Crisi della politica
La soluzione alla disaffezione degli italiani verso i politici può essere la demosortecrazia, ovvero l’estrazione a sorte dei parlamentari?
Premessa
Nella primavera del 2007 diversi rappresentanti del mondo classico repubblicano, si sono riuniti per presentare al pubblico una complessa proposta di riforma del sistema delle rappresentanza.
Sull’onda della deriva e della discussione intorno ai privilegi e le assurde agevolazioni del mondo politico e para-politico si impegnarono a rinnovare la proposta shock di sorteggiare i parlamentari nelle liste elette durante le elezioni.
Non è proprio il modello ateniese, sarebbe folle riproporlo per la diversità sostanziale tra il nostro mondo e quella della fiorente Polis greca, però si basa su un principio simile. Il funzionamento sarebbe più o meno il seguente:
determinati cittadini, classificati per età, meriti ed istruzione, per loro libera scelta aderiscono ad uno dei partiti classici. Così la massa di aderenti andrà a costituire le Liste elettorali. Si svolgono comunque le elezioni e in base alle percentuali dei vari partiti, si estraggono a sorte un tot. di parlamentari per ogni lista.
Così, secondo gli ideatori, si ridurrebbero anzi si eliminerebbero i mestieranti della politica. Inoltre le cariche sarebbero a durata ridotta e prevederebbero una legislazione sul conflitto di interessi molto accentuata. La proposta suscitò poco clamore per i ridotti sostegni mediatici e finì lì.
Oggi la ripresento per tenere sempre sveglio il dibattito intorno alla natura e alla forma delle Istituzioni politiche. Presento un mio intervento che preparai a seguito della partecipazione al dibattito.
Articolo del 10/08/2007
A seguito del convegno tenuto dall’associazione Gaetano Salvemini, a cui ho avuto la fortuna di partecipare, sulla possibilità di introdurre nel nostro paese, un sistema alternativo di costituzione delle rappresentanze, mi sono proposto il compito di consegnare alla Vs. attenzione (di alcuni rappresentanti del mondo politico repubblicano, Ndr), con profonda umiltà, queste mie considerazioni.
Non vi è dubbio alcuno che ci troviamo davanti ad una lacerante frattura del sistema politico, o meglio della funzionalità stessa della politica ma credo che su questo punto vadano tracciate precise linee di demarcazione tra la mera critica al sistema dei partiti ed ai costi della politica e la crisi profonda della ragion d’essere della politica medesima. È ineluttabile negare che queste due problematiche si stiano lentamente intrecciando, ma per un’analisi corretta delle disfunzionalità della nostra “Seconda Repubblica”, credo sia necessario porre le due questioni su piani differenti.
La ragione di questa differenziazione è legata ad un’innegabile differenza qualitativa tra le due forme di crisi. Se ad entrare in crisi è il complesso dei partiti politici, per ragioni di indecenza morale o incapacità nel rappresentare le istanze del popolo o per mancanza di competenza a far funzionare il sistema Istituzionale alla base del potere normativo ed esecutivo, la crisi è relegata ad un problema di rinnovamento della classe dirigente. Certamente non voglio apparire riduttivo ma è innegabile il fatto che siano gli uomini e le donne a costruire e progettare visioni politiche.
Tralasciando la singolarità italiana, che vede una classe dirigente ingessata ed un sistema politico che vive prevalentemente attraverso una costante violazione della decenza morale, non si può non concordare sui limiti di un sistema bloccato. Nel caso in cui però, la crisi non riguarda il sistema partitico ma più in generale la politica, le cose cambiano profondamente e la singolarità che tali crisi coincidano, come sta or ora verificandosi nel nostro paese, apre ad una serie di problematiche, di non facile soluzione.
Ma cosa si intende per crisi della politica? È indubbio che iniziando ad argomentare intorno a questo tema si debba precisare che esso non può, oggi soprattutto, avere carattere unicamente nazionale. È la crisi della politica occidentale, è la crisi di un mondo che si trova in balia di logiche ormai definitivamente lontane da qualunque finalità umanistica. Alcuni sono tentati di vedere nella crisi della politica, l’incapacità di controllare, gestire e limitare l’arroganza del mercato; la crisi secondo questa condivisibile impostazione, è sì della politica ma è dovuta ad una sua limitatezza non ad essa stessa. Io credo che invece sia la politica in sé ad essere in crisi. Per crisi della politica si intende il venir meno definitivo del principio, sancito dalla stessa Costituzione, della sovranità del popolo.
La crisi della politica è nell’incapacità dell’ordinamento democratico di garantire il principio di eguaglianza tra i cittadini. Tale eguaglianza, almeno sotto l’aspetto formale e politico auspicata da tutti, è innegabilmente violata. Se l’accesso ai centri decisionale e di responsabilità è mediato solo attraverso un percorso di crescita politica entro delle confraternite chiuse ed affariste e se per entrarvi un individuo sente lesa la sua dignità, come si può parlare ancora di preminenza del diritto? Se la concezione di politica coincide per molti in un percorso carrieristico mi si spieghi, che ruolo ha il buon senso in tutto questo gioco di potere?La politica è prima di tutto “partecipazione”.
Se la crisi dei partiti è circoscritta ad una loro incapacità di auto rinnovamento, la crisi della politica è drammaticamente rappresentata da un’evidente difficoltà delle Istituzione democratiche a garantire un contatto tra il mondo delle scelte e delle visioni, la politica per l’appunto, e i cittadini; contatto che superi la mediazione dei partiti e il populismo mediatico e che riporti ordine nella ripartizione della sovranità, riconsegnandola al popolo. Ogni dibattito inerente unicamente, al conflitto tra politica e mercato, tra pressioni di lobby e scelte politiche, tra tempistiche e contingenze non è altro che un modo per sviare l’attenzione sul problema reale, ovvero la crisi di funzionalità dell’attuale sistema democratico. Mentre con tangentopoli, gli accusati erano i partiti e il sistema di interessi e collusioni che vi facevano da cornice, ora è proprio la democrazia come si presenta oggi ad essere sotto processo e con essa fatalmente i partiti politici che non hanno mai affrontato seriamente la questione morale.
Due imputati dunque.
La crisi della democrazia è una crisi sistemica, che trova manifestazione nello spostamento radicale dei centri di potere in modo verticistico e disaggregato, e nel crollo sostanziale del livello di indipendenza degli individui. Se il sistema dei partiti può entrare in crisi a prescindere dalla politica, la politica può declinare solo in seguito ad un deterioramento della capacità rappresentativa dei partiti? Sicuramente no. Infatti, negli anni che vanno dal 1960 al 1992, con un sistema dei partiti potente, sano e innegabilmente dotato di personalità di indubbia competenza nel “mestiere” della politica, si è verificata la più vergognosa crisi di sovranità del popolo, che si sia mai vista. No, la crisi della politica è qualcosa di estraneo al sistema delle rappresentanze.
La politica è di tutti. Solo facendo in modo che i cittadini se ne riapproprino pienamente, si potrà evitare una deriva assolutistica. Questa volta però il passaggio ad una terza Repubblica non potrà consistere in un mero riciclaggio della classe dirigente, ma si dovrà riflettere sul senso profondo della democrazia, in modo razionale e non dogmatico evitando di appurare una semplice crisi passeggera, ma constatando che i diritti vengono prima delle forme e degli ordinamenti, i quali devono permetterne e garantirne l’esercizio, null’altro.
L’idea di analizzare la crisi della politica sotto il punto di vista della crisi delle Istituzioni Democratiche, potrebbe non apparire propria, per molteplici ragioni, ma sono convinto che ora, proprio in questi anni, il mondo e il nostro paese se non interverranno a porre un freno all’abbandono del senso di responsabilità e di partecipazione che sta colpendo i popoli di molte nazioni, non si potrà più evitare uno scollamento definitivo che culminerà in un crollo totale del sistema del diritto, già gravemente piegato.
La proposta di una rielaborazione del sistema di formazione della classe dirigenziale sulle orme del modello ateniese da voi proposto, rappresenta una via non alla formazione di un ordine nuovo e alternativo (demosortecrazia), bensì rappresenta una riproposizione del modello puramente democratico. È a mio avviso una scelta interessante per superare non solo la crisi della politica e della democrazia attuale, ma anche quello dell’etica e della morale. Attraverso tale sistema ad essere superato è principalmente il rischio della concentrazione del potere e della considerazione della politica come un mestiere.
La mia semplice e breve proposta, il mio umile contributo al dibattito, consiste innanzitutto nell’adesione al comitato per la demosortecrazia e poi senza voler peccare di arroganza vorrei confidarvi una mia piccola considerazione circa la via da intraprendere per rendere plausibile uno scenario di riforma radicale del sistema democratico.
A mio avviso sarebbe interessante, anche per chi appoggia le ragioni della riforma in senso pienamente democratico del sistema, procedere per via sperimentale al nuovo modello. Innanzitutto si potrebbe iniziare con la riforma del sistema di elezione dei sindaci. La ragione che mi spinge ad optare per questa via a carattere sperimentale, oltre ad essere legata ad un principio di prudenza, si basa su una mia personale convinzione la quale ritiene che il mondo dei comuni essendo il primo gradino di un percorso di responsabilità civica e politica rappresenti l’esempio massimo di democraticità per il profondo legame tra il civis ed il territorio.
Se si iniziasse dal punto più basso della costruzione democratica, ma più alto per lo stretto senso e valore politico, avremmo modo di creare un substratum culturale ed etico in grado di assorbire la straordinaria rivoluzione che si avrebbe rovesciando l’intero sistema di costruzione delle rappresentanze. Inoltre ritengo che un tale ritorno eroico allo spirito iniziale dell’ordinamento democratico, necessiti di un propulsore diffusivo in grado di far rinascere lo spirito della cittadinanza in molti altri paesi, e quindi perché dopo il passo dei comuni non sia il parlamento europeo medesimo a veder ricostruita la logica democratica? Sarebbe sensazionale se i rappresentanti italiani a Strasburgo venissero eletti col sistema del sorteggio, diverremmo un esempio mondiale di democrazia diretta, libera dalla logica del Soviet e antidogmatica.
Un’obiezione però costantemente si muove nella mia coscienza.
La politica oltre ad essere, responsabilità e partecipazione, secondo il mio modesto parere è anche, e certi momenti storici lo dimostrano, una visione, un sogno, di un uomo, di un gruppo di uomini, di una generazione di giovani, e se è davvero anche questo, come si potrebbe all’interno del sistema del sorteggio, rendere possibile che chi ha questa visione, emerga? È vero che nella vostra proposta, resteranno in vita le strutture partitiche, ma non mi si può negare, che relegando la rappresentanza al sorteggio si annullino, di fatto, gli spiriti propulsivi del mondo delle idee, del mondo dei partiti e dei movimenti, è difficile immaginare che il loro contributo si possa materializzare trascendendo da un loro coinvolgimento, paradossalmente, si potrebbe correre il rischio di un governo e di una camera ombra. con tutte le problematiche annesse e connesse.. ecco perché la mia proposta prevede un rodaggio iniziale limitato al mondo dei piccoli comuni, poiché è lì che primeggia il principio di responsabilità e partecipazione a scapito di quello visionario.
Applicando alla lettera il sistema da voi proposto, si potrebbe finire alla deriva, in un controsenso paradossale che vede un impoverimento di tutto ciò che di positivo la Politica vera possiede: l’entusiasmo e la passione per le proprie idee.
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