Marlo Morgan ha vissuto un’esperienza straordinaria, che ha voluto condividere con tutti noi raccontando la sua avventura pressoché unica: vincitrice del Premio Selezione Bancarella, con “…E venne chiamata due cuori”, è riuscita a trasmettere a centinaia di migliaia di lettori il messaggio di una piccola tribù dell’Outback in Australia.
“Questo libro è frutto di un’esperienza vissuta. Come presto scoprirete, non avevo nulla per scrivere a portata di mano. Viene venduto come “romanzo” per proteggere la piccola tribù degli aborigeni da qualunque problema legale. Mi sono presa la libertà di eliminare alcuni particolari in segno di rispetto verso degli amici che non desiderano venire identificati, e per essere certa che il nostro luogo continui a restare segreto”.
Una telefonata inattesa da Kansas City, una proposta di lavoro in Australia per qualche anno, l’interesse per la medicina sociale (che elimina il profitto dal sistema sanitario, avvicinando la medicina tradizionale a quella alternativa)… e Marlo Morgan si trova improvvisamente (sarà il segno del destino) a seguire la “Vera Gente” in un viaggio di 1400 miglia, senza cibo, sotto il sole del deserto australiano, a piedi nudi, vestita di un solo pezzo di stoffa: “molto più tardi avrei capito che il distacco dagli oggetti materiali e da certe convinzioni costituiva già un passo necessario e imprescindibile del mio cammino umano verso l’essere”.
Il viaggio diventa l’occasione per vedere il mondo da un punto di vista che prima ancora di essere compreso, ti stupisce nel profondo, dove l’universo è un progetto ancora in divenire, e nulla viene sprecato, ma riciclato perché torni alla natura e alla terra.
Un viaggio spirituale, un modo di esistere pienamente, la capacità di vivere in armonia con se stessi e gli altri: “Ero stata cresciuta in base ai criteri della logica e del buonsenso, mi era stato insegnato a leggere, a scrivere, a fare di conto, a considerare la causa e l’effetto; ma lì era la parte destra del cervello a dettar legge, e le persone con cui mi trovavo non sapevano che cosa farsene dei miei cosiddetti principi educativi e delle necessità degli individui civilizzati. Loro erano i maestri della parte destra del cervello, perché usavano la creatività, l’immaginazione, l’intuito, e i principi spirituali. Non trovavano necessario neppure verbalizzare le loro comunicazioni; si parlavano attraverso il pensiero, la preghiera o la meditazione”. La lettura di un libro come questo richiede una forte capacità di ascolto e non lascia indifferenti.
Ho iniziato a leggerlo un po’ per gioco, ma dopo averlo letto sono convinta che se avessimo la stessa cura e rispetto degli altri esseri umani e dell’ambiente di questa tribù aborigena, sarebbe davvero un mondo migliore. “L’uomo non tesse la ragnatela della vita, di cui è soltanto un filo. Qualunque cosa fa alla ragnatela, la fa a se stesso”.
A seguito di polemiche negli anni ’90 portate avanti da gruppi di aborigeni australiani come la Dumbartung Campaign Report, appare ormai conclamato che il libro non riporti fatti reali. A titolo di completezza, la Morgan è stata criticata perché nel libro finisce per portare avanti lo stereotipo del “buon selvaggio” .