Disonorata dalla legge degli uomini di Mai Mukhtar
Recensione del libro di Mai Mukhtar ” Disonorata dalla legge degli uomini “.
“Ragazza pakistana uccisa a Brescia, sì a rito abbreviato, rinvio a ottobre”.
Sono terribilmente scossa, i titoli del quotidiano che leggo mentre bevo il solito caffè prima di andare al lavoro, mi chiudono lo stomaco: Hina Saleem è stata uccisa dopo un “consiglio di famiglia”, per i suoi costumi giudicati troppo liberi.
Conviveva con il suo fidanzato italiano e non voleva sottomettersi al codice comportamentale che la sua famiglia voleva imporle.
20 anni, packistana, Hina è stata uccisa e sepolta nel giardino dell’abitazione dei genitori. Imputati: il padre e altri tre familiari della ragazza.
Provo un orrore profondo. Mentre aspetto il treno, dalla vetrina della libreria, in una pila un po’ in disparte, mi cade l’occhio su un libro che ritrae il volto di una donna con il velo, dal viso molto dolce e triste.
E’ il libro di Mukhtar Mai, “Disonorata dalla legge degli uomini“.
Il retro della copertina parla di una donna-simbolo, di un’eroina, un esempio di coraggio e di speranza per tutto il mondo. Anche lei del Pakistan.
Mukhtar Mai è stata condannata dal tribunale del suo villaggio a subire violenza, secondo un “codice d’onore” che è stato scritto dagli uomini. Deve “riparare” ad un’offesa arrecata dal fratello dodicenne accusato di aver rivolto la parola ad una ragazza di un potente clan. La sentenza: uno stupro collettivo. Mukhtar Mai viene ripetutamente violentata da più uomini in una stalla e poi abbandonata in strada.
“Avevo preso la mia decisione: il suicidio. Era ciò che facevano le donne nella mia condizione. Avrei bevuto l’acido e sarei morta, per estinguere definitivamente il fuoco della vergogna che avvolgeva me e la mia famiglia. Ho supplicato mia madre di aiutarmi a morire. (…) Finchè un sussulto di collera inatteso mi ha salvato da questa paralisi (…). Io stessa mi sentivo già diversa. Non sapevo come avrei fatto a battermi per ottenere giustizia, ma avevo ben chiaro in mente che il nuovo cammino che avevo deciso di percorrere era l’unico possibile. Il mio onore e quello della mia famiglia dipendevano da questo. Forse sarei morta, ma non sarei morta umiliata. Avevo sofferto per molti giorni, considerato il suicidio, pianto .. Adesso avevo cambiato atteggiamento, anche se non me ne sarei mai creduta capace. In questo percorso a fianco della legge ufficiale, penalizzata dalla mia condizione di donna e dal mio analfabetismo, oltre alla mia famiglia avevo soltanto un’arma a mia disposizione: la ribellione. Una ribellione tanto forte quanto era stata forte la mia sottomissione fino a quel momento”.
E cosi’ Mukhtar Mai decide di denunciare i suoi violentatori, di ottenere giustizia. Non solo per se stessa, ma per tutte le donne che continuano nel mondo a subire violenze e soprusi. Le difficoltà sembrano insormontabili, ma con la sua forza e il suo coraggio lei ci è riuscita, grazie anche al sostegno di importanti organizzazioni come Amnesty International. Non solo: con i fondi ricevuti dal governo pakistano come risarcimento per la violenza subita, ha fatto costruire una scuola, la prima in Pakistan, per l’educazione delle bambine.
“Amo il mio paese e ne sono orgogliosa. Ma spero che la mia storia possa aiutare la gente a capire che alcune cose devono cambiare. E se la mia sofferenza potrà contribuire a questi cambiamenti, allora non sarà stata inutile”.
Mukhtar Mai ce l’ha fatta. Hina purtroppo no. La sentenza, a Brescia, con il rito abbreviato, arriverà il 13 novembre. Il TG delle 20 immortala decine e decine di donne italiane e straniere, accorse da diverse parti d’Italia, insieme, unite in questo momento di grande dolore, davanti al tribunale. Tutte con la stessa scritta: “Io sono Hina”.
“Mi dicevo spesso che, se la giustizia degli uomini non avesse punito coloro che mi avevano fatto questo, Dio avrebbe provveduto, un giorno o l’altro. Ma avrei preferito che mi fosse resa ufficialmente la giustizia umana”.
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