Cuore Rosso ? Viaggio politico nell’Italia di mezzo
Recensione del saggio: Cuore rosso? Viaggio politico nell’Italia di mezzo
di Massimo Messina, Università degli Studi di Urbino.
Cosa è cambiato e cosa sta cambiando nel modello politico – elettorale delle regioni dell’Italia di mezzo (Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche settentrionale) che dal dopoguerra ha rappresentato la roccaforte della sinistra italiana? È principalmente a questa domanda che il saggio di Francesco Ramella,
Cuore rosso? Viaggio politico nell’Italia di mezzo
(Donzelli Editore, 234 pagine, 13,50€) vuole dare delle risposte.
Le regioni oggetto dell’analisi sono caratterizzate dal dopoguerra da un’economia fondata sulle piccole imprese. Questa particolarità, inizialmente considerata sinonimo di arretratezza, ha dimostrato negli anni di poter generare valore, soprattutto attraverso una scomposizione del processo produttivo secondo modalità che ne consentivano una rete di rapporti commerciali tra le aziende, e che, essendo concentrate in territori limitati, assumevano la forma di distretti industriali (un esempio per tutti, Carpi). Il settore di applicazione era per lo più tradizionale, ma ci sono esempi di attività di tipo meccanico ed elettronico. L’atmosfera “industriale” che si respira in questi territori è alimentata anche dalla cooperazione tra le imprese ed i lavoratori, e tra le imprese ed i fornitori costituenti il network. È così possibile arrivare ad elevati livelli di specializzazione di produzione e di efficienza, con una sana competizione tra le aziende che si contendono le commesse nello stesso network. Il “saper fare” che caratterizza il “capitale sociale” di queste regioni, non si basa solo sul tramandarsi in famiglia le conoscenze tecniche ed amministrative di quel settore, ma anche nel mantenere vive quelle competenze relazionali e sociali che sono obbligatorie per operare con successo nel network. Si tratta quindi di specializzazioni flessibili e fortemente contestualizzate. Un esempio è quello dell’urbanizzazione che non ha risentito del classico conflitto campagna-città, caratteristico dei processi di industrializzazione. Si è ricostituita una rete di insediamenti produttivi ed abitativi che ha evitato concentrazioni urbane elevate e ha ben mantenuto un equilibrio urbano molto vicino alle tradizioni delle famiglie contadine appoderate. Non poteva essere comunque diversamente, essendo la famiglia un componente fondamentale, attorno cui ruota una parte del modello; non solo per quanto riguarda le risorse economiche, ma anche per la cultura del sacrificio, il duro lavoro, ed il risparmio che ha soffiato sul fuoco dell’imprenditorialità di questi ceti, che nati contadini e operai, avevano l’ambizione esplicita di una forte mobilità sociale. Ambizione che, senza subalternità, ha favorito anche la concertazione tra le classi, attraverso un percorso di reciprocità e di solidarietà sociale che rappresenta, ancora oggi, una peculiarità di questo territorio.
Interessante è l’analisi storica (dai primi del novecento ai giorni nostri), del radicamento della subcultura politica, intendendo quest’ultima come un sistema politico locale, organizzato intorno ad un partito e caratterizzato da una decisa regolamentazione sociale e da una elevata capacità di negoziazione tra i diversi interessi. La storia mette, infatti, in risalto una connessione tra lo sviluppo diffuso e le subculture territoriali, e la possibilità di un confronto tra quella del Nord-est e quella dell’Italia di mezzo. Pur essendo nate entrambe dalla stessa necessità di difendere la società locale dalla penetrazione dello Stato nazionale alla fine dell’ottocento, le due subculture hanno operato negli anni successivi in modo molto diverso. In parte ciò è dovuto alla minore influenza cattolica nell’Italia di mezzo, dettata anche dall’avversione verso il governo pontificio pre-unitario, ma anche e soprattutto nel modo diverso di intendere la governance del territorio. Il modello della sub-cultura rossa è più interventista e gli attori pubblici agiscono direttamente sullo sviluppo economico, non solo per sostenere, ma anche per ottimizzare e re-distribuire le risorse, allontanandosi nel tempo dalle tentazioni di programmazione economica dirigista e andare a coinvolgere sempre più le organizzazioni di rappresentanza della società civile. La subcultura bianca del Nord-Est, invece, non ha avuto un approccio coordinato da un punto di vista economico e sociale, e si è limitata al supporto (con erogazioni di denaro) delle associazioni di categoria e delle reti del mondo cattolico. Inoltre l’atteggiamento molto critico verso l’istituzione statale e la forte difesa della proprietà privata, rendono sempre sospetto l’intervento pubblico, di fatto delegittimandolo. Si può infatti dire che mentre le subculture rosse agiscono in modo integrativo, passando cioè dall’interesse individuale a quello collettivo, quelle bianche hanno un approccio aggregativo, mediando solamente tra gli attori coinvolti e distribuendo supporti economici. Paradossalmente la spinta critica verso lo stato centrale, raccolta dalla Lega Nord, ed il conseguente processo di riforma in senso federalista dello Stato, non favorisce proprio le regioni che la invocano, vedendo invece quelle dell’Italia di mezzo più pronte a raccoglierne le opportunità (così come già fecero all’indomani dell’istituzione delle Regioni). Il modello ha però di fronte a se il problema della diminuzione del consenso di appartenenza ad un unico partito, ed uno scenario politico più disperso e frastagliato, che ha la conseguenza di un minore radicamento sociale e la perdita della capacità di incapsulare il voto. Pur essendo promettente la dialettica che si sta sviluppando tra i partiti eredi del Pci ed i movimenti spontanei come i girotondi, questa è ancora lontano delle efficienze organizzative del consenso del vecchio Pci, e non è quindi sufficiente ad arginare lo scongelamento dell’elettorato che si trova di conseguenza libero di fluttuare in un modo nuovo rispetto al passato.
Ramella parte dall’ipotesi che la continuità di voto registrata nei primi anni 90 abbia falsato l’interpretazione delle trasformazioni in corso in queste regioni. Infatti, pur avendo i partiti del centro sinistra un notevole consenso nelle regioni dell’Italia di mezzo, dall’altra i risultati elettorali 1999-2001 rendono evidente che la subcultura rossa si è trasformata più di quanto inizialmente osservato, perdendo quel senso di appartenenza e coesione intorno al partito di massa che ne aveva caratterizzato il comportamento elettorale nel passato. Paradossalmente è questa situazione che rende interessante la sperimentazione da parte del centro-sinistra di nuove soluzioni in queste zone, così come già accaduto nel secondo dopoguerra.
Nonostante i cambiamenti della prima repubblica, la secolarizzazione delle ideologie, l’erosione delle reti sociali tradizionali, e le contingenze economiche, queste regioni sembrano non seguire in modo evidente gli stessi orientamenti della media nazionale, disorientando le interpretazioni attraverso falsi movimenti e disattendendo di volta in volta le attese di conferme o di svolte.
Si passa infatti dall’illusione della stabilità all’indomani del terremoto Tangentopoli attraverso una falsa impressione di rinnovamento generato dai nuovi cartelli elettorali, a quella di un preteso crollo, una disfatta storica del centro-sinistra, instillato dalla sconfitta subita a Bologna nel 1999. L’illusione è qui che le cose siano cambiate molto più di quello che mostrino i dati elettorali.
L’autore mostra quasi imbarazzo nell’ammettere incertezza nell’interpretazione dei comportamenti elettorali dell’Italia di mezzo, rimanendo intrappolato anche’egli nelle attese collettive di vedere un fenomeno esaltato nelle sue tinte più accese: o perfetta resistenza e continuità, o crollo delle posizioni. In realtà credo che emerga bene nella descrizione della situazione il progressivo declino della subcultura rossa che è alimentato da due fenomeni. Il primo è il disorientamento nella rete associativa ed istituzionale locale causato dalla vacanza di coordinamento lasciata dal PCI, non sostituito dai partiti eredi nella sua eccezionale funzione di aggregazione e fulcro delle relazioni ed azioni sociali. Il secondo è l’attenuazione dell’incapsulamento subculturale del voto, che “congelava” le opinioni, portando gli elettori a premiare i candidati a prescindere dalle qualità, dai confronti e dai programmi; attraverso questo “scongelamento” l’elettorato è più sensibile all’offerta elettorale che rappresenta una ulteriore sfida soprattutto per la coalizione di sinistra.
Il testo contestualizza anche le altre sfide al rinnovamento che queste regioni devono affrontare, sfide che, se perse o almeno non prese sul serio, rischiano di disperdere quei pilastri attraverso i quali è maturato il senso di cittadinanza dell’Italia di mezzo. Cittadinanza che rappresenta un’ampia inclusione di classi attraverso il processo democratico prodotto della regolamentazione locale della subcultura e che si è attuato attraverso tre processi fondamentali di democratizzazione: economica, sociale e politica. La componente economica consente di evitare la polarizzazione tra le classi sociali, bilanciando i rapporti tra lavoratori autonomi e dipendenti, ma anche realizzando una buona distribuzione della ricchezza nella collettività attraverso le reti sociali presenti in quelle regioni ed una logica regolativa abilitante. Le reti sociali facilitano anche il processo di democratizzazione sociale attraverso cui l’individuo si sente tutelato nelle sue esigenze di protezione, vedendosi riconosciuto il diritto di appartenenza alla comunità locale; diventando cioè cittadino sociale della stessa. La mobilitazione collettiva, lungo un percorso fatto di tradizioni civiche e del coinvolgimento di tutte le classi sociali nella sfera pubblica locale, attua poi la democratizzazione politica.
Da un punto di vista del consenso elettorale, è altrettanto vero che alcune delle peculiarità che avevano fatto la forza del PCI, come la scelta localistica e la frattura con il centro nazionale, hanno cambiato intensità. Anche gli attori coinvolti stanno muovendosi verso tipologie che la sinistra non governa bene; gli operai ed i mezzadri si stanno trasformando verso il terziario ed i lavori atipici.
Nel passato, fornendo beni collettivi sia per gli imprenditori che per i lavoratori, i governi locali hanno consentito un compromesso sociale basato sull’efficienza, la flessibilità e la re-distribuzione dei benefici.
Le regioni rosse possono tornare ad essere punti di riferimento e di progettazione politica per soluzioni applicabili a livello nazionale, ma, dice Ramella, occorre agire. L’Italia di mezzo si trova, infatti,di fronte a due possibili scenari: da una parte inventare soluzioni nuove che mirino al rinnovamento capitalizzando le risorse del passato, dall’altra cedere all’immobilismo, facendo affidamento sulle rendite del passato o all’opposto sulla fluidificazione delle opinioni, agendo in modo opportunistico e al tatticismo politico-istituzionale.
Non si dovrebbero ripetere gli errori di quando, ad esempio, la sinistra non ha saputo cogliere le trasformazioni degli anni 90, nell’illusione di una tenuta del consenso che si è tradotta in un “congelamento” della necessaria evoluzione dell’offerta politica, mentre in realtà la subcultura si stava affrancando dai connotati che l’avevano caratterizzata nel passato; in altre parole, ad uno scongelamento della subcultura, si è invece risposto con un congelamento dell’innovazione politica.
Si deve, invece, trovare un modo di proporre un’offerta politica che ricongiunga i ceti produttivi e la spinta ad un nuovo sviluppo che però sia reso sostenibile attraverso il supporto di un moderno tessuto sociale di servizi, prima a livello locale e poi nazionale. Va altresì valorizzato il “capitale sociale”, intendendo con esso l’insieme delle relazioni tra attori collettivi pubblici e privati, consentendo un prodotto tra gli elementi che lo costituiscono che conduca ad un miglioramento della competitività, esaltando le risorse localmente disponibili, e programmando la fruibilità di beni collettivi.
Questa visione decentrata passa necessariamente per una regolazione locale e regionale, ad una forma di governance che però sappia inserirsi coerentemente in un più ampio disegno nazionale.
Le trasformazioni in atto nell’Italia di mezzo sono certamente legate a fenomeni trans-regionali come la secolarizzazione ideologica, la crisi del socialismo reale, lo tsunami sulla prima repubblica e la riforma del sistema elettorale, ma anche da fenomeni la cui intensità locale fa la differenza come la metamorfosi della stratificazione sociale attraverso fenomeni quali la flessibilizzazione del lavoro, la terziarizzazione la diffusione di nuove forme di lavoro autonomo.
La regolazione politica nelle regioni rossi, ha senza dubbio rallentato la capacità di reazione di fronte ai trend di cambiamento ma sembra aver consentito un maggiore equilibrio sociale, rendendo possibile una situazione di equilibri multipli generati da scelte diverse per lo sviluppo economico-sociale che sono concertate tra la governance locale, le imprese ed i cittadini. È questo un modello che richiede sicuramente interventi di revisione critica, ma che rappresenta un rimedio concreto alla governance di una società multiforme e complessa in un contesto di crisi dell’economia e dei riferimenti che rende difficile qualunque attività di regolamentazione che debba fungere contemporaneamente da propulsore di benessere sociale. Pochi gli ingredienti di questa ricetta che potrebbe essere ancora esportata a livello nazionale: concertazione dello sviluppo tra tutti gli attori privati e pubblici; decentramento; produzione intelligente di beni collettivi che generino benessere, equità e qualità. In sostanza, come dice Ramella, “un mercato regolato e istituzionalizzato ed una concorrenza incorporata”.
Non mancano tuttavia le incognite. In queste regioni, il rischio è che le tensioni presenti in alcune aree meno sviluppate e quelle che interessano i lavoratori autonomi si possano associare con quelle dei lavoratori salariati sviluppando una protesta neopopulista che potrebbe attecchire anche nelle aree più ricche e sviluppate. È un problema di rappresentazione degli interessi che si alimenta con il disorientamento di interi settori di popolazione che vedendosi chiudere l’accesso agli impieghi tradizionali, siano essi artigianato o industria, attivano una dislocazione politica che può concretizzarsi intorno a programmi neopopulisti, individualisti, o nuove forme di espressione provenienti dalla società civile.
Si verrebbero così a definire nuovi punti di polarizzazione al di fuori della struttura politica che allentano quella connessione con la società locale, che aveva fortemente caratterizzato la subcultura rossa. E questo proprio quando c’è la grande necessità dell’esatto contrario; la governance locale è attesa dare risposte innovative su questioni di grande rilevanza: urbanistica e mobilità urbana, controllo della micro criminalità, integrazione/immigrazione, ed inquinamento. Così come un maggiore sostegno alla competitività e alla solidità delle posizioni lavorative dei cittadini.
Il libro rappresenta un eccellente percorso tra la politica, la società, le identità e la cultura delle regioni di mezzo, e sarebbe sbagliato porlo solamente come uno strumento di analisi del passato. E’ infatti proprio analizzando la storia delle subculture rosse e bianche e della loro trasformazione nei rispettivi territori che si possono trarre indicazioni precise per analizzare la politica contemporanea, anche quella delle elezioni dello scorso 4 Aprile 2005, che ha visto un successo senza precedenti della coalizione della Sinistra. Ilvo Diamanti, nel suo editoriale del 6 Aprile c.a. su “La Repubblica”, cita Ramella nel descrivere l’Italia rossa, un’Italia di mezzo allargata, ma soprattutto ricollega la perdita di consenso della Casa della Libertà a fatti simili a quelli accaduti nel passato alle due subculture. La CdL è stata infatti accusata (e punita), come le grandi ideologie del passato, di aver illuso e poi deluso; punita per aver basato il proprio modello su un partito light, senza organizzazione territoriale, e unicamente imperniato sul marketing mediatico; punita per essersi arroccata con la Lega nel Lombardo-Veneto. E’ un nuovo scongelamento delle fedeltà politiche che rende possibile una notevole mobilità elettorale, non solo motivando a votare per protestare sulla propria condizione (e diminuendo quindi l’astenzionismo) ma anche attraverso una forte mobilità da uno schieramento ad un’altro, soprattutto nei ceti più deboli ed incerti. Aumenta, quindi, quella che Ramella, riferendosi però alla subcultura rossa, chiama la possibilità di dislocazione rispetto alle modalità di rappresentanza degli interessi e di delega politica. L’elettore diventa nomade, è affrancato dal sentirsi “appartenente” a qualcosa e valuta di volta in volta la sua salute sociale, premiando o punendo chi in quel momento dovrebbe rappresentarlo. La logica del bipolarismo aggiunge a questo atteggiamento di transumanza un effetto – seppure ancora in parte limitato – di commutazione delle opinioni da uno schieramento ad un’altro. Questa volta, ad Aprile, i nomadi del voto sono stati le casalinghe ed i pensionati.
Per quanto riguarda le “regioni rosse” parlare di maggiore fluidità, o di scongelamento, non vuol però dire automaticamente decadimento o crisi. E questo è ben dimostrato nel libro. Si tratta semmai del rischio più concreto di venir giudicati negativamente da una base elettorale che non è più “amica” per definizione, ma che invece è “critica” e “attenta”.
Per concludere, l’analisi contenuta nel libro, nella sua atipicità di lettura contemporaneamente storica, politica, sociale ed economica, non si pone artificiosi confini disciplinari ed è un eccellente punto di riferimento per lo studio di pattern comportamentali dell’elettorato negli anni passati nelle regioni oggetto di indagine; allo stesso tempo è possibile trovare ragionamenti sulle sfide e le possibili soluzioni, di cui la nostra attuale politica discute quotidianamente, e su cui farebbe anche bene a riflettere.
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