Capitalismo senza lavoro
Capitalismo senza lavoro: considerazioni e riflessioni sui temi dell'occupazione e del mercato del lavoro

da | 23 Dic 2005 | Società | 0 commenti

Costo del lavoro e conclusioni

Indice

Capitolo 4 – Mito del costo del lavoro

Riguardo la circostanza che un ribasso sostanzioso dei costi del fattore lavoro implichi un aumento considerevole dell’occupazione, si possono fare alcune considerazioni di fondo:

  • il problema preliminare non è se o in che misura l’effetto viene prodotto dalla causa, bensì la fattibilità materiale di un ribasso dei costi del lavoro in un contesto necessariamente nazionale, perché comunque la speculazione teorica deve avere sempre una sperimentabilità sul campo;
  • in ogni caso è facile immaginare come, nell’attuale situazione storica, il ribasso degli oneri del personale che permettesse di raggiungere la leggendaria piena occupazione del sistema o comunque un livello d’occupazione ritenuto soddisfacente, sarebbe di entità tale da portare il salario medio ben al di sotto della soglia cosiddetta di sopravvivenza;
  • in realtà, nell’odierno scenario economico, il salario di gran parte dei lavoratori è già considerato al limite dell’indispensabile e tale da generare quelli che, con terminologia abusata, sono chiamati i nuovi poveri.

Sul primo punto e sempre con riguardo alla situazione italiana, sulla quale abbiamo ormai focalizzato l’attenzione, argomentiamo introducendo nell’analisi l’attività dei Sindacati.

4.1 – Il ruolo dei sindacati

Abbiamo detto che in primo luogo dobbiamo chiederci se sia fattibile un ribasso generalizzato dei costi del lavoro. In secondo luogo se questo sia efficace per aumentare l’occupazione ed in che misura.

Ricordiamo che in tutti i Paesi occidentali e soprattutto in Italia, la determinazione del costo del lavoro, cioè del salario minimo, è decisamente influenzata dall’operato delle associazioni sindacali.

Vediamo come agisce questa influenza.

costo-del-lavoro

(elaborazione propria)

La retta diagonale indicata con DL rappresenta la domanda di lavoro proveniente dalle imprese, le rette parallele all’asse delle ascisse rappresentano invece il salario minimo imposto dal sindacato dei lavoratori (quella più alta) ed il salario medio che si formerebbe se non ci fossero i Sindacati (quella più bassa).

Come si vede l’assenza delle trattative sindacali comporterebbe una crescita dell’occupazione dal livello L1 al livello più elevato L*.

Il grafico ci dice allora che, in effetti, una riduzione del costo del lavoro può aprire la strada ad un maggior numero di posti di lavoro, anche molto consistente, però bisogna chiederci fino a che punto è verosimile, nel contesto sociale in cui viviamo, ragionare senza considerare minimamente l’azione sindacale.

Inoltre, è opportuno ribadire le osservazioni fatte in apertura di questo capitolo, le quali possono sintetizzarsi nella seguente domanda apparentemente semplice, ma dagli effetti dirompenti: il nuovo e più basso livello dei salari, compatibile con una maggiore occupazione, costituirebbe una remunerazione tale da garantire un’esistenza “sopportabile” alle famiglie dei lavoratori?

Conclusioni

A questo punto non posso esimermi dal tentativo di rispondere alla domanda che ha dato il titolo a questo elaborato: si arriverà un giorno al capitalismo senza lavoro?

Premesso che quel giorno non sarà domani, perché siamo molto lontani dalle condizioni che sono postulate nella visione di una società del genere, mi sembra di poter dire che la dimostrazione sperimentale della situazione ipotizzata genera un molto cauto ottimismo circa l’irrealizzabilità di un orizzonte così poco auspicabile. Anche la più estrema automatizzazione non cancella mai completamente tutto il lavoro umano, che anzi si ricicla e si reindirizza in base alle nuove esigenze, come la storia della rivoluzione industriale ci ha insegnato.

Diversa può essere la conclusione cui si giunge se concepiamo la domanda iniziale con riferimento alle conseguenze immediate ed attuali della globalizzazione, ossia se consideriamo la de-localizzazione delle attività produttive in aree geografiche a basso costo del lavoro. In questo caso un pericolo reale (ed anche sufficientemente vicino nel tempo) sembra sussistere, ma anche in tale evenienza mi sento di essere relativamente ottimista. Ci si dimentica infatti di quelle che sono le caratteristiche dell’uomo, il quale è un essere dotato di una grande, straordinaria adattabilità e forza d’ingegno. Queste sono armi potenti, che l’uomo ha sempre storicamente saputo mettere in campo quando sono servite.

Infine, vale sempre la vecchia legge economica della domanda e dell’offerta: quando diminuisce l’offerta la domanda sa trasformarsi, rivalutarsi, piacersi ed autosostenersi.

Bibliografia

  • AA.VV., L’Universale – Enciclopedia di Economia, Edizioni Garzanti
  • Baricco A., Next, Feltrinelli
  • Beck U., Che cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria, Carocci
  • Bovè J., Il mondo non è in vendita, Feltrinelli
  • Chirichiello G., Lezioni di economia politica, La nuova Italia
  • De Marchi B., Il rischio ambientale, Il Mulino
  • Hirst P., Thompson G., La globalizzazione dell’economia, Ed. riuniti
  • Klein N., No Logo, Baldini e Castoldi
  • Robertson R., Globalizzazione, teoria sociale e cultura globale, Asterios
  • Rotondi S., Corso di economia politica

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