Lars Gustafsson – Morte di un apicultore
Recensione del libro ” Morte di un apicultore ” di Lars Gustafsson.
Lars Lennart Westin, detto Vesslan (“donnola”), è un ex-maestro elementare, in pensione anticipata a seguito della chiusura della scuola locale elementare di Ennora. “Dimostra molto più dei suoi 40 anni. E’ sciupato, magro, ha i capelli radi. Porta quel tipo di occhiali con la montatura di metallo sottile, che rafforzano l’impressione di fragilità. Vive in condizioni economiche estremamente modeste, ma non se ne fa un problema”. Possiede un orticello, un campo di patate, un cane. Si arrangia facendo diversi lavoretti, ma principalmente vende il miele di un allevamento di api. E’ divorziato, vede i parenti una volta ogni tanto, “non ha relazioni femminili degne d’essere menzionate”. E’ affetto da tumore maligno alla milza. Ma lui non lo sa, o meglio, decide di non volerlo sapere.
“Quando la lettera dell’Ospedale Regionale finalmente arrivò la misi semplicemente da parte e uscii per una passeggiata. Mi sentivo affatto tranquillo e osservavo con molta attenzione gli alberi spogli lungo il cammino. Mi piacciono immensamente i rami nudi contro un cielo color del piombo. Sono come lettere d’alfabeto di una lingua straniera, che cercano di dire qualcosa (…). Può essere che in quella lettera ci sia scritto che non è niente di grave. Oppure c’è scritto che ho il cancro e che morirò. E naturalmente è verosimile che ci sia scritto che ce l’ho. La cosa più saggia che posso fare è non aprirla, visto che se non l’apro continua ad esserci qualche speranza. E quella speranza mi può offrire un certo margine (…). Se quella lettera contiene la mia morte, allora io la rifiuto. Con la morte non bisogna immischiarsi”.
Il libro è una sorta di diario degli ultimi giorni di vita di Vesslan, che, come tutti i personaggi di Gustafsson, si sente un “estraneo abitante di un universo in cui nessuno è di casa”. Si parla di sofferenza come quasi una forma di verità, che consente al protagonista di affrontare i ricordi, e la vita di ogni giorno, scoprendo che poi, al fondo, lui era un uomo felice. Nonostante il divorzio, la vita difficile, lui era un uomo felice.
Il dolore è parte della quotidianità: a volte è forte, terribile, a volte scompare, quasi come per miracolo, e l’ex-maestro si sente in paradiso. “Credo che l’anima abbia sforma sferica (se mai ha una forma), una sfera dove una debole luce penetra un po’ sotto la superficie che brilla di tutti i colori dell’iride, dove percezioni e azioni coscienti, in forma di bolle di sapone, si muovono in vortici e continuamente mutano colore, ma solo leggermente. Più all’interno non ci sono che deboli tracce di luce, quasi come negli abissi marini, e poi l’oscurità. Oscurità. Oscurità. Ma non un’oscurità minacciosa. No: un’oscurità materna”. Nelle giornate che passano tra inferni e paradisi, Vesslan continuerà ad accudire le sue api. In solitudine: ancora una volta, una costante “fuga dalla vita”.
Morirà poco tempo dopo, lasciando scritto su alcuni taccuini i passaggi dei suoi ultimi mesi di vita. “Benché sia già la seconda settimana di maggio, oggi nevica su tutto il Vastmanland. L’ambulanza verrà a prendermi alle quattro. Spero che le strade non siano troppo scivolose. Si può sempre sperare che non succedano incidenti. Si può sempre sperare”.
Il dolore e la sofferenza, presente e passato, legano il racconto del protagonista. E Gustafsson, in “Morte di un apicultore”, ne narra con maestria e poesia: “Mentre la professione, il matrimonio, i fallimenti sbiadiscono come episodi di un racconto lontano, in primo piano affiorano l’infanzia, i ricordi, le riflessioni, le immagini di una natura che si risveglia miracolosamente alla vita nel momento del disgelo”.
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