Eutanasia della critica di Mario Lavagetto
Recensione del libro di Mario Lavagetto “Eutanasia della critica”.
Il titolo non lascia dubbi, non si può certo definire un testo che infonde ottimismo…
“La critica letteraria non ha più chi l’ascolti. Il panorama è mutato. Ma pensare che i testi parlino da soli è un’idea vecchia e ingenua. Bisogna abbandonare i gerghi e tornare a saper mostrare l’inesauribile ricchezza della lettura“.
Mario Lavagetto ci introduce così in questa sua analisi corrosiva, partendo dal quadro apocalittico descritto anni fa da Steiner, sui “grandi libri che stanno scomparendo sommersi dalle incrostazioni di un discorso parassitario che li circonda e li rende per sempre irraggiungibili“.
E’ vero che il panorama oggi sembra essere cambiato: le iniziative di volta in volta portate avanti dai quotidiani nazionali, con la vendita di dizionari, enciclopedie, grandi classici, hanno segnalato un notevole apprezzamento da parte dei lettori, addirittura nel 2002 erano stati venduti in edicola ben 40 milioni di libri. Ma l’interpretazione del fenomeno può anche essere completamente rovesciata: “Vendite tanto massicce sono prima di tutto fenomeni commerciali, perché diventino anche fenomeni culturali deve accadere ancora qualcosa. Se è vero che, a fronte dei 40 milioni di volumi, troviamo una popolazione che al 61% dichiara di non leggere nemmeno un libro all’anno (…) quanti di quei 40 milioni di libri venduti nel solo 2002 sono destinati a essere letti?“.
Senza poi dimenticare i problemi delle case editrici! Un giovane critico che pochi mesi fa ha scritto un bel saggio sul romanticismo, ha ottenuto da un direttore editoriale a cui lo aveva inviato la seguente risposta:
“Il suo libro è di grande interesse, scritto con eleganza e perfettamente documentato; purtroppo la situazione è tale che non ho il coraggio di affrontare i responsabili dell’area commerciale e di presentare loro un libro di critica letteraria“. Insomma, case editrici poco coraggiose, e libri di altissima qualità abbandonati al loro destino da un’editoria senza editori.
Effettivamente, basta andare nelle biblioteche (anche quelle meglio fornite) per rendersene conto: la critica letteraria appare come una categoria asfittica, sono davvero pochi i libri di critica, e spesso rivolti a circoli elitari. Lavagetto li definisce ibridi geneticamente mal programmati, in cui le impalcature accademiche del discorso, la legnosità “scientifica”, gli impacci retorici di un’educazione scolastica imperfettamente metabolizzata si mescolano con le velleità di aggiornamento, con i vezzi e gli ammiccamenti di una presunta eleganza. E’ come se andasse persa l’identità personale, il senso di autonomia dell’opera letteraria.
Ma allora cosa fare per superare questa crisi? “I tempi sono cambiati e, con un paradosso soltanto apparente, in un’epoca che sembra bruciare a velocità inimmaginabili la memoria, non sussiste, – a quanto sembra – nemmeno più la possibilità di dimenticare“. Occorre abbandonare le certezze, dimenticare per riformulare, ripensare, assumersi nuove responsabilità. Riscoprire l’ossessione del critico, “il suo tornare e ritornare caparbiamente sugli stessi punti, ponendosi le stesse domande, cercando di aggredirle da posizioni diverse“. Trovare un nuovo ordine, nuove strutture, “qualcosa che è sotto gli occhi di tutti, che è letteralmente nascosto nelle superfici, tra una frase e l’altra, tra una parola e l’altra: non un fantasma o un’ipostasi, ma qualcosa che c’è, che è testo, è lettera, è dispositivo e materia, è la trama e il valore del tessuto che ci corre tra le mani“.
Insomma, il fondamento di un genere di critica completamente nuovo, una preda necessariamente da ambire anche se difficile da raggiungere. Ed evitare così il peso di un destino già scritto che aspetta solo di compiersi.
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