Quando le banche finanziano a tasso fisso, per es. mediante la forma tecnica del mutuo, corrono sempre un grande rischio: quello di ritrovarsi per lungo tempo con un investimento immobilizzato, a causa di un rendimento inferiore a quello di mercato.
Pericolo che tecnicamente si chiama “rischio di tasso di interesse”.
Ipotizziamo ad esempio che la banca eroghi un mutuo a rata costante con le seguenti caratteristiche:
- importo del finanziamento 100.000 euro
- tasso di interesse 3%
- durata complessiva 20 anni
se dopo per es. 5 anno il tasso di interesse di mercato per finanziamenti analoghi sale al di sopra del 3% applicato al cliente – poniamo molto semplicisticamente che esso diventi del 9% fino alla fine del prestito – la banca è immobilizzata per 15 anni e perderà in ogni anno di questo lasso di tempo una somma di denaro, a titolo di interessi non incassati, pari alla differenza tra i due tassi: precisamente il 6% annuo (9% – 3%).
Ciò perché il capitale di euro 100.000, se fosse nelle disponibilità della banca, anziché immobilizzato nel prestito concesso, sarebbe investito in un altro finanziamento al tasso di mercato del 9%, molto più redditizio del primo.
E la perdita che subisce la banca nel caso di mutui a tasso fisso è ovviamente tanto più grande quanto più lunga è la durata del finanziamento concesso al cliente e quanto più i tassi di mercato si alzano rispetto a quello contrattuale, non modificabile, riconosciuto ai mutuatari.
Il rischio di tasso di interesse è quindi il rischio di perdere interessi quando il tasso di mercato supera in modo significativo quello originario, contrattualmente applicato
Come si vede si tratta di un grosso problema per le banche, anche a causa del fatto che l’immobilizzo dei mutui a tasso fisso può riguardare portafogli consistenti e quindi somme notevoli.
Alcune banche hanno ovviato a questo rischio non finanziando a tasso fisso oltre un certo numero di anni: generalmente è infatti difficile trovare un’offerta di mutui a rata costante con un durata maggiore di 15 anni.
Tuttavia quella descritta non è la soluzione ideale, perché la banca – come tutte le organizzazioni – deve soddisfare la domanda e c’è sempre una grande richiesta di tassi fissi da parte dei clienti, soprattutto in momenti in cui i tassi di interesse di mercato sono estremamente bassi ed interessanti.
Altre banche hanno quindi adottato una soluzione più complessa: quella di “coprire” il rischio di tasso con l’acquisto sul mercato finanziario di strumenti derivati. Così facendo la banca sostituisce di fatto – anche se il meccanismo è un po’ più articolato – i flussi di interessi a tasso fisso del prestito con i flussi, variabili ed agganciati al mercato, del derivato. Questi ultimi sono generalmente indicizzati all’Euribor (in una delle sue varie configurazioni) più un percentuale di spread.
Da questa operazione di copertura il cliente resta completamente escluso, nel senso che per lui non cambia nulla (il debitore continuerà a pagare la rata fissa preventivamente stabilita), ma la banca avrà sostituito un rendimento a tasso fisso con un rendimento variabile che segue il mercato, così che essa non si farà trovare impreparata nell’eventualità di un forte rialzo dei tassi di interesse nel periodo d’ammortamento del mutuo.
Ma le banche che decidono di “coprire” i mutui a tasso fisso, come si debbono orientare per decidere la composizione del portafoglio prestiti da mettere sull’altare sacrificale dei derivati?
A questa domanda cerca di rispondere il nostro programma gratuito, con il quale si fornisce appunto uno tra i tanti metodi di decisione per indagare sulla convenienza o meno ad effettuare l’operazione in derivati. Il programma (in excel) permette infatti, inseriti i parametri reali e gli scenari previsti, di confrontare le due alternative: restare con il finanziamento a tasso fisso o avere un rendimento variabile grazie al derivato.
Il risultato del software è un giudizio sull’opportunità di scegliere l’una o l’altra strada di gestione dei prestiti, basato su una valutazione prettamente economica: l’impatto sul reddito che si conseguirebbe, per effetto degli interessi attivi, durante l’intero periodo del finanziamento, distinto a seconda della scelta adottata (tasso fisso o variabile).
In questo modo, provando varie simulazioni in relazione alle diverse ipotesi sull’andamento futuro dei tassi di mercato, si può avere un’idea molto più circostanziata di quanto e quando conviene l’operazione in derivati con la quale si “accompagnano” i prestiti a tasso fisso.
Le conclusioni sono quantificate in un caso e nell’altro e sono mostrate insieme ai grafici dell’andamento dei tassi e degli interessi conseguiti per il fisso e per il variabile, così d’avere una visione immediata e facilmente intuitiva della situazione complessiva.
I dati da inserire nelle celle bianche del programma (le uniche non bloccate) sono, in ordine:
- l’importo del finanziamento
- il n. complessivo di rate mensili del finanziamento
- l’eventuale n. di mesi finali non coperti dal derivato (in genere il derivato dura sempre qualche mese in meno del corrispondente portafoglio mutui)
- il tasso fisso del mutuo a rata costante
- il tasso riconosciuto in virtù del derivato (quello totale, dato in genere dalla somma di uno spread e di un valore indicizzato come per es. l’Euribor)
- l’eventuale n. di mesi iniziali per i quali è riconosciuto il differimento del derivato (in cui cioè la banca prende gli interessi contrattuali del mutuo e non quelli variabili)
- i tassi previsionali di mercato del derivato (sempre quelli totali, comprensivi dello spread) in 4 momenti di vita del finanziamento (dopo ¼, metà, ¾ ed alla fine del piano di rimborso), in modo che il programma costruisca una curva continua di piccole variazioni annuali del tasso di mercato, nel rispetto delle previsioni indicate
E’ ovvio che quest’ultima fase è quella più delicata, perché a previsioni sbagliate corrispondono necessariamente conclusioni sbagliate. Però può essere d’aiuto stabilire previamente quale sarà il trend di fondo del tasso di mercato, se cioè prevediamo che il mercato dei tassi avrà uno di questi possibili scenari futuri (chiaramente non esaustivi):
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Adesso mostriamo il seguente esempio e poi lo commentiamo (cliccate sull’immagine per leggere meglio), tenendo presente i dati dell’operazione:
- finanziamento di euro 100.000
- durata di 20 anni
- tasso fisso del 4,50%
- derivato con tasso iniziale del 2,46%
Nel nostro esempio abbiamo adottato il modello – più attendibile – della crescita inizialmente lenta e poi molto più consistente.
Ed abbiamo già una sorpresa, perché se anche i tassi di mercato sono cresciuti significativamente nella seconda metà del periodo, elevandosi molto al di sopra di quello fisso contrattuale del mutuo, non c’è convenienza a fare la copertura in derivati.
Il motivo è semplice: gli interessi pesano di più all’inizio del mutuo (perché applicati ad un debito residuo molto più alto) che non alla fine, quando il tasso è calcolato su un debito già per grossa parte rimborsato, e ciò nonostante che il tasso variabile sia cresciuto molto al di sopra di quello fisso.
Come a dire, parlando di derivati: non è tutto oro quel che luccica. Infatti ad una straordinaria crescita del tasso di mercato rispetto a quello fisso (grafico “Andamento tassi di interesse”) non corrisponde altrettanta crescita degli interessi incassati, che sono nel complesso maggiori nel caso di tasso fisso (grafico “Confronto interessi”).
La morale è quindi questa: si possono fare tanti discorsi e previsioni sui tassi, ma per le banche – alla fine – quello che conta è solo l’importo degli interessi.
Ecco il programma (file excel)
In conclusione una doverosa precisazione. Non pretendiamo di aver elaborato un programma che fornisce risultati tecnicamente ineccepibili: saremmo presuntuosi ad affermarlo.
Ci sono così tante variabili in gioco che potremmo averne dimenticata qualcuna, oppure potremmo aver dimenticato qualche aspetto particolare delle variabili considerate.
Sicuramente abbiamo commesso una grande imprecisione laddove abbiamo considerato gli interessi conseguiti nei due casi (tasso fisso del mutuo e variabile del derivato) come se fossero imputati in un unico grande conto economico, cioè come se fossero di competenza di un unico lungo esercizio finanziario, con durata pari alla durata del finanziamento. Ciò viola uno dei principi basilari della matematica finanziaria, perché è chiaro che 100 euro percepite oggi non sono come 100 euro percepite tra 15 anni: in altre parole avremmo dovuto attualizzare i flussi. Tuttavia ciò avrebbe complicato (e di molto) i calcoli di convenienza, che invece era opportuno mantenere nella forma semplificata esposta nel nostro algoritmo. Lo scopo infatti non era quello della precisione tecnica – ci sono costosi software in commercio per tale finalità –, bensì quello di offrire un’idea generale circa i vantaggi a decidere, di fronte all’alternativa in questione, in un modo piuttosto che in un altro.
Comunque è gradita qualsiasi informazione su aspetti che abbiamo trascurato, così come è graditissimo il contributo di chi voglia dare suggerimenti o semplicemente discutere sull’argomento e confrontarsi: lo si può fare inviando una mail al nostro indirizzo info@studiamo.it oppure inserendo commenti in fondo a questa stessa pagina web.
Complimenti! Sono un dirigente di una BCC dell’Emilia Romagna e grazie al vostro tool ho potuto avere conferma di quello che sospettavo da tempo.
non c’è grande convenienza a comprare derivati di copertura nella maggior parte dei casi.
Ciao