo che gruppi di Stati membri affini ricorrano alla Cooperazione rafforzata, prevista dagli articoli 20 TUE e 329 TFUE.
Questa modalità decisionale offre due importanti garanzie: il consenso del Parlamento europeo (PE) e il controllo giurisdizionale della Corte di giustizia dell’UE (CGUE), oltre al fatto che comunque c’è sempre la proposta iniziale della Commissione europea.
Addirittura, il Rapporto propone, nel caso non si raggiungesse l’accordo su nessuna delle due possibilità sopra indicate (neanche per la Cooperazione rafforzata), un’ultima possibilità di voto non unanime dei paesi UE, quasi un’ultima “spiaggia” (e qui è molto evidente la visione riformista di Draghi), ovvero la Cooperazione intergovernativa.
Questa soluzione però non avrebbe le garanzie date dal controllo giurisdizionale della CGUE e dalla legittimità democratica del Parlamento europeo, né ci sarebbe il coinvolgimento della Commissione nella preparazione dei testi.
La possibilità di agire tramite la cooperazione intergovernativa ricorda molto lo scenario di compromesso per l’UE segnalato dall’ex Presidente della Commissione europea, Jean-Claud Juncker, nel marzo 2017. Juncker scrisse allora che l’UE, pur di evolversi verso l’integrazione dei paesi membri, avrebbe potuto prendere in considerazione di organizzarsi, in mancanza di diverso migliore accordo in seno al Consiglio e comunque forzatamente, in una struttura di “Europa a più velocità”. L’Unione europea diventerebbe in sostanza un’area i cui “i paesi che vogliono di più, possono farlo” (“Those who want more do more”), cioè un’Europa in cui verrebbe formalizzata ufficialmente la possibilità solo per alcuni paesi (c.d. pionieri) di portare avanti azioni e politiche valevoli per tutta la UE.
In questo modo si supererebbero i blocchi decisionali che stanno ingabbiando la UE, al prezzo però di avere paesi che, in ultima analisi, costituirebbero un sottogruppo territoriale, per argomenti trattati ed opportunità, con “licenza di decidere per tutti”.
Se si pensa in quale momento storico Juncker formulò la sua visione, cioè al tempo in cui la Germania di Angela Merkel trainava tutta l’UE, si capisce cosa sia e come funzioni di preciso la Cooperazione intergovernativa.
Tuttavia, se questa dovesse essere l’unica possibilità di creare un’area comune in Europa veramente integrata, competitiva e senza rallentamenti della produttività dei paesi membri, ben venga anche tale soluzione, perché altrimenti, scrive Draghi nel suo Rapporto, l’UE è destinata all’inesorabile declino economico e sociale.
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