Figlia di una vestaglia blu – Simona Baldanzi
Una recensione del libro "Figlia di una vestaglia blu" di Simona Baldanzi.

da | 12 Gen 2007 | Libri | 0 commenti

Figlia di una vestaglia blu di Simona Baldanzi

Recensione del libro di Simona Baldanzi ” Figlia di una vestaglia blu ” – [ Fazi Editore ].


figlia-vestaglia-bluIl Mugello, assieme al mare, è per me l’unica cosa che riesce ad assorbire l’odio. Se mi distruggono il Mugello mi sfregiano la speranza di guarire dalla rabbia, mi impediscono di curarmi del suo cielo, dei suoi odori, dei suoi sapori, dei suoi silenzi, della sua storia che nasce nel sottobosco ai bordi dei ruscelli.

Nella solitudine, intensa e serena, ci vuole lo spazio enorme, l’illusione di possedere l’infinito, la pancia che non gorgoglia e un cucchiaino di miele. E qua, al ridosso degli Appennini, mi sento abbracciare senza soffocare“.

Questa è la descrizione dell’amato Mugello per Simona Baldanzi, l’autrice di “Figlia di una vestaglia blu“, un bellissimo romanzo che si legge tutto d’un fiato e che parla di operai, di vite dure, di minatori lontani dalle proprie famiglie; gente semplice, del Sud, venuta a lavorare nel Mugello, a forare le montagne, per far passare il treno ad alta velocità.

E Simona è “la ragazza dei questionari“, una laureanda universitaria, figlia di operai, che decide di scrivere la tesi di laurea su questi minatori, distribuendo questionari, superando la diffidenza trovata in quei cantieri polverosi e isolati, intessendo poco alla volta calorosi rapporti umani con le tute arancioni che lavorano duramente nelle gallerie, e che lì, nei campi-base, mangiano, dormono, e vivono quando non lavorano.

La ricerca per la tesi, sarà l’occasione per Simona di ripercorrere la sua infanzia: Simona, figlia di operai, con la madre Sandra che ha cucito jeans alla Rifle per più di 30 anni. Sandra, dalle mani callose, che riscopre il Pascoli grazie alla figlia, e che ha un unico grande desiderio: che la figlia continui gli studi, per evitare di finire a lavorare in fabbrica come lei: “Studiate bambini, studiate, perché è brutto quando non ti vengono le parole per difenderti, ti vengono sempre dopo, quando è tardi“.

Le tute arancioni come le vestaglie blu: vite semplici e faticose.

Potrei raccontarti che ho fatto una tesi sui lavoratori dell’Alta Velocità, che è stato come farla sui miei genitori operai, che se non si erano riscattati loro, che almeno qualcun altro ci riuscisse. Potrei dirti che Pietro, minatore, figlio d’arte, è come mia mamma e mio babbo insieme, fusi sotto i calli delle mani, come li avrei voluti vedere lottare in tutti questi anni. Potrei dirti che ora mi ritrovo qua, lontana da un Mugello ferito, che sanguina acqua e che non ho saputo difendere da quel treno che lo sta perforando come una pallottola di una pistola di grosso calibro. Il mio Mugello che non ho saputo difendere. E che mi ritrovo qua, a dormire in una stanza d’albergo da sola, con un lavoro che dura ‘una settimana e poi chissà’, e so che son figlia di una vestaglia blu, che son figlia del Mugello e anche dei minatori del Sud, che son figlia di una grande sofferenza, ma che ora dovrei iniziare io una battaglia, quella per me, la più difficile. Potrei dirti tutto questo, ma capiresti?“.

Ed eccola lì, racchiusa nei ricordi di Simona, la vestaglia blu della Rifle, ormai pensionata. Sono lontani i tempi in cui sventolava tra i panni stesi, accarezzata dal sole, mentre si gonfiava, salendo fino a distendersi al pari del filo per poi ricadere improvvisamente in verticale. Regina tra gli stracci.

Figlia di una vestaglia blu. Fra l’orgoglio, la disfatta e due mollette“.

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