Massimo Fini – Il conformista
Recensione del libro ” Il conformista ” di Massimo Fini
Massimo Fini è vero. In un mondo di informazione fatto di trombe, trombette, tromboni e trombati, ecco una voce fuori dal coro, lucida e dissacrante. In questo periodo ne ho davvero le balle piene di veline e calciatori, di uomini stile Men’s Health o di finte casalinghe “disperate” che potrebbero tranquillamente cavarsela realizzando qualche bella posa per dei calendari. La noia dello zapping a volte però porta piacevoli sorprese, e si ha la fortuna di ascoltare anche se solo per pochi minuti, anche se solo su qualche tv locale, qualcuno che ha ancora qualcosa da dire di intelligente e provocatorio, in un mondo dove l’incultura (così la definisce Fini) porta ad un’omologazione al ribasso, una standardizzazione che ci chiude in un involucro di demenza collettiva. Siamo tutti un po’ più poveri. E non mi riferisco al caro-euro, ma a quel fenomeno che si insinua sotto forme più o meno subdole, che ha a che fare con l’essere prima ancora che con l’avere: la povertà culturale. Questo conformismo di massa che attanaglia la mente dell’uomo contemporaneo e la cinge in una morsa da cui è difficile vedere una via d’uscita.
Ed è di conformisti e di finto anti-conformismo che si parla in questa raccolta di saggi scritti da Massimo Fini dagli anni 80 fino all’anno di pubblicazione, il 1990. Un libro che raccoglie analisi di straordinaria acutezza giornalistica, ed è incredibile notare come articoli di 15/20 anni fa siano attualissimi ancora oggi: basta cambiare le facce ai “costumi” dell’epoca, per notare ahinoi che poco o nulla è cambiato. Dalla politica alla televisione, dalla scienza ai problemi ambientali, dal finto benessere della nostra civiltà occidentale fino ad arrivare al suicidio come “estremo apologo d’una vastissima patologia che pervade l’intera società attuale dove tutti, più o meno, paghiamo con la nevrosi e con la frustrazione perenne l’enorme fatica di sembrare ciò che non siamo”.
Articoli che richiamano spesso il senso della giustizia, quella vera, non quella che si decide di volta in volta a seconda di chi viene indagato, quasi fosse una giustizia-a-la-carte, che “assomiglia troppo alla fattoria di Orwell, dove tutti gli uomini sono uguali, ma ce ne sono alcuni più uguali di altri”.
E continui richiami all’onestà intellettuale, un valore sempre più raro, che lentamente si sfuma e annacqua tra le nuove mode, nei salotti “nuovi”, con le ipocrisie di sempre. Dove prima ancora di essere intellettuali conta essere di destra o di sinistra. Che diamine, siamo in democrazia! Per chi come me, forse ingenuamente, ci crede davvero, ci si deve aspettare che tutte le voci trovino il loro spazio. Proprio come ci ricordò Voltaire: “Non sono d’accordo con le tue opinioni ma difenderò sempre il tuo diritto a esprimerle”. Una speranza, questa, spesso disattesa. “Gliela faranno pagare calando su di lui una coltre di silenzio: da quando i roghi non usano più, è la sorte che attende i conformisti che non si conformano” (Indro Montanelli).
Il conformista
È un uomo a tutto tondo
Che si muove senza consistenza, il conformista s ‘allena a scivolare dentro il mare della maggioranza.
E’ un animale assai comune che vive di parole da conversazione,
di notte sogna e vengon fuori I sogni di altri sognatori.
Il giorno esplode la sua festa che è stare in pace con il mondo e farsi largo galleggiando.
(Giorgio Gaber)
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