Massimo Carlotto – La verità dell’Alligatore
Recensione del libro ” La verità dell’Alligatore ” di Massimo Carlotto.
“Dalla galera sono uscito senza più la voglia di cantare e suonare. Mi va solo di ascoltare e di continuare a bere. Ormai soltanto calvados, tutto ciò che mi rimane di una donna perduta in Francia.”
Massimo Carlotto – La verità dell’Alligatore (p. 10)
Marco Buratti, detto Alligatore in memoria di quando cantava in un gruppo blues, dopo aver scontato sette anni di galera per un’assurda storia di droga in cui si è trovato coinvolto per sbaglio, si trasforma in una sorta di “investigatore” dei bassifondi, sfruttando per le indagini le sue conoscenze della malavita locale e le soffiate di quanti con lui hanno ancora un debito da estinguere.
Una sera, seduto nel solito locale a sentire il blues, viene avvicinato da un avvocato che lo incarica di indagare su un caso all’apparenza semplicissimo: ritrovare un giovane tossico, accusato di un omicidio compiuto quindici anni prima, che è scappato di prigione.
Il caso si complica quando durante l’indagine l’Alligatore inciampa in un secondo cadavere, il cui omicidio sembrerebbe riconducibile sempre allo stesso giovane…Marco, allora, per scoprire il nascondiglio del giovane chiede aiuto a un suo ex compagno di prigione, Beniamino Rossigni, che spesso collabora alle sue indagini…ma quando tutto sembra ormai certo e il ragazzo viene trovato, i conti non tornano così facilmente, e la fitta di rete di amicizie che lega gli ambienti alti e insospettabili di Padova, inizia a tremare.
“La verità dell’Alligatore” è una storia molto cupa, che mette spesso in discussione anche i valori più sacri, svelando un mondo fatto soltanto di ipocrisie e di tornaconto. L’intreccio è naturalmente ben congeniato, naturalmente visto che l’autore è uno dei maggiori giallisti italiani, autore, tra gli altri, di “Arrivederci amore, ciao”, divenuto recentemente film e attualmente presente in diverse sale italiane, nonché de “Il fuggiasco”, che nel 1995 ha vinto il premio del Giovedì 1996 e di molti altri romanzi e scritti teatrali.
Il personaggio dell’Alligatore, intelligente e sensibile, a volte eccessivo nella sua ingenuità e ansia di giustizia, è, a mio avviso, portatore di un messaggio molto importante che l’autore sembra comunicarci continuamente, cioè che non basta andare in galera per diventare un “criminale”.
Per questa ragione, probabilmente, L’Alligatore viene spesso caricato di una umanità quasi esagerata, tanto da avermi fatto chiedere più volte se alcune descrizioni e dialoghi fra lui e l’amico Beniamino, fossero seri o Carlotto, reduce suo malgrado di un’assurda vicenda giudiziaria conclusasi solo dopo ben 17 anni, non avesse piuttosto l’intenzione di accentuare, quindi in un certo senso sfatare, i luoghi comuni sui malavitosi.
Credo che questo resterà un mistero, inciso nelle pagine di questo libro, per questo, aldilà di tutto, vi auguro una buona lettura e vi consiglio di leggerlo soprattutto se siete amanti dei romanzi di “genere”.
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