Una paga da fame – Barbara Ehrenreich
Una recensione del libro "Una paga da fame" di Barbara Ehrenreich.

da | 5 Ott 2006 | Libri | 1 commento

Una paga da fame di Barbara Ehrenreich

– Come (non) si arriva alla fine del mese nel paese più ricco del mondo

Recensione del libro di Barbara Ehrenreich “Una paga da fame “.

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Il sociologo americano Sennet lo aveva già dimostrato con una tabella del Congressional Budget Office: il reddito degli americani, dopo aver cambiato impiego, non migliora, solo il 18% vede un incremento del reddito, tutti gli altri si ritrovano o senza lavoro o con un lavoro pagato il 20% in meno di quello precedente.

Quasi il 30% della forza-lavoro accetta di sgobbare per 8 dollari l’ora … a volte anche meno.

Vi ricordate di Katrina? Le drammatiche immagini di New Orleans hanno riportato all’attualità un dramma già noto: i poveri, coloro che sopravvivono al livello più infimo del nostro sistema economico, esistono anche nella Grande America. Sono immagini da terzo mondo … eppure siamo a New Orleans … E a distanza di un anno dalla tragedia, poco o nulla è cambiato! Se ne torna a parlare solo perché Spike Lee ha deciso di farne un film, un documentario di denuncia contro l’amministrazione Bush e il sistema-America.

Mi torna in mente un libro che avevo letto pochi anni fa, scritto da una giornalista, Barbara Ehrenreich, “Una paga da fame, come (non) si arriva a fine mese nel paese più ricco del mondo”.

Un ottimo esempio di giornalismo investigativo, perché Barbara ha deciso di fare la stessa vita di milioni di americani, per due anni, per capire il sistema economico americano e i suoi disagi sociali. Insomma … si è buttata nella mischia. Stabilendo delle regole ben precise.

  • Regola numero 1: nel cercare lavoro non doveva fare ricorso a capacità derivanti dai suoi studi.
  • Regola numero 2: doveva scegliere il lavoro meglio retribuito tra le offerte disponibili e, una volta accettato, doveva fare del suo meglio per conservarselo.
  • Regola numero 3: doveva scegliere la soluzione abitativa più economica possibile.

E così si ritrova prima a fare la cameriera in Florida, poi la donna delle pulizie nel Maine, infine la commessa nel Minnesota.

E’ un libro drammatico perché parla di una realtà; ma la Ehrenreich riesce a farne un libro a tratti divertente, e umano quando racconta le storie di piccole e grandi solidarietà.

Per esempio quando descrive del primo problema, quello di cercare casa … e con una paga da 7 dollari l’ora (la media delle offerte di lavoro), Barbara si rende conto che non si può neanche permettere una roulotte nel Key West.

Dopo aver faticosamente trovato un monolocale a 500 dollari al mese, si butta alla ricerca del lavoro. E fa il primo colloquio per un grande magazzino della catena Winn-Dixie.

“Vengo condotta in una grande sala, dove una serie di manifesti illustra l’immagine professionale auspicata (razza possibilmente bianca, capelli con permanente se femmina) e mette in guardia dalle illusorie promesse di sindacalisti tentatori.

Il “colloquio” è un questionario a risposta multipla: contrassegnare il tipo di contrattempi, per esempio figli da sistemare, che potrebbe farmi arrivare in ritardo. Circa il problema sulla sicurezza sul lavoro: indicare se secondo me è responsabilità dell’azienda. Poi, le domandine a tradimento: qual’è il valore in dollari della merce asportata senza pagare nel corso dell’anno precedente? Sarei disposta a denunciare un collega sorpreso a rubare. E infine: “sei una persona onesta?”.”

Il colloquio poi lo passi solo dopo aver fatto l’esame delle urine, che deve risultare perfetto.

Per non parlare delle regole previste dal manuale del buon collaboratore Wal-Mart, che Barbara deve imparare per la più grande azienda di vendite al dettaglio nel mondo: proibito il piercing facciale, gli orecchini devono essere piccoli e discreti, senza pendenti, proibiti i jeans tranne il venerdi previo il pagamento di un dollaro per il privilegio. Proibito “brucare”, vale a dire mangiucchiare biscotti, patatine e simili. Proibito soprattutto il “furto del tempo”, che vuol dire “fare qualsiasi cosa che non sia lavorare durante le ore pagate dall’azienda”.

Spesso un lavoro non basta per sopravvivere, e per arrivare a fine mese ci vuole un secondo lavoro. Magari per curarsi da problemi di salute prodotti dal primo…

Fino a pochi anni fa eravamo abituati a pensare al povero come a colui che non aveva lavoro. E’ drammatico scoprire che i nuovi poveri sono lavoratori che hanno paghe che non consentono di vivere. Leggetelo. E’ un buon libro. Aiuta a capire certi meccanismi della nostra economia. Anche se sono convinta che molti li stiano già “apprendendo sul campo”, sulla propria pelle, pure qui in Italia.

1 commento

  1. Rox

    Sono d’accordo con chi ha scritto il commento su riportato. Anche io l’ho letto l’anno scorso il libro e ora lo sto rileggendo, dato che sto studiando economia e viste le notizie ai ns telegiornali su crisi, disoccupazione e manovre varie. E’ un libro coraggioso e ambizioso, la scrittura è ottima e la storia è condivisibile se si hanno alle spalle (o in corso) esperienze lavorative difficili e preoccupanti. Un libro illuminante su realtà a volte poco note, poco pubblicizzate. Auspico che qualche regista americano ne faccia presto un film, che ne so, Marshall ad esempio. Come protagoniste propongo: M. Pfeiffer, C. Theron, G.Paltrow.

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