Antonio Cassese – I diritti umani oggi
Una recensione del libro "I diritti umani oggi" di Antonio Cassese

da | 11 Lug 2006 | Libri | 0 commenti

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“Un giorno cupo e piovoso un cavaliere scorse un piccolo passero che stava in mezzo alla strada, sdraiato sul dorso. “Che fai, con i piedini in aria?” – chiese il cavaliere. “Ho sentito dire che oggi crollerà la volta del cielo” – rispose l’uccellino. Il cavaliere rise: “Suppongo che pensi di reggere la volta del cielo con le tue gambette”. “Ognuno fa quel che può” – rispose il piccolo passero”.

Questa è la storia che Antonio Cassese ha raccontato all’Aja nel 1994, quando le sorti del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia erano decisamente incerte e molti chiedevano perché ci si affaticasse tanto per far decollare quell’organismo, ancora privo di budget, sede, carceri, sale per le udienze, con personale insufficiente. E’ bello credere in quello che si fa, galvanizzante riuscire a portare a casa dei risultati che compensano gli sforzi fatti!

Mentre girovago per gli scaffali della biblioteca, mi sono trovata per le mani questo libro, “I diritti umani oggi” di Antonio Cassese, e ammetto di esserne stata subito colpita: sia dal tema trattato, la problematica dei diritti umani, oggi più che mai di attualità, sia dal curriculum di tutto rispetto del suo autore. Ho scoperto infatti che Antonio Cassese, professore di Diritto Internazionale, è stato Presidente del Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della tortura e primo presidente del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. Nel 2004 Kofi Annan lo ha nominato Presidente della Commissione Internazionale di inchiesta dell’ONU sui crimini del Darfur. La Commissione ha presentato i risultati del proprio lavoro al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e ha ottenuto nel 2005 che il Consiglio deferisse i crimini del Darfur alla Corte Penale Internazionale!

Un’esperienza importante, un libro che ci permette di capire, con la sua analisi lucida, accurata, mai superficiale, cosa sono e quanto sono importanti i diritti umani, qual’è la loro origine, ma soprattutto spiega come e perché la dignità umana è negata, attraversando la storia dell’uomo e raccontando di genocidi, come quelli degli armeni, degli ebrei e dei rom, di crimini di guerra, di torture e di terrorismo, e di diritti violati in nome della sicurezza. Un percorso fatto di luci e ombre, con organismi internazionali che non sempre si impongono davvero per risolvere i grandi drammi dell’umanità. E citazioni che fanno pensare, come la storia raccontata da Brech,“a proposito della cattiva abitudine di mandar giù in silenzio le ingiustizie patite” : “Un passante volle sapere da un fanciullo in lacrime il motivo della sua pena. “Avevo messo insieme due soldi per andare al cinema – disse il ragazzo – quando mi si avvicinò un giovane e me ne strappò uno di mano”, e indicò un giovane che si poteva vedere a qualche distanza. “E non hai chiamato aiuto?” – chiese il passante – “Certo” – disse il fanciullo singhiozzando un po’ più forte. “Non ti ha udito nessuno?” – domandò l’uomo – “Allora dammi anche quest’altro” – gli prese di mano l’ultimo soldo e continuò tranquillamente la sua strada”.

Non si arriva alla fine del libro con una sensazione di ottimismo, si comprende che di strada ne dobbiamo fare ancora tanta, e che se esiste una verità, è che i diritti umani si conquistano e riconquistano giorno per giorno. Ognuno facendo la propria parte. “Guai a non urlare abbastanza forte da farsi sentire, a subire inerti”.

Ma noi cosa possiamo fare? “E’ necessario un grande esercito, senza però generali, strateghi o condottieri. Un esercito composto da un popolo minuto, da persone che intervengano in mille modi, a più livelli, in una paziente e oscura azione quotidiana: tante madri della Plaza de Mayo, unite nella ostinata protesta contro l’inaccettabile (…) Una lotta che non può essere intrapresa che da tutti noi”. Come avventurosi e tenaci Don Chisciotte, forti di valori e di ideali, ciascuno con le proprie piccole grandi possibilità.

“Forse a chi sta per morire – in una prigione, in un lager, in una miniera, in una camera di tortura, in una città devastata dalle bombe, in un villaggio oppresso dalla siccità – può servire sapere che non è solo, che chi si affaccia alla finestra non è indifferente, che almeno protesterà. E’ assai poco. Ma fa morire meno sconsolati”.

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