La nascita dei romanzi di Umberto Eco
Per uno studente (ed appassionato) di semiotica incontrare Umberto Eco è un’esperienza inimmaginabile.
Ho avuto questa fortuna il 6 maggio 2006, in un convegno organizzato a Genzano di Roma da un’associazione culturale locale, che evidentemente possiede degli ottimi contatti con il semiotico, vista la sua celebre riluttanza ad apparire in pubblico ed anche ad usare i media per comunicare, proprio lui, Umberto Eco, che dei media è molto probabilmente il più profondo conoscitore.
Mi sono trovato a pochi passi da Eco e l’impressione è stata quella di essere vicino ad una leggenda vivente. Non è stata una sensazione esagerata e lontana dalla realtà, perché Eco ha segnato dal punto di vista culturale, con i suoi scritti e soprattutto con la sua straordinaria intelligenza, un’epoca letterale (e non solo) ed ha fortemente contribuito a dare forma e contenuto ad una materia, la semiotica, che era quasi sconosciuta e che, invece, grazie a questo grandioso personaggio, sarà studiata per i futuri decenni nelle scuole e nelle università, dove il nome e la figura di Umberto Eco saranno sempre l’immancabile punto di riferimento per l’analisi e l’approfondimento della stessa semiotica e della letteratura.
E’ proprio per questi motivi che ho deciso di scrivere le mie brevi riflessioni sull’incontro con l’intellettuale, il semiotico, il romanziere ed il Professore Umberto Eco.
Prima di Eco hanno parlato gli onnipresenti critici, i quali non mi hanno particolarmente entusiasmato con i loro discorsi d’introduzione, forse perché si sono limitati a riferire quanto ho già detto circa l’inevitabile emozione che si prova quando ci si trova a contatto con un uomo di così immensa cultura. Gli unici passaggi degni di essere citati sono stati quelli con i quali il semiotico è stato definito, non so quanto originalmente, un autore-mondo , che scrive romanzi-mondo. Credo che siano espressioni corrette per definire il personaggio Eco, che sembra accentrare in sé e nei suoi lavori le fondamenta (ma anche i piani sovrastanti) dell’intero sapere umano.
Poi ha parlato lui, il Prof. Eco, e tutti hanno fatto silenzio. Ero curioso di conoscere gli argomenti che in tali occasioni (meeting e seminari informali) Eco ritiene opportuno toccare con i suoi interventi. Nell’occasione specifica in cui mi sono trovato, l’Autore Eco ha voluto spiegare come sono nati i suoi romanzi.
Lo ha fatto con ironia, intercalando spesso battute di spirito e frasi scherzose alle dotte spiegazioni, sempre però con acume ed intelligenza, tanto che buona parte dell’auditorio non ha riso, per incomprensione, alle uscite più spiritose e raffinate di Eco. La sensazione che ho avuto è stata quella di un uomo pienamente conscio della sua elevata caratura intellettuale (com’è giusto che sia e com’è stato per tutti i grandi geni) e quindi pronto ad utilizzare la sua indiscutibile superiorità mentale per prendere in giro, in modo comunque affabile, coloro che lo ascoltano.
Vediamo adesso gli interessanti chiarimenti che Eco ha condiviso con la platea circa la genesi dei suoi romanzi.
Eco dice che quando si scrive un saggio, poi si passa la vita a difendere la propria interpretazione, formulata nel saggio. Non è così invece per i romanzi, dove ognuno ha la sua interpretazione (ricordiamo che Eco fa una semiotica definita interpretativa, differente dalla semiotica per es. generativa).
Umberto Eco afferma che quasi tutti gli uomini durante l’adolescenza scrivono poesie (che quindi accompagnano l’onanismo e l’acne giovanile !), poi alcuni passano alla saggistica e solo pochi altri diventano in seguito anche romanzieri, sentendo la necessità di trasformarsi da buoni saggisti a cattivi narratori .
Eco è passato dalla saggistica alla narrativa a 48 anni (…perché ne avevo voglia ), con il suo primo romanzo Il nome della Rosa , scritto senza il computer, come qualcuno ha invece sostenuto (…i personal computer non erano ancora stati inventati ).
Il grande semiotico ha spiegato, con il suo accattivante ed intelligente discorso, che non esiste una ricetta segreta per scrivere un romanzo, né si può parlare di ispirazione pura, come se si scrivesse tutto di getto, senza nemmeno tornare a correggere quello che si è fatto.
In realtà, sostiene Eco, i suoi romanzi nascono da un’immagine seminale , cioè da un’idea visiva molto forte che costituisce il punto di partenza della narrazione, perché su di essa l’Autore costruisce una trama, popolandola di personaggi che si trovano calati nelle più svariate situazioni.
Ne Il nome della Rosa l’immagine seminale è stata l’avvelenamento di un monaco, che Umberto Eco ha “pensato” mentre si trovava presso la biblioteca dell’Abbazia di Cassino per compiere degli studi su alcuni testi antichi.
Invece, ne Il pendolo di Focault le immagini seminali sono state addirittura due:
- il famoso pendolo a Parigi;
- un bambino che suona la tromba.
Il romanzo L’isola del giorno prima è nato in seguito agli elogi ricevuti da Eco riguardo la sua grande padronanza degli spazi nella descrizione narrativa e perciò egli ha voluto mettere un naufrago su un’isola deserta. Anzi, per dare originalità, l’uomo del libro naufraga su una nave deserta, vicina al meridiano del cambiamento di data. E’ un romanzo quest’ultimo in stile barocco.
L’idea seminale dell’ultimo romanzo scritto da Eco, La misteriosa fiamma delle regina Loana , è stata quella della perdita della memoria e tale spunto narrativo ha dato il via alla storia, nonostante che i conoscenti di Eco gli avessero indicato altre idee per la trama di questo romanzo (…io ho una virtù straordinaria: non sento mai gli altri, ma faccio di testa mia ).
Oltre a queste importantissime (e credo inedite) informazioni sulla nascita dei romanzi di Umberto Eco, l’Autore ha fornito durante la conferenza altre interessanti notizie su di lui e sulle sue opere.
Eco ha spiegato che per scrivere un romanzo è necessario costruire un mondo (nel senso fisico del termine) e che solo dopo che tale mondo è stato costruito allora il romanzo si scrive da sé, permettendo così al suo autore di concedersi anche una vacanza.
Per fare un esempio di come egli costruisca fisicamente il mondo che racconta nei romanzi, Eco ha riferito di aver perso un sacco di tempo ad immaginare e prospettare, da tutti gli orientamenti possibili, i tre gradini che ne Il pendolo di Focault separano la casa editrice in cui lavorano i protagonisti dall’edificio della società collegata, che pubblica libri a spese dei loro autori. Addirittura Eco è arrivato a farsi fare un plastico da un suo amico per meglio “vedere” nella sua mente questi gradini ed il mondo che li circonda: un grande esempio di costruzione fittizia degli spazi e del mondo, descritti nei romanzi. Non a caso Eco ha citato il regista Luchino Visconti, il quale, per dare maggiore enfasi alle interpretazioni degli attori dei suoi film, era solito (per es. nelle scene di dialogo in cui i personaggi parlano di una collana posta in un cassetto) mettere veramente una collana nel cassetto dell’armadio inquadrato, anche se nessuna scena prevedeva l’inquadratura del cassetto o della collana ivi contenuta.
Costruire un mondo significa quindi per Eco conoscere dettagliatamente gli ambienti. Poi, costruito il mondo, il romanzo si scrive da solo, ma bisogna tener conto delle costrizioni , soprattutto temporali. Avere delle costrizioni (di tempo, di luogo, di trama) permette di dare al romanzo un itinerario coerente ed imprevedibile dal punto di vista della fantasia, così come fanno alcuni autori che s’impongono di non usare nei loro scritti, per esempio, alcune lettere dell’alfabeto.
Ulteriori affermazioni di Eco che ho velocemente annotato sul mio taccuino sono quelle in cui il semiotico ha ammesso d’avere l’hobby dell’acquisto di tutti i tipi di radio e di aver scritto il libro su Baudolino perché volevo assolutamente andare a visitare Costantinopoli (ora Istanbul, ndr).
Infine, Umberto Eco ha detto che mentre nella poesia è l’espressione che dà il contenuto, nella prosa è l’incontrario. E’ il linguaggio cioè che si adegua al romanzo, alla storia, al mondo costruito per l’occasione.
Per concludere queste mie brevi note sulla conferenza di Umberto Eco cui ho piacevolmente assistito, mi sia permesso segnalare anche un appunto negativo riguardo lo studioso di fama mondiale. Egli, per tutta la durata del suo discorso alla platea, ha continuato a guardare l’orologio ed in alcuni momenti si è chiaramente capito che era alla ricerca di altri temi d’affrontare nella sua oratoria al solo scopo di raggiungere l’ora di durata massima del suo intervento, preventivamente fissata con gli organizzatori dell’incontro. Allo scoccare di questa (le 19.00, dopo un’ora scarsa di conferenza) Eco ha interrotto improvvisamente il suo discorso ed ha chiuso in modo repentino e sintetico l’argomento che stava minuziosamente dibattendo.
Tutto ciò mi ha colpito, perché anche se posso capire la tediosità di una persona costretta a parlare frequentemente in pubblico e forse l’urgenza del rigoroso rispetto degli orari per il trasferimento ad altri importanti appuntamenti, l’attaccamento fiscale agli orari ed il rigido rispetto dei tempi è sempre segno di una scarsa partecipazione emotiva e conseguenza di un compito malvolentieri eseguito.
Tuttavia è pure vero che ciò è quanto hanno insegnato a noi comuni mortali, chissà invece cosa passa per la testa di uno studioso internazionale, destinato a rimanere sicuramente nella storia per le sue opere ed il suo brillante acume.
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