“Investire nell’istruzione dei giovani per aumentare la produttività” (Mario Draghi)
Interessantissima la lezione tenuta dal Governatore di Bankitalia, Mario Draghi, il 26 ottobre 2007 presso l’Università degli Studi di Torino, a margine della 48° riunione scientifica annuale.
Draghi ha tracciato nell’occasione, dati alla mano, la difficile situazione dell’azienda Italia, analizzandone le cause e delineandone la probabile evoluzione futura, fino all’indicazione degli urgenti obiettivi di politica economica.
Lo ha fatto senza utilizzare i toni formali e pomposi tipici delle conferenze ufficiali, ma quelli colloquiali e confidenziali che il particolare uditorio di giovanti studenti richiedeva. Pertanto, e paradossalmente, ne è uscita fuori un’estrema ed efficace sintesi dei mali della nostra economia, la quale per molti versi è risultata più istruttiva e condivisibile delle solite indicazioni tecniche contenute nelle tradizionali comunicazioni istituzionali.
Proprio per questo riteniamo che i rilievi emersi dal quadro dipinto da Mario Draghi meritano, non solo la necessaria considerazione da parte delle forze politiche di governo, ma soprattutto un conseguente approfondimento attraverso opportuni interventi normativi.
Gli insegnamenti tratti dalle parole del Governatori di Bankitalia sono infatti chiari, validi e indiscutibili.
Ma vediamo cosa ha detto Draghi nella sua lezione.
La situazione dei consumi e del reddito disponibile in Italia
La spesa pro capite, dopo una crescita sostenuta che l’ha vista più che raddoppiare dal 1970, si è brutalmente stabilizzata negli ultimi sei anni.
La sua dinamica è stata comunque più vivace di quella del reddito disponibile. Quest’ultimo infatti è rimasto addirittura sostanzialmente invariato, a livello pro capite, dal 1990.
Le considerazioni appena svolte sono esaltate (negativamente) dal duro confronto con gli andamenti delle stesse variabili rilevati nei principali paesi dell’area euro.
Negli ultimi quindici anni, in Francia il reddito pro capite ed i consumi sono sempre cresciuti, di pari passo, senza stagnazioni, mentre in Gran Bretagna l’aumento del reddito è stato addirittura più sostenuto, alimentando di riflesso un aumento della spesa pro capite anche maggiore.
La Germania invece ha condiviso con l’Italia fino a due anni fa la crisi della crescita economica, con un livello dei consumi sostanzialmente piatto, ma ha visto comunque crescere il reddito di ciascun tedesco (per i miglioramenti nella produttività e la rafforzata competitività internazionale del sistema produttivo) ad un tasso d’incremento molto al di sopra di quello relativo alla spesa pro capite.
E’ del tutto evidente che la presunzione da parte degli italiani di una certa stabilità degli aumenti inattesi di reddito o di ricchezza induce un’espansione dei consumi, perché allenta il vincolo di bilancio intertemporale.
Tuttavia, per capire l’andamento dei consumi e dell’economia in generale bisogna analizzare, oltre l’andamento del reddito disponibile, diverse altre variabili: la variazione e composizione della ricchezza, i cambiamenti demografici, il funzionamento del mercato del lavoro.
Le cause dell’attuale situazione italiana
Variazione e composizione della ricchezza
Si può ipotizzare una funzione di consumo per gli anni 1980-2006, sulla base della quale una variazione in aumento di 100 del reddito disponibile determina un rialzo di 60 dei consumi, mentre una pari crescita della ricchezza detenuta in forma finanziaria si traduce in un aumento di 6 della spesa e di soli 1,5 se invece la ricchezza è posseduta in forma immobiliare.
La ricchezza delle famiglie italiane è aumentata decisamente dalla metà degli anni ’90, tanto che alla fine del 2004 era pari a circa otto volte il reddito disponibile.
Pertanto, è l’aumento della ricchezza a spiegare, in larga misura, la crescita della spesa italiana dal 1990, mentre appare limitato il contributo ai consumi del reddito disponibile.
Nello specifico, è stato l’aumento della ricchezza finanziaria a trainare la spesa delle famiglie, dovuto soprattutto all’ascesa dei corsi della componente azionaria. Successivamente, i forti rialzi dei prezzi delle case hanno comportato la sostituzione della ricchezza immobiliare a quella finanziaria.
L’ingresso nell’Unione europea ha inoltre determinato un calo dei rendimenti al lungo termine e pure questa circostanza, percepita come permanente, ha alimentato i piani di spesa delle famiglie.
Infine, anche le vicende della spesa pubblica, con la politica di contenimento del disavanzo avviata nei primi anni ’90, hanno avuto il loro peso nell’espansione dei consumi.
Cambiamenti demografici
L’invecchiamento della popolazione è del tutto evidente se si guardano i dati: mentre nel 1996 gli ultrasessantacinquenni erano il 15% in più dei soggetti con meno di 15 anni, nel 2006 il surplus dei primi sui secondi è arrivato al 40%, ovvero 3 anziani ogni 2 adolescenti.
Se a ciò aggiungiamo che la vita media continua ad aumentare ed il numero dei figli a diminuire (i nuclei composti da 1 o 2 individui rappresentano ormai la metà delle famiglie italiane), il quadro di una realtà formata da soggetti anziani è completamente dipinto.
Il ritiro dal mercato del lavoro comporta un calo della spesa e lo stesso dicasi per la diminuzione di numerosità dei nuclei familiari. Inoltre, varia pure la tipologia dei consumi, perché con l’avanzare dell’età aumenta la spesa sanitaria e diminuiscono altri generi di acquisti, come per es. quelli per l’abbigliamento. La composizione della spesa varia pure con la riduzione dei membri delle famiglie.
Il progressivo invecchiamento della popolazione ha contribuito quindi in passato a frenare ed a modificare la spesa per consumi e lo stesso farà per il futuro.
Mercato del lavoro
In Italia il mercato del lavoro è particolarmente articolato.
Negli ultimi 10 anni l’occupazione è notevolmente aumentata, a fronte di uno sviluppo molto contenuto del prodotto. Tale situazione è il frutto delle riforme e degli accordi contrattuali, che hanno inciso, moderandoli, sui salari, ed hanno considerevolmente aumentato la flessibilità del lavoro stesso. C’è stata pure una sensibile riduzione dei salari d’ingresso, a cui non ha corrisposto una migliore prospettiva di carriera.
Il vistoso calo dei redditi da lavoro è stato percepito dagli interessati come permanente e ciò pertanto ha influito radicalmente sulle decisioni di spesa.
I consumi si sono quindi drasticamente ridotti e questa flessione è stata alimentata anche dall’evidente maggiore discontinuità e imprevedibilità della vita lavorativa, soprattutto dei giovani.
Il fenomeno della precarietà, oltre a causare un forte ritardo all’uscita dei giovani dalla famiglia di origine, è molto più vasto di quanto dicano le statistiche, perché include i lavoratori classificati come autonomi, che prestano il loro servizio secondo modalità e tempi caratteristici del lavoro subordinato.
Il quadro complessivo riduce inevitabilmente la spesa nel lungo periodo.
Ancora una volta il confronto internazionale aggrava l’interpretazione del contesto italiano: i livelli retributivi del nostro paese sono i più bassi tra i principali paesi dell’Unione Europea. Le retribuzioni mensili nette sono in Italia inferiori di circa il 10% di quelle tedesche, del 20% delle britanniche e del 25% delle francesi.
Gli obiettivi di politica economica
Il reddito e l’economia devono tornare a crescere. Per questo fondamentale obiettivo la parola chiave è: produttività.
Una produttività che, come si è detto, è diminuita, perché si è ridotto il ritmo di crescita dell’intensità di capitale. Attualmente sono profittevoli le occupazioni a basso valore aggiunto: non c’è un’adeguata relazione tra reddito, produttività e paradigma tecnologico.
La ripresa della crescita passa quindi necessariamente per l’aumento della produttività. Solo da una migliore produttività possono scaturire incrementi retributivi e, conseguentemente, della domanda interna.
Chiaramente la politica economica può e deve supportare il rilancio della produttività, attraverso nuove regole “strutturali” dell’economia e della spesa pubblica, in grado di risollevare l’efficienza e la competitività della produzione nazionale.
Esistono a tale proposito 4 linee d’intervento:
- occorre una coraggiosa riforma del sistema d’istruzione ed in particolare dell’istruzione superiore. I giovani devono avere la possibilità di valutare la qualità della formazione ricevuta, in modo da investire in capitale umano. Di contro le aziende devono poter percepire, in forma trasparente, il talento offerto dai giovani, affinché esso sia adeguatamente valorizzato e ricompensato;
- i costi della maggiore flessibilità del mondo del lavoro devono essere ripartiti più equamente tra le parti interessate. Bisogna adottare quegli strumenti, già efficacemente utilizzati negli altri paesi, idonei a contemperare le esigenze di competitività delle imprese con le aspirazioni di stabilità e crescita professionale dei lavoratori (vecchi e nuovi);
- è indispensabile un innalzamento dell’età effettiva di pensionamento. Lo scopo è quello di riequilibrare attesa di vita, attività lavorativa e modelli di consumo;
- è importante anche un corretto sviluppo dei mercati finanziari e della competenza e deontologia degli intermediari. La necessità di risparmiare per fini precauzionali è infatti meno sentita quando l’offerta di strumenti finanziari e assicurativi è perfettamente adeguata ai nuovi profili di rischio e di incertezza.
Questa è dunque l’esortazione di Mario Draghi, e se proprio vogliamo cercare il pelo nell’uovo, l’unico punto del suo discorso sul quale si può legittimamente avanzare qualche perplessità è la non felice chiusura.
Dice il Governatore di Bankitalia che i giovani dovranno saper “scoprire nella flessibilità la creatività, nell’incertezza l’imprenditorialità”. Al di là della bellezza estetica della frase, ottima per avvolgere i cioccolatini, non si capisce come i giovani possano materialmente mettere in pratica il suggerimento proposto, che suona, in ultima analisi, come un grido ad ingegnarsi di fronte alle insormontabili difficoltà del mondo del lavoro.
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