In questo periodo (febbraio 2025) si parla molto di dazi all’importazione.
Il motivo è semplice: una delle prime dichiarazioni del Presidente degli USA Trump, subito dopo l’insediamento, è stata quella di istituire dazi (alla Cina, al Canada, alla UE e chi più ne ha più ne metta) per tutelare i prodotti americani, soprattutto la produzione di automobili.
Ma questo ritorno al protezionismo economico, dopo decenni di libero scambio internazionale (e di fatica per realizzare un mercato unico a livello mondiale), è davvero vantaggioso per il paese che mette il dazio all’import?
Oppure lo danneggia, così come danneggia sicuramente i paesi che esportano?
A queste fondamentali domande è possibile rispondere con un po’ di macroeconomia.
Proviamo a spiegare i concetti essenziali del problema dei dazi, in modo semplice e con l’ausilio di qualche grafico.
Iniziamo vedendo cosa succede nel paese che istituisce il dazio, cioè nel paese importatore.
Nel grafico è mostrato il mercato del prodotto per il quale si inserisce un dazio all’import, con la retta di domanda da parte dei consumatori e quella di offerta da parte delle imprese nazionali.
Se non ci fosse lo scambio con l’estero, il prezzo sarebbe quello denominato “Prezzo interno”, laddove (all’intersezione di domanda e offerta) la quantità domandata è uguale alla quantità offerta. È questo il primo principio dell’economia politica.
Nel momento in cui apriamo il mercato allo scambio con il resto del mondo, si forma un prezzo minore di quello interno (altrimenti i consumatori non comprerebbero da imprese estere, se non fosse più conveniente), che abbiamo denominato “Prezzo internazionale”.
In corrispondenza del Prezzo internazionale c’è un eccesso di domanda (Q4 – Q1). La quantità di domanda del bene è soddisfatta fino a Q1 dalle imprese interne (nazionali), mentre la domanda in eccesso (Q4 – Q1) è soddisfatta dalle imprese estere mediante l’importazione del bene.
Il vantaggio degli acquirenti i beni (detto: Rendita del consumatore) è dato dalla differenza di tutta l’area che sta sotto la linea della domanda meno l’area del costo (che è la superfice rettangolare data da P per Q, ovvero Prezzo internazionale per Q1). Infatti, se i consumatori non avessero un vantaggio dallo scambio, non acquisterebbero il bene.
Esiste anche una Rendita delle imprese, che è calcolata come differenza tra il prodotto del prezzo per la quantità scambiata (ricavo lordo delle imprese) e tutta la superfice al di sotto della retta di offerta.
Adesso, questo paese introduce un dazio all’importazione. Come si modifica l’equilibrio appena descritto?
Il nuovo prezzo internazionale è più alto del precedente per la presenza del dazio (ma sempre al di sotto del prezzo interno, altrimenti non converrebbe ai consumatori rivolgersi ad imprese estere).
Pertanto, il prezzo più alto riduce il vantaggio del consumatore.
Questo vantaggio adesso è dato da una superfice minore, sempre calcolata facendo la differenza tra l’area che sta sotto la curva di domanda ed il costo del bene, quantificato dal Prezzo internazionale comprensivo del dazio per la quantità Q2, entrambi più elevati.
La differenza tra il vantaggio del consumatore con il precedente Prezzo internazionale e quello con il nuovo Prezzo internazionale comprensivo del dazio è rappresentata da tutta l’area verde del grafico.
L’area verde rappresenta quindi la perdita dei consumatori nazionali in conseguenza dell’istituzione del dazio.
Anche volendo considerare che le imprese nazionali hanno un loro particolare vantaggio (cosiddetta “Rendita delle imprese”), per effetto dell’aumento della produzione venduta da Q1 a Q2 (area con perimetro blu), e che lo Stato ha ora un profitto per le entrate derivanti dal dazio imposto alle importazioni (area con perimetro giallo), il risultato finale è comunque una perdita netta per il sistema nazionale, rappresentata dalle 2 aree triangolari con contorno rosso.
Quindi possiamo concludere con la seguente affermazione, suffragata dalla nostra dimostrazione economica: lo Stato che fissa un dazio alle sue importazioni ci rimette in ogni caso, perché la perdita di vantaggio dei consumatori (domanda) è superiore alla somma del maggior profitto delle imprese (offerta) e delle maggiori entrate tributarie dello Stato.
Vediamo adesso cosa comporta l’introduzione di un dazio mettendoci nell’ottica del paese esportatore (ad es. l’Italia per le esportazioni agli Stati Uniti soggette ai dazi di Trump).
In questo caso l’introduzione del dazio nel paese a cui si vende comporta un abbassamento del Prezzo internazionale (per via del minor profitto delle aziende esportatrici).
In verde il vantaggio dei consumatori nel passaggio dal commercio internazionale senza dazi a quello con dazi applicati ai beni esportati. Tale vantaggio deriva dalla diminuzione del prezzo per effetto della sostituzione dei beni prodotti dalle imprese estere con i beni, più convenienti, prodotti dalle imprese nazionali.
Questo vantaggio è però sovrastato dalla maggiore area di perdita delle imprese nazionali, rappresentata nel grafico dall’intera superfice con contorno rosso (quindi dalla somma dell’area verde con quella rossa).
La conclusione è quindi la seguente: anche lo Stato che esporta in un paese con dazi ci rimette economicamente, perché la perdita di rendita delle imprese nazionali (offerta) è maggiore del vantaggio dei consumatori (domanda) derivante dal ribasso del prezzo di acquisto.
In conclusione, Trump farebbe bene a non introdurre dazi. Per limitare il disavanzo della bilancia commerciale USA potrebbe ridurre il deficit pubblico del paese, che tende a:
- gonfiare le importazioni, stante la piena occupazione degli Stati Uniti;
- alzare i tassi di interesse, sollecitati dalla crescente domanda di moneta;
- far apprezzare il dollaro, per la relazione inversa esistente fra esportazioni nette (export – import) e tasso di cambio reale.
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