Le obbligazioni sono strumenti finanziari (titoli di credito) con i quali le società di capitali hanno la possibilità di finanziarsi.
In altre parole le obbligazioni costituiscono per chi le acquista un titolo di partecipazione al prestito emesso dalla società emittente. Prestito che per tale motivo si chiama “obbligazionario” e che rappresenta per la società emittente un modo per finanziarsi. Invece per chi le compra le obbligazioni sono un tipo di investimento, diverso dalle azioni e dai titoli pubblici (ad es. i BOT).
Le obbligazioni danno all’acquirente (obbligazionista) alcuni benefici. Quelli strettamente economici sono:
- il diritto alla cedola, in genere a cadenza semestrale
- il diritto a ricevere alla scadenza del titolo il capitale investito (valore nominale del titolo obbligazionario), che può essere anche maggiore di quanto si è pagato all’emissione
Ovviamente, come per tutti gli altri titoli, anche le obbligazioni – se quotate in un mercato regolamentato – possono essere, successivamente all’emissione, acquistate e vendute al loro prezzo di mercato (quotazione) dall’investitore, il quale può così eventualmente lucrare (o perdere capitale) sulle differenze di prezzo, in caso di una quotazione diversa tra il momento di acquisto e quello di vendita. Tale attività si chiama trading e comporta una speculazione che esula da quanto stiamo dicendo con riferimento ad un investitore alla ricerca del guadagno insito nel titolo e che sottoscrive il medesimo al momento della sua emissione.
Le obbligazioni possono essere di vario tipo:
- innanzitutto, con riguardo alla loro trasferibilità, possono essere
- nominative
- al portatore
- poi, riguardo al tipo di remunerazione del loro possessore, possono essere
- a reddito fisso, quando “staccano” una cedola sempre uguale ed in genere semestrale
- indicizzate, quando remunerano l’investitore in modo variabile secondo un parametro (per es. il tasso di interesse dei titoli pubblici) al quale esse sono agganciate
- inoltre, riguardo alla forma con cui i titoli obbligazionari sono emessi, possono essere
- obbligazioni ordinarie
- obbligazioni convertibili in azioni, le quali danno al loro possessore la facoltà, a determinate scadenze, di chiedere la conversione delle obbligazioni in azioni della società emittente o di altra società, secondo un prefissato concambio (per es. 10 obbligazioni per una azione)
- infine, riguardo al prezzo del titolo all’emissione, possono essere
- emesse alla pari, quando il prezzo di emissione è uguale al valore nominale del titolo (cioè al valore cui esso verrà rimborsato)
- sotto la pari, quando invece il prezzo di emissione è inferiore al valore nominale (di rimborso) del titolo, dando luogo ad un tasso di interesse effettivo maggiore rispetto a quello pubblicizzato come tasso nominale, per via della maggiore redditività dovuta alla differenza di capitale tra ciò che si è pagato all’emissione e ciò che si riceverà alla scadenza come rimborso del titolo
Le obbligazioni subordinate costituiscono una categoria particolare di obbligazioni, in virtù della loro caratteristica di essere prodotti finanziari complessi che – in caso di crisi della società che li ha emessi – sono rimborsati solo dopo che siano stati soddisfatti tutti gli altri creditori ordinari, ivi compresi i possessori delle normali obbligazioni (non subordinate).
La società ha convenienza ad emettere subordinati perchè questi, a certe condizioni, possono essere computati nel patrimonio dell’impresa, come fossero titoli azionari.
Inoltre, con la direttiva europea del Bail-in il valore delle obbligazioni subordinate può essere annullato (facendo perdere il capitale ai loro possessori) per coprire le perdite della banca emittente nel tentativo di risanarla.
Nell’immagine che segue l’ordine di priorità, partendo dal basso, con cui sono soddisfatti i creditori in caso di crisi: le obbligazioni convertibili sono utilizzate, per la copertura delle perdite, subito dopo le azioni.
Le obbligazioni subordinate espongono quindi chi le ha acquistate alla possibilità di perdere tutto o parte del capitale investito, come purtroppo abbiamo appreso dalle cronache di fine 2015 relative alla crisi di alcune grandi banche.
Pertanto le obbligazioni subordinate, pur attribuendo ai loro investitori un rendimento superiore di quelle ordinarie (a parità di condizioni), hanno questo grande difetto di essere maggiormente a rischio di non essere rimborsate. Infatti, come ben sanno gli investitori di professione: più è alta la remunerazione, più si corre il rischio di perdere il capitale investito.
Trattasi di una regola importante che però, purtroppo, non sempre è comunicata in modo efficace ai sottoscrittori di strumenti finanziari. Di conseguenza i risparmiatori spesso non sono consci del rischio che corrono quando comprano le obbligazioni subordinate (o qualsiasi altro titolo a rischio default), ovvero – detto in modo tecnico – il loro profilo di rischio non è adeguato allo strumento finanziario proposto.
La vendita da parte degli intermediari di strumenti finanziari inappropriati, cioè la consulenza fatta a soggetti (ad es. pensionati) non in grado di comprendere appieno il rischio insito negli strumenti proposti, è un problema ben noto alle Autorità che vigilano sul mercato finanziario.
Problema al quale si è cercato di ovviare con una normativa specifica (conosciuta come MiFid), la quale ha imposto agli intermediari che collocano strumenti finanziari sostanzialmente due importanti obblighi:
- quello di classificare la propria clientela in base al rischio che essa è in grado di tollerare, in modo da attribuire a ciascun investitore titoli appropriati al suo personale profilo di rischio
- quello di informare adeguatamente i soggetti circa i rischi che si corrono per ogni operazione mobiliare da loro effettuata
Tuttavia anche tali presidi a tutela del risparmiatore si sono rivelati in alcuni casi inefficaci, come dimostrato appunto dalla cronaca recente.
Ci permettiamo però di esprimere una riflessione a favore delle obbligazioni subordinate – a rischio di andare controcorrente – prima che passi il messaggio che questi titoli costituiscano vera e propria “spazzatura”, come sta di fatto accadendo anche per colpa di comunicazioni incomplete da parte dei media, spesso frutto di profonda ignoranza rispetto a quello di cui si sta discutendo.
A favore di tutte le persona terrorizzate dalla parola “subordinati” ci sentiamo di affermare che non è tanto il titolo (l’obbligazione subordinata) ad essere di per sé sinonimo di rischio e quindi di potenziale perdita di capitale, quanto piuttosto l’eventuale squilibrio gestionale della società che l’ha emesso.
E’ la situazione di crisi (dichiarata o ancora in pectore) della società commerciale che ha emesso titoli privati a dover far suonare il campanello d’allarme per tutti coloro che comprano titoli, e ciò a prescindere dal tipo di titolo sul quale si è investito (azioni, obbligazioni di qualsiasi specie, ecc.).
Per tale motivo, solo i titoli pubblici (BOT. CCT, ecc.), emessi dallo Stato, non hanno questo inconveniente.
Per i titoli emessi dalle banche consigliamo di procedere ad una semplice verifica per ritornare ad avere quella tranquillità sui propri investimenti ormai persa: andate sul sito web della banca emittente e cercate un documento che potrebbe trovarsi linkato dietro una frase del tipo “Informativa al pubblico” o “Basilea 2” o “terzo pilastro”. In questo documento cercate il valore chiamato “Tier 1”. Se esso è maggiore di un 12/13% potete dormire sonni tranquilli, perché la banca emittente dei titoli è solida.
Infatti, il “Tier 1” non è altro che il rapporto tra il patrimonio “duro” della banca e (semplificando) la quantificazione ponderata dei suoi impieghi: pertanto maggiore è la percentuale che scaturisce da questo rapporto e maggiore è la solidità patrimoniale della banca.
E ciò indipendentemente dal fatto che essa abbia emesso o meno titoli subordinati.
0 commenti